NUOVE FRONTIERE DELLA ESECUZIONE PENALE: la giustizia di comunità

Nuove frontiere della esecuzione penale: la giustizia di comunità

Nell’universo delle “misure non carcerarie”

Biblioteca comunale-centro polivalente Pietro Ingrao
Corso Vittorio Emanuele, Lenola (Latina),

Venerdì 20 settembre, ore 14,30-19
Sabato 21 settembre, ore 9,30-13 e 15,30-19
Domenica 22 settembre, ore 9,30-12,30

Seminario annuale 2024 della Società della Ragione

In collaborazione con Centro Riforma Stato-CRS, con l’associazione Pietro Ingrao-Lenola, con il Comune di Lenola


Presentazione

Nell’universo delle “misure non carcerarie”

La “giustizia di comunità” ha ricevuto tale denominazione ufficiale col DPCM n.84 del 15 giugno 2015, che ha istituito il Dipartimento giustizia minorile e di comunità. Si sono così accorpate tutte le misure di esecuzione penale esterna che hanno come riferimento la comunità territoriale, siano i destinatari minori o adulti. Fanno parte della giustizia di comunità le tradizionali misure alternative alla detenzione, applicate a condannati definitivi; le misure che funzionano da pena sostitutiva, come i Lavori di Pubblica Utilità (LPU); la misura di sospensione del procedimento penale con Messa Alla Prova (MAP) della persona oggetto del procedimento, cui il giudice assegna un certo numero di ore di LPU come parte fondamentale del percorso di MAP. Anche la giustizia riparativa può essere vista nell’ambito della giustizia di comunità, guardando alla sua origine di pratica di giustizia radicata nella comunità.

L’argomento è stato scelto perché unisce l’interesse generale per uno sviluppo relativamente recente della normativa penale con la esperienza diretta dell’associazione Società della Ragione nelle pratiche di giustizia di comunità, attraverso l’accoglienza di soggetti che devono adempiere alla prescrizione di Lavori di Pubblica Utilità (LPU).

L’inquadramento storico e politico della giustizia di comunità in Italia non è semplice, per le spinte contrastanti che impattano sul suo sviluppo normativo e sulla sua applicazione. Da un lato la giustizia di comunità nasce dalla convinzione che le misure penali all’esterno del carcere rispondano appieno alla finalità riabilitativa/rieducativa/risocializzante della pena; dall’altro lato, il suo sviluppo è anche in relazione alle necessità deflattive del carcere. Va inoltre esplorato quello che Stanley Cohen ha definito effetto di “ampliamento della rete” (net-widening): la crescita delle misure di comunità in contemporanea alla crescita della popolazione carceraria, con il risultato di espandere la rete di controllo[1]: come se l’aumento di misure non carcerarie, invece di segnare un nuovo indirizzo penale, costituisse in realtà un “nuovo affluente” che, insieme a quello tradizionale del carcere, alimenta il grande fiume della penalità. Ciò richiede di esplorare il significato della giustizia penale nella coscienza collettiva, nell’attuale contesto politico e sociale: il fattore che a monte “governa” il sistema penale nel suo insieme.

Come è noto, la cosiddetta riforma Cartabia ha notevolmente ampliato le misure di comunità e ha dato impulso alla giustizia riparativa: ragionare sulla sua applicazione può offrire elementi di giudizio non solo sulla validità della normativa e sulla sua applicabilità, ma anche sulla sua capacità di incidere sul sentire sociale riguardo al carcere, che buona parte dell’opinione pubblica vede ancora come il luogo d’elezione per l’esecuzione della pena.

In questa direzione, il linguaggio ha una sua pregnanza. Parlare di giustizia di comunità segnala un salto linguistico e concettuale rispetto alla dizione tradizionale di “misure alternative alla detenzione”, che ha pur sempre il carcere come spartiacque di riferimento.  Tuttavia, per emanciparsi davvero dalla “centralità del carcere”, è necessario riflettere su come intendere la  “comunità”; quanto le nuove pratiche di giustizia siano radicate nella comunità; se e quanto siano in grado di influenzare la società.

Restorative Justice o giustizia riparativa

Nel dibattito acceso e a volte confuso sulla giustizia riparativa, ai fini di un chiarimento è utile avere presente il contesto storico da cui origina, così come ricostruito dal European Forum for Restorative Justice [2]. La “Restorative Justice” nasce agli inizi degli anni Settanta del secolo scorso in Canada e USA. Ha avuto negli anni una tale fortuna e un tale sviluppo che il termine è diventato assai elastico, tanto da comprendere molte pratiche, anche diverse. In genere ci si riferisce oggi alla “Restorative Justice” come a specifiche risposte ai reati (o ai danni causati da traumi e conflitti civili), “attraverso il coinvolgimento di tutti gli attori – vittime, autori di reato, le loro famiglie, membri della comunità- compresi, più di recente, soggetti professionisti e istituzioni” – in un processo di dialogo in cui l’evento criminoso e il danno causato possono essere essere discussi e pienamente compresi. Attraverso spazi di “mediazione” o di “confronto” (conferencing), il dialogo può avere luogo in sicurezza in modo da concordare soluzioni di riparazione del danno nelle diverse dimensioni: materiali, relazionali e sociali.

