La guerra ai migranti che si nasconde dietro alla war on drugs. di Peppe Brescia

Peppe Brescia presenta il report “Disrupt and Vilify” realizzato da Human Rights Watch e Drug Policy Alliance per sottolineare l’impatto della war on drugs nei confronti dei migranti irregolari negli USA.


I progressi avvenuti negli Stati Uniti in materia di legislazione sulle droghe, in particolare riguardo alla legalizzazione della cannabis in 25 stati, non sono ancora stati sufficienti a tutelare i migranti dal rischio di espulsione dal paese e di mancata proporzionalità nell’applicazione delle pene legate agli stupefacenti. Sono queste le conclusioni di Disrupt and Vilify, report realizzato da Human Rights Watch e Drug Policy Alliance che analizza l’impatto della legislazione sulle droghe statunitense in riferimento alle condanne di deportazione.

Per la compilazione del report, le organizzazioni si sono rivolte a quarantadue tra esperti di immigrazione e politica sulle droghe, attivisti, avvocati, e migranti coinvolti in prima persona. La ricerca è stata condotta in quattro Stati: New York, Illinois, California e Texas, che da soli ospitano quasi la metà dei 21,6 milioni di cittadini irregolari negli Stati Uniti.

Le condanne per droghe causano oltre 3 deportazioni al minuto

Una precedente raccolta dati, risalente al 2015, aveva già stimato in 260mila le deportazioni avvenute tra 2002 e 2012 ai danni di persone immigrate successivamente condannate per reati droga-correlati. Una media pari a una deportazione su quattro nel decennio preso in esame. Il picco delle deportazioni è avvenuto tra 2009 e 2010, nel corso del primo mandato Obama. Il rapporto appena pubblicato fornisce ora il tassello mancante del mosaico, attestando ulterio 240mila deportazioni tra 2013 e 2020, circa un quinto del totale. Un dato particolare è legato alla permanenza sul territorio statunitense dei migranti incriminati: coloro condannati per crimini legati alle droghe risultano essere la categoria più longeva, con una media di permanenza di circa quattro anni.

Queste 500mila deportazioni avvenute negli Stati Uniti nel corso dell’ultimo ventennio sono collegate in maniera diretta alla discrepanza tra progresso delle politiche sulle droghe e rigidità delle politiche sull’immigrazione: come è possibile leggere nel documento, infatti, “ci sono stati passi avanti positivi a livello locale, statale e persino federale per riformare le leggi sulla droga per allinearle meglio al desiderio del pubblico di politiche basate su prove fondate sulla salute pubblica. Ma quelle riforme non hanno alterato l’approccio draconiano alla droga della legge federale sull’immigrazione.

Le aperture riformiste in materia di droghe, avanzate nell’ambito delle politiche dei singoli stati, hanno generalmente marginalizzato la questione, trovandosi di fatto impotenti di fronte alla legge federale sull’immigrazione. Risalente agli anni ‘80, per questa una condanna per droga è sufficiente a giustificare l’espulsione, privando gli immigrati di quelle tutele che sono invece garantite ai cittadini regolari.

Dalle stime raccolte emergono 2.400 deportazioni al mese, con almeno 156mila casi di condanne legate al semplice uso o possesso di droghe illecite – nel 40% dei casi cocaina, nel 35% Cannabis. Ciò che viene sottolineato a più riprese è la strumentalizzazione politica della retorica antidroga, messa al servizio della diffusione di espressioni di xenofobia, nel solco di una prassi che riporta direttamente alle presidenze di Nixon e Reagan, rispettivamente architetto e braccio armato della War on Drugs statunitense.

L’inazione relativa alla revisione della legge federale sull’immigrazione è aggravata da altre due dinamiche. In primo luogo, dal fatto che per le condanne ai danni di stranieri non esistano termini di prescrivibilità: come conseguenza, migliaia di persone vengono deportate per condanne comminate anche trent’anni prima. In secondo luogo, dall’assoluta indipendenza decisionale concessa al Board of Immigration Appeals, anche nei confronti delle stesse corti penali, per cui numerosi casi di assoluzione nei tribunali si sono comunque risolti in una deportazione forzata.

In questo quadro, il Congresso degli Usa ha ridotto la possibilità dei giudici di valutare la proporzionalità tra impatto di un crimine per droghe e violazione dei diritti umani dovute a un rimpatrio forzato. Ciò ha portato, nel solo 2023, al numero record di oltre 170mila deportazioni da parte dell‘Immigration and Custom Enforcement, l’agenzia responsabile del controllo delle frontiere.

Dalla California al Texas, tutto il mondo è paese…

Nonostante la California presenti una delle legislazioni sulle droghe in assoluto più avanzate, nel 2022 gli arresti droga-correlati sono stati più di 150mila. Persistono forti disparità razziali: gli arresti di neri per reati minori di droga presentano un tasso quasi doppio rispetto a quello ai danni di bianchi, squilibrio che triplica prendendo in considerazione le imputazioni più gravi. Tuttavia, l’Alternate Plea Act, approvato in California nel 2022, ha accordato ai procuratori statali la possibilità di offrire un patteggiamento per sostanze non controllate, istituto in grado di offrire relativa protezione dalla perdita di status di immigrato, quindi della deportazione.

Per quanto riguarda lo Stato di New York, la cui cifra degli irregolari si aggirerebbe attorno ai due milioni, nel corso dell’ultimo decennio gli arresti per droga sono sensibilmente diminuiti, dal 21% del 2013 al 10% attuale. Allo stesso tempo, gli adulti neri sono stati arrestati per droga a un tasso quasi quattro volte superiore rispetto ai bianchi. In questo quadro le tutele legali riservate ai migranti si segnalano come insufficienti, e diverse tipologie di questi reati rendono quasi impossibile evitare il pericolo di deportazione.

L’Illinois non rilascia dati ufficiali dal 2021, portando avanti una media di arresti droga-correlati che dal 2011 si è mantenuta costante intorno al 12-14%. Occorre però rilevare come gli ultimi dieci anni abbiano coinciso con l’implementazione di politiche di inclusione, tra cui programmi di reinserimento sociale e di facilitazione dell’accesso alla cittadinanza.

Il Texas, infine, si è invece mosso in un’ottica più strettamente repressiva, aggravando le pene non solo per i reati droga-correlati, ma anche per quelli commessi sotto effetto di sostanze vietate. In base a ciò, “le deportazioni per reati legati alla droga continuano senza sosta per gli immigrati in Texas”.

La denuncia di Human Rights Watch

Come denunciato da Human Rights Watch, le statistiche presentate costituiscono una violazione della Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione, di cui gli Stati Uniti fanno parte dagli anni ‘90. La legge federale sull’immigrazione USA, che collega direttamente i reati di droga alla deportazione, si dimostra così discriminatoria dal punto di vista razziale e foriera di trattamenti spesso sproporzionati rispetto all’effettiva offensività del fatto punito. Il report si chiude con una serie di raccomandazioni politiche al governo federale e ai governi statali e locali, richiamando le istituzioni a un’immediato cambio di paradigma.

fonte: https://www.fuoriluogo.it/mappamondo/la-guerra-ai-migranti-che-si-nasconde-dietro-alla-war-on-drugs/

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