Il Ferragosto in carcere dovevano passarlo le Asl. di Marco Perduca

L’Associazione Luca Coscioni ha diffidato 102 Aziende sanitarie locali ricordando loro che hanno l’obbligo di provvedere a sopralluoghi presso le strutture penitenziarie di loro competenza. Per il momento nessuna ha dato seguito. Il 9 agosto l’Associazione Luca Coscioni ha diffidato 102 ASL ricordando loro che hanno l’obbligo di provvedere a sopralluoghi presso le strutture penitenziarie di loro competenza al fine di “apprezzare obiettivamente le circostanze relative alle effettive condizioni di igiene e delle esigenze di profilassi, impegnandosi altresì ad informare, come è nelle proprie facoltà istituzionali, i competenti Ministeri della Salute e della Giustizia, nonché a fornire tutti i servizi socio-sanitari ai detenuti e di attivarsi immediatamente qualora tali servizi non rispettino gli standard imposti dal legislatore e oggetto di plurime contestazioni da parte degli organi giurisdizionali” nazionali e internazionali. Per il momento nessuna ASL ha dato seguito.

Al 31 luglio 2024 i dati del Ministero della Giustizia dicono che ci sono 61.133 persone ristrette in 189 strutture che ne possono contenere sì e no 45.000; una “situazione intollerabile” che, alla vigilia di Ferragosto, ha suscitato l’annuncio delle consuete visite ispettive da parte di parlamentari e associazioni. Le prime, si spera, a sorpresa, le seconde obbligatoriamente programmate. Il “Ferragosto in carcere” è un’invenzione radicale, e segnatamente di Rita Bernardini che la pianificò come mobilitazione parlamentare nazionale nell’estate del 2008 da neo-eletta deputata.

Se il Partito Radicale confida nel “garantismo” di Forza italia, il ministro Antonio Tajani ha dato prova di sé inaugurando la presenza in carcere del suo partito con una visita a Paliano dove, a parte il picchetto d’onore e il pranzo a buffet, ha potuto complimentarsi coi dirigenti perché il penitenziario era mezzo vuoto! Nessuno Tocchi Caino e Radicali Italiani hanno pensato invece, e bene, di denunciare i principali responsabili di questa patente, massiccia e sistematica violazione dei diritti umani ai danni di decine di migliaia di persone a partire dal Ministro della giustizia Carlo Nordio.

Se si può capire, e naturalmente condividere, il coinvolgimento emotivo e la pietas umana di chi vuole darsi (genericamente) da fare – non a caso lo chiamano “attivismo” – a favore dei detenuti, chi fa politica da anni o siede in Parlamento non può però scudarsi dietro argomenti (genericamente) “umanitari” e/o lavarsi la coscienza a buon mercato – occorre assumersi chiare responsabilità in virtù o del proprio ufficio o della propria esperienza e storia politica, altrimenti è connivenza.

Al netto dell’analisi del perché e percome e da quando si è arrivati, nuovamente, a un sovraffollamento oltre il 130%, è chiaro quel che, de minimis, occorre fare: ridurre il numero delle presenze in carcere.

Ma come si può incidere sul sovraffollamento se Governo e Parlamento hanno da poco licenziato, senza che dal Quirinale arrivasse alcun rilievo ufficiale, provvedimenti ritenuti “necessari” e “urgenti” ma che non incideranno minimamente sul problema? L’esperienza insegna che occorre attivare i pochi strumenti a disposizione delle “persone comuni” per pretendere il rispetto delle regole da parte di chi dovrebbe applicarle. In attesa di vedere che fine faranno le denunce ai vertici del Ministero della Giustizia, accusati di una gestione che condona trattamenti inumani e degradanti, e delle decine di interrogazioni parlamentari presentate a seguito delle visite ispettive – che presumibilmente non incontreranno risposta come da anni a questa parte – vanno intanto, o almeno, coinvolte le ASL.

È infatti onere delle Aziende sanitaria locale accertare, anche con visite ispettive agli istituti di pena, che le condizioni di igiene e profilassi siano rispettate e, in caso contrario, intervenire per interrompere eventuali gravi mancanze. Per l’appunto non passa giorno che non si legga di situazioni da incubo per quanto riguarda la salubrità delle patrie galere, se si mettono i sigilli a un esercizio commerciale o un luogo pubblico non a norma, perché non a un carcere?

Nell’anno in cui i suicidi in carcere hanno raggiunto la tragica cifra di 67, a cui vanno aggiunti i sette agenti penitenziari che si sono tolti la vita, e in cui non passa giorno che non si leggano le denunce pubbliche dei Garanti dei diritti delle persone private della libertà o notizie di stampa e resoconti di visite ispettive che fanno emergere una situazione di patente violazione strutturale del diritto alla salute delle persone ristrette in Italia, le istituzioni competenti paiono non interessarsene.

Lagnarsene a “reti unificate” non basta, a mali estremi occorrono “estremi” rimedi. Nel caso in cui le diffide alle ASL dovessero cadere nel vuoto, l’Associazione Luca Coscioni ha preannunciato che passerà a interessare le competenti autorità regionali e cittadine perché la salute in carcere è un diritto e non adoperarsi neanche per verificare se e come venga fatto rispettare potrebbe configurarsi come “omissione di atti di ufficio”.

fonte: huffingtonpost.it su Ristretti Orizzonti

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