Maurizio Franzini, ricorda che la disuguaglianza nei redditi nel Regno Unito è molto alta e si interroga sulla visione che i laburisti hanno del problema. Il rapporto Renew Britain, di fine ’22, imputa alla disuguaglianza i mali economici del Paese, ma il riferimento, quasi esclusivo, è alle disuguaglianze territoriali, rispetto alle quali Londra ha un ruolo cruciale. Considerando i nessi tra disuguaglianze territoriali e complessive Franzini teme che si sottovaluti la necessità di politiche strutturali, non limitate a quelle regionali.
Il Regno Unito è, da tempo, uno dei paesi avanzati con la più alta disuguaglianza nella distribuzione dei redditi. Il coefficiente di Gini, tenendo conto anche del costo delle abitazioni, raggiungeva il 39% nel 2022/23 (escludendo quel costo scende a poco meno del 35%) ed è a quei livelli da molto tempo. Si tratta del quinto valore più alto tra i paesi dell’OCSE, ma 3 dei 4 paesi con una disuguaglianza più elevata sono Costarica, Lituania e Turchia. L’unico paese avanzato che precede il Regno Unito sono gli Stati Uniti. Altri indicatori della disuguaglianza (ad esempio, la quota di reddito complessivo dell’1% più ricco, il rapporto tra il reddito medio del 10% più ricco e del 10% più povero) confermano che nel Regno Unito la disuguaglianza è un problema serio (cfr. B. Francis-Devine, Income inequality in the UK, House of Commons Library, 2024).
Ci si può chiedere se questa disuguaglianza abbia inciso sul recente successo elettorale del Labour Party. Risposte fondate a questa domanda non sono, al momento, disponibili. Per cogliere qualche indizio possiamo fare riferimento a un’indagine dell’Ipsos, di poco precedente le elezioni, diretta a individuare i problemi che suscitavano maggiore preoccupazione nella popolazione. Nell’elenco figurava anche la voce ‘poverty/inequality’, ma solo il 12% degli intervistati l’ha scelta. La sanità, invece, preoccupava il 41% di essi, e solo pochi di meno hanno menzionato la casa e l’istruzione. Considerando i nessi tra disuguaglianza nei redditi, da un lato, e problemi della sanità, della casa e dell’istruzione, dall’altro, è difficile desumere da queste preferenze che la disuguaglianza abbia inciso poco sui risultati elettorali. Ma, come appena sottolineato, per saperne di più occorrerà attendere.
Possiamo però cercare di rispondere a due domande in qualche modo connesse: che visione ha il Labour Party della disuguaglianza britannica? E quali politiche si può presumere che adotterà per fare eventualmente fronte a questo problema?
Ci viene in soccorso, soprattutto per rispondere alla prima domanda, il Rapporto della Commissione sul futuro della Gran Bretagna, A New Britain: Renewing our Democracy and Rebuilding our Economy, redatto alla fine del 2022 dal Labour Party (e questa nota riprende anche temi trattati nel mio commento a A New Britain di prossima pubblicazione sulla rivista ADPCE online, dell’Associazione di Diritto Pubblico Comparato e Europeo). Il capitolo 2 di A New Britain illustra i problemi economici cruciali del paese e, come indica chiaramente il suo titolo (Getting to the Root of our Problems: Britain’s Unbalanced and Unfair Economy) propone la seguente chiave interpretativa: alla base di tutto c’è il carattere squilibrato e iniquo dell’economia; in breve, la disuguaglianza economica. E la disuguaglianza chiamata in causa è sostanzialmente quella di reddito tra le varie aree del paese, cioè la disuguaglianza geografica.
Le disuguaglianze territoriali. Non vi è dubbio che nel Regno Unito le disuguaglianze territoriali sono amplissime, tra le più alte nell’ambito dei paesi OCSE, indipendentemente dagli indicatori utilizzati per misurarle (Cfr. P. McCann, “Perceptions of Regional Inequality and the Geography of Discontent: Insights from the UK”, Regional Studies, 2020).
