Leonardo Fiorentini commenta le riforme in Sud Africa, Thailandia, Slovenia e Svizzera per la rubrica di Fuoriluogo su il manifesto
“Il cambiamento verrà quando i governi ignoreranno selettivamente parti delle Convenzioni”. Così a fine anni ‘90 Cindy Fazey, prestigiosa criminologa, aveva previsto ciò che poi è successo a partire dalla seconda decade di questo secolo. Un domino irrefrenabile, partito dall’Uruguay e dai primi Stati Usa pionieri delle regolamentazioni, arrivato in Canada e in Germania, e che continua a coinvolgere nuovi paesi.
A fine maggio il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa ha firmato il Cannabis for Private Purposes Bill, che depenalizza il possesso, la coltivazione e l’uso personale di cannabis. L’approvazione della legge arriva dopo che nel 2018 l’Alta Corte Sudafricana aveva stabilito che l’uso privato di cannabis da parte di adulti è un comportamento costituzionalmente protetto. Circa il 13% degli arresti in Sud Africa è correlato alla cannabis: ora le fedine penali dei condannati per uso personale di cannabis dovranno essere ripulite. Un mese dopo, in Brasile, la Corte suprema ha invece sentenziato che il consumo personale di cannabis (fino a 40 gr.) non debba più essere perseguito penalmente.
In Europa, la Slovenia ha approvato proprio lo stesso giorno delle elezioni europee due referendum consultivi sulla cannabis. Il primo per la produzione ad uso terapeutico, vinto con il 66% di favorevoli. Con il secondo, passato con un margine più stretto (52%), il governo sloveno ha invece chiesto ai cittadini se erano d’accordo sulla depenalizzazione dell’uso personale di cannabis. In attesa di conoscere come il Governo vorrà declinare la proposta, è evidente che l’onda verde continua ad avanzare nel nostro continente. Infatti la Repubblica Ceca ha già aperto a primavera il dibattito sul testo di una nuova legge sulle droghe, che regolamenterà le sostanze a seconda del loro effettivo livello di nocività, e che prevede per la cannabis un regime di completa decriminalizzazione dell’uso personale e della sua coltivazione, anche in forma associata.
Fra tante luci ci sono anche alcune ombre: in Thailandia il nuovo Governo sta valutando come tornare indietro rispetto ad una riforma confusa che aveva rimosso la cannabis dalle tabelle delle droghe senza prevedere un sistema regolatorio. Quello che era uno dei paesi più proibizionisti del sud est asiatico – dove il 75% dei detenuti è in carcere per droghe – è diventato meta del turismo della cannabis, con un mercato stimato per il 2025 oltre i 12 miliardi di dollari. L’assenza di una qualsiasi regolamentazione ha reso la cannabis disponibile ovunque, senza controlli, dando così motivo alla nuova maggioranza di annunciare che entro la fine del 2024 sarà autorizzato esclusivamente l’uso terapeutico. Ma le richieste di implementare un più ragionevole sistema regolamentato sono presenti anche dall’interno della compagine governativa e il confronto è aperto.
Se c’è chi ignora, o meglio “interpreta”, le Convenzioni sulle droghe (Uruguay, Canada e 25 stati Usa in testa), e chi sfrutta l’ampio margine di discrezionalità previsto sul consumo personale (Malta, Lussemburgo, Germania e Sud Africa), c’è anche chi ha un approccio diverso.
In Svizzera il Cantone e la città di Zurigo e anche Basilea, Berna, Bienne, Lucerna, Ginevra, Liestal, Allschwil, Losanna stanno avviando sperimentazioni di fornitura di cannabis legale all’interno di studi scientifici affidati a Università e Centri di Ricerca, per verificare l’impatto dell’uso della sostanza. La possibilità di sperimentazioni scientifiche è esplicitamente ammessa dalle convenzioni internazionali, e dalla stragrande maggioranza delle leggi nazionali, Italia compresa.
Una strada percorribile dai Comuni che fanno parte di Elide, la rete per una politica innovativa sulle droghe a livello locale, per aprire una sperimentazione sociale, nel nome del buon senso, delle evidenze scientifiche e della libertà.
[Nella foto: negozio a Chang Mai, Thailandia. Foto di D. Cambioli]