Una tassonomia per correlare finanza e salute rappresenterebbe molto di più che un semplice strumento di misura ma potrebbe trasformarsi in una forza trainante per mobilitare governi e popolazione generale a una più attiva difesa della agenda della salute e non permettere che tale agenda sia passivamente obbediente alla agenda economica.
Con la finalità di orientare industria e finanziatori a fare investimenti non solo sostenibili ma compatibili e proattivi allo sviluppo della salute pubblica, la Commissione Europea ha sviluppato una tassonomia, ossia un sistema classificatorio che assiste aziende e investitori a identificare e finanziare attività sostenibili dal punto di vista della tutela dell’ambiente. La tassonomia europea permette i cosiddetti “climate focused investments” che realizzano, almeno parzialmente, un equilibrio fra l’agenda del business investment e l’agenda ambientalista. L’esperimento ha dato frutti significativi perché, guidati dalla tassonomia che classifica gli investimenti da altamente compatibili con la difesa dell’ambiente a totalmente incompatibili, gli investitori hanno orientato le loro scelte verso obiettivi ambiente-compatibili. La tassonomia opera attraverso una gradazione che cerca di bilanciare le due agende (finanziaria e ambientalista) non necessariamente e ineluttabilmente incompatibili e inconciliabili.
La Organizzazione Mondiale della Salute sembra interessata all’esperimento della tassonomia europea e intende applicarlo alla salute. Il 23 novembre del 2020 il direttore generale della Organizzazione Mondiale della Salute, Tedros Ghebreyesus, aveva istituito il Council on the Economics of Health for All (1). Si tratta di un organismo consultivo che ha come missione principale quella di ripensare al modo in cui il valore della salute e del benessere viene misurato, prodotto e distribuito. Il Council dovrà formulare raccomandazioni sui modi di orientare l’economia verso obbiettivi di costruzione di società sane, giuste, inclusive, eque e sostenibili. È all’interno della logica del Council che l’OMS oggi apre un grande dibattito sulla relazione fra investimenti finanziari e promozione/difesa della salute e dedica un intero numero del Bollettino ufficiale della OMS a questi temi (2). Nell’editoriale di apertura il direttore generale della OMS Tedros Ghebreyesus cita come esempio del valore di una armonica collaborazione fra agenda economica e agenda della salute un dato risultante dalle analisi condotte dagli economisti del Council: il costo del montaggio di un sistema globale di prevenzione e risposta alle pandemia sarebbe di 1 dollaro e 30 centesimi a persona contro il costo della pandemia che ha determinato una contrazione del 3,1% del prodotto nazionale lordo (GDP) del pianeta.
In altre parole, la inazione in salute costa di più della azione, ossia la salute non è un costo ma un investimento.
Ciò che OMS ora cerca di creare sono condizioni di dialogo e collaborazione fra investimenti finanziari e salute, nel tentativo di imitare l’esperienza relativamente positiva della Commissione Europea e della sua tassonomia concepita in relazione a finanza e ambiente. OMS ha l’ambizione di riprodurre quel modello sostituendo all’ambiente la salute. C’è da chiedersi legittimamente se tale ambizione del direttore generale di OMS, pur lodevolissima, non sia destinata all’insuccesso come molte iniziative globali che implicano un impegno diretto degli stati membri e, soprattutto del settore privato business oriented. Tuttavia, non c’è dubbio che la idea di una tassonomia che classifichi le attività e gli investimenti economici in base al loro maggiore o minore impatto positivo sullo stato di salute della popolazione e lo sviluppo di sistemi sanitari equi e costo effettivi, è una idea affascinante ora sostenuta anche da molti influenti economisti. Ad esempio, una azienda alimentare che riducesse la presenza di sostanze chimiche nei propri prodotti sarebbe classificata come una organizzazione impegnata positivamente nella difesa della salute, alla stessa stregua di come viene oggi classificata positivamente una compagnia che riduca le emissioni di CO2.