Considerando l’intera Europa del Nord si viene a conoscenza che la Gran Bretagna include, al tempo stesso, l’area più ricca (Londra) e le 8 aree più povere.
La rilevanza del fenomeno e il ruolo cruciale di Londra risultano confermati da vari altri dati. Ad esempio, il reddito mediano settimanale a Londra risulta pari a 735 sterline mentre nel ‘povero’ West Midland si ferma a 553 sterline, quindi è più alto di circa 1/3; tuttavia, se consideriamo i costi della casa quei due dati scendono rispettivamente a 603 e 483 e il differenziale si riduce a circa ¼.
Per concludere su questo punto, è abbastanza impressionante apprendere che, se si escludesse Londra, il reddito britannico cadrebbe del 14% e il paese precipiterebbe ad un livello al di sotto del Mississippi, il più povero stato americano.
Territori e opportunità. È forse superfluo ricordare che le disuguaglianze territoriali si traducono in disuguaglianze di opportunità che condizionano la vita che si potrà vivere. Un dato significativo al riguardo è il seguente. Concentrando l’attenzione sui genitori che, nel Regno Unito, ricadono nel 25% più povero, Bertha Rohenkohl ha verificato che in media, i figli di coloro che vivono al Sud raggiungono il reddito mediano del paese (anzi lo superano leggermente in quanto si collocano al di sopra del 50° percentile), mentre i figli di coloro che vivono nel Nord in media raggiungono soltanto il 32° percentile. Anche nel caso inglese, quindi, vi è un fenomeno di differenze economiche molto marcate fra Nord e Sud, che assume, però, una forma rovesciata rispetto a quella italiana (con il Sud, specialmente il Sud-Est, mediamente molto più benestante di tante aree del Nord).
Rilevante per le opportunità è anche l’etnìa, come sostanzialmente confermano i dati assai diversificati sulla povertà. Ad esempio nel 2020/21 circa la metà delle famiglie con a capo una persona di etnìa bangladese (fra le più diffuse) era in condizioni di povertà. Si tratta di un tasso più che doppio rispetto a quello delle persone con capofamiglia di etnìa bianca.
Level up. Le disuguaglianze territoriali – cresciute quasi ovunque dagli anni ’80 – sono all’attenzione da tempo e le cause non sono difficili da individuare. Nel Regno Unito hanno certamente avuto un ruolo il rapido processo di de-industrializzazione e l’ascesa della finanza. Il fenomeno ha, naturalmente, suscitato accesi dibattiti politici su come ‘livellare’ le regioni. Level up è stato uno slogan ampiamente usato dai Conservatori nelle elezioni del 2019 e il livellamento è divenuto una politica governativa. Ma una politica fortemente criticata, soprattutto per la debolezza con cui è stata portata avanti, più che per il suo disegno complessivo. Keir Starmer recentemente ha promesso che il Labour “livellerà” le varie regioni in modo più efficace dei conservatori e ha dichiarato che considera essenziale un’ulteriore devoluzione con la concessione di maggiori poteri agli enti locali. Dunque, non sembra profilarsi un approccio innovativo e, del resto, in A New Britain, si dice davvero molto poco sulle politiche con cui si intende affrontare il problema.
Per farlo in modo efficace appare necessario riflettere sul rapporto tra disuguaglianza tra i territori di un paese e disuguaglianza tra le persone di un paese.