Circa l’origine, diversi autori sottolineano il ruolo della crescente sfiducia nella capacità del sistema formale della giustizia di scoraggiare il crimine e di riabilitare gli autori di reato, così come di rispondere in maniera adeguata ai bisogni delle vittime. Tale critica ha spinto a ricercare meccanismi alternativi di risoluzione dei problemi all’interno della comunità. Ha influito anche la critica femminista alla natura di genere della giustizia tradizionale, insieme alla necessità di trovare forme di riparazione a crimini e violazioni dei diritti umani perpetrati da regimi autoritari[3].

Mentre nei paesi anglosassoni la giustizia riparativa si è prevalentemente sviluppata nella forma di “confronti di comunità” (community conferences) o “confronti di gruppo familiare” (family group conferences), nei paesi europei il modello predominante è diventato quello della “mediazione” fra vittima e autore di reato.

I primi progetti europei risalgono agli anni Ottanta, più di recente molti paesi hanno provveduto a dare una cornice legale alla giustizia riparativa. La riforma Cartabia si inserisce in questo processo di “formalizzazione/istituzionalizzazione” della giustizia riparativa.

Le ONG nella giustizia di comunità

Anche la normativa che permette la prescrizione dei Lavori di Pubblica Utilità (o come pena sostitutiva al carcere o come parte del percorso di Messa Alla Prova) fa intravedere un’idea di una qualche forma di “riparazione e riconciliazione” rivolta all’intera comunità, oltre il rapporto diretto vittima-autore di reato (peraltro in molti reati è perfino difficile identificare una vittima diretta). Può essere interessante ragionare sulla declinazione della finalità “riparativa” applicata ai LPU presso le associazioni. In realtà, più propriamente, le ONG adempiono a una finalità di socializzazione/integrazione sociale dell’autore di reato. Il ruolo delle ONG nella giustizia di comunità non è sufficientemente approfondito e valorizzato. L’esperienza delle persone in LPU è infatti rilevante: non solo evitano la segregazione del carcere, hanno la possibilità di entrare in contatto con le molte attività culturali e sociali del territorio (che spesso non conoscevano) e di esserne subito direttamente coinvolti. In altre parole, è possibile sperimentare l’aspetto di “apertura” relazionale, culturale, sociale della giustizia nella comunità: tanto più marcata se le ONG coinvolte nei LPU riescono a “fare rete” fra di loro, offrendo così alle persone una moltiplicazione di spazi di interessi e opportunità di impegno. Inoltre, l’inserimento in attività di un certo valore civile e culturale “mette alla prova” a fondo le capacità delle persone: se queste sono opportunamente guidate, la sfida può risolversi positivamente con importante guadagno per loro di self efficacy.

C’è un altro aspetto da considerare. Il rapporto ravvicinato fra la comunità e gli autori di reati può essere un patrimonio importante nel contrasto allo stigma e ai pregiudizi, da un lato; dall’altro, il fatto che le ONG entrino quale ingranaggio di funzionamento della giustizia permette di “toccare con mano” e verificare “dal basso” il funzionamento dell’intero sistema. Ne deriva una potenzialità “critica” della giustizia di comunità rispetto al sistema giustizia, peraltro oggetto di scarsa riflessione.

Dal 2019, la SdR si è impegnata ad accogliere soggetti in LPU avendo in vista la elaborazione di un modello qualificato di intervento nel campo. Nel 2024, l’associazione sta conducendo due progetti (con l’aiuto finanziario della FCR e della Regione Toscana): per la messa a punto di un modello qualificato di intervento di LPU tramite un confronto con gli stake holder associativi e istituzionali. competenti; e per la condivisione e messa in rete del modello. L’obiettivo è di innalzare gli standard di intervento, coordinare le associazioni, allargare la platea delle ONG coinvolte nella giustizia di comunità, aprire un confronto sul senso della pena, seguendo un percorso “dal basso” (bottom up approach).


Programma

Venerdì 20 settembre, ore 14,30-19

Presentazione del seminario: Maria Luisa Boccia (presidente CRS); Marietta Conti (presidente Associazione Pietro Ingrao)

Prima sessioneLa giustizia di comunità: significato, evoluzione, contraddizioni

Si cercherà di dare risposta ad alcune domande preliminari. “Giustizia di comunità” è solo una espressione generica a indicare la scelta di non-segregazione in carcere? Oppure la giustizia di comunità, in maniera più aderente al lessico, prevede un qualche coinvolgimento della comunità