Sono tuttavia ben prevedibili le diffidenze verso queste iniziative globali che cercano, come è nella natura istituzionale delle agenzie ONU, di fare quadrare il cerchio o, più esplicitamente, di creare sinergie talvolta pericolose fra agende intrinsecamente contraddittorie. E quanto siano pericolose tali sinergie lo abbiamo visto ogni volta che si è chiamata l’industria a praticare una qualsivoglia social responsability (l’esempio del brutale sabotaggio della Global Strategy on Harmful Use of Alcohol da parte dell’industria delle bevande alcoliche è forse il più clamoroso, ma anche l’industria alimentare ha sempre mostrato una palese ostilità alle iniziative orientate al promuovere una nutrizione sana e alla limitazione degli zuccheri o dei grassi nei prodotti alimentari industriali).
Tuttavia, sarebbe miope non riconoscere che, seppure con lentezze e mediazioni a volte inaccettabili, si sono significativamente modificate le sensibilità dei governi e dunque si è sviluppata una loro maggiore capacità regolatoria nei confronti di un mercato totalmente liberalizzato e legibus solutus. Una tassonomia che correli investimenti industriali e salute globale nel senso di una riduzione delle più eclatanti incompatibilità, potrebbe generare nuove metriche, capaci di misurare, ad esempio, gli indici di qualità delle acque, la presenza di sostanze nocive negli alimenti industriali ma anche gli effetti di investimenti abitativi o industriali sull’accesso alle cure primarie o sul grado di raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’ONU (Sustainable Development Goals – SDG). Come è avvenuto grazie ai movimenti ambientalisti e alle allerte per il cambiamento climatico, alcune aziende nazionali e multinazionali hanno riorientato in senso positivo i propri investimenti, anche grazie a un misto di campagne di sensibilizzazione e di incentivi economici. La sfida lanciata dalla OMS, analogamente, dovrebbe mettere al centro delle agende dello sviluppo economico la questione della salute globale e dell’accesso alla sanità pubblica (3).
Se è vero, come ampiamente dimostrato, che i determinanti sociali sono responsabili per il 30%-55% delle condizioni di malattia (4), una forte iniziativa globale è necessaria e urgente per consentire la misurazione dell’impatto negativo o positivo sulla salute delle scelte di politica economica e industriale. Tale tassonomia dovrebbe essere approvata e adottata dagli Stati membri. Si tratterebbe, dunque, di costituire un consorzio misto costituito dalla OMS, dai governi, da esperti indipendenti e dal settore privato allo scopo di raggiungere un consenso tecnico. Una tassonomia per correlare finanza e salute rappresenterebbe molto di più che un semplice strumento di misura ma potrebbe trasformarsi in una forza trainante per mobilitare governi e popolazione generale a una più attiva difesa della agenda della salute e non permettere che tale agenda sia passivamente obbediente alla agenda economica.
Tuttavia resta irrisolta la questione controversa se la presenza del settore privato non costituirebbe una seria ipoteca sulla capacità di tale consorzio di produrre una tassonomia non solo realistica ma applicabile e applicata: un vecchio andantino anglosassone ci mette infatti in guardia dalla “fox guarding the henhouse” ossia dalla volpe messa a guardia del pollaio.
Benedetto Saraceno, Lisbon Institute of Global Mental Health
Referenze
- Saraceno B. (2022). Per una economia al servizio della salute. Salute Internazionale, 29 giugno.
- Bull World Health Organ.2024 May 1; 102(5): 298–298A. Published online 2024 May 1. doi: 10.2471/BLT.24.291719
- Huang V, Obrizanb M, Jardon-Pinac J. (2024). A taxonomy for the financing of health for all. Bull World Health Organ.2024 May 1; 102(5): 360-362. Published online 2024 May 1. doi: 2471/BLT.24.291719
4. World Health Organization. Social determinants of health. WHO, Geneva 2023. https://www.who.int/health-topics/social-determinants-of-health
fonte: https://www.saluteinternazionale.info/2024/07/investimenti-finanziari-e-difesa-della-salute/