Disuguaglianza tra territori e disuguaglianza tra persone. La disuguaglianza nazionale può essere scomposta in disuguaglianza media tra territori e disuguaglianza interna ai territori. Ciò vuol dire che a parità di disuguaglianza media tra i territori la disuguaglianza nella popolazione sarà tanto maggiore quanto più alta è la disuguaglianza all’interno di ciascuna area. In realtà, quest’ultima viene spesso trascurata e quando si tiene conto della disuguaglianza tra territori si tende a considerare quest’ultima responsabile di tutta la disuguaglianza. In Italia la disuguaglianza è elevata perché oltre al divario Nord-Sud c’è una distribuzione assai diseguale all’interno delle due aree. E nel Regno Unito la situazione ha queste stesse caratteristiche, se possibile accentuate. Consideriamo alcuni dati. Ad esempio, se si considerano le famiglie che rientrano nel 10% più povero a Londra e nel resto del paese si vede che il reddito (al netto dei costi abitativi) delle prime è inferiore di circa il 30 per cento rispetto a quello delle seconde mentre esattamente l’opposto accade per il 10% più ricco. In breve, a Londra i ricchi sono molto più ricchi e i poveri sono molto più poveri che nel resto del paese.
Una conferma la fornisce il rapporto tra il reddito del 10% più ricco e quello del 10% più povero che a Londra è pari a 9,3 volte mentre nel resto dell’Inghilterra è molto inferiore: 4,9. E secondo l’Office for National Statistics i redditi da lavoro medi annuali a Kensington e Chelsea raggiungono quasi le 74.000 sterline mentre nelle zone povere di Camden e Kingston upon Thames sono di poco più di 45.000 sterline, Quindi nei quartieri ricchi quei redditi sono superiori di circa 2/3.
Dunque, le disuguaglianze interne ai territori ed in particolare a Londra danno un contributo rilevantissimo alle disuguaglianze complessive e impongono di non riservare tutta o quasi l’attenzione alle disuguaglianze medie tra territori, come se questi ultimi fossero omogenei al loro interno e il problema fosse esclusivamente quello di alzare, in qualsiasi modo, il PIL delle aree più arretrate. Questo è ciò che si rischia di fare se si guarda esclusivamente alle politiche regionali.
Partendo dalle disuguaglianze interne si possono ridurre quelle complessive anche alzando il reddito dei più poveri nelle aree ricche come appare necessario e utile in Gran Bretagna alla luce di quello che si è detto su quanto sono bassi i redditi bassi in questa area. Se si seguisse questa strada si potrebbe paradossalmente avere che le disuguaglianze regionali aumentano, perché aumenta il reddito medio dell’area più ricca, ma le disuguaglianze complessive cadono perché cresce il reddito dei più poveri che si trovano in quell’area ricca. In breve aumenta la disuguaglianza media tra Londra e il resto del paese, ma cade quella interna di Londra con effetti di riduzione della disuguaglianza complessiva.
Molto altro si potrebbe dire sul rapporto tra le due disuguaglianze e su come intervenire in modo ‘virtuoso’ su quelle interne. Mi limito a osservare che interventi sui top incomes di Londra potrebbero ridurre entrambe le disuguaglianze e quindi quella complessiva. I ricchi di Londra, fortemente dipendenti dalla finanza, meriterebbero certamente più attenzione, come sostiene efficacemente Laura Ashley nel suo libro Highly Discriminating. Si tratta di un compito assai impegnativo, decisamente più impegnativo di quelli – pur non lievi – che occorre affrontare per ridurre le disuguaglianze territoriali con le politiche regionali. E suscita una lieve inquietudine il fatto che il Labour di Starmer, per quel che risulta, abbia concesso poca attenzione a tale possibile compito, comunque molta meno di quanta ne meriterebbe.
fonte: https://eticaeconomia.it/il-labour-e-le-disuguaglianze-nel-regno-unito/
Maurizio Franzini è professore ordinario di Politica Economica nella Sapienza, Università di Roma e direttore del “Menabò di Etica e Economia”. Ha recentemente pubblicato “Disuguaglianze inaccettabili”, Laterza 2013, e, con Elena Granaglia e Michele Raitano, “Dobbiamo preoccuparci dei ricchi? Le disuguaglianze estreme nel capitalismo contemporaneo”, Il Mulino, 2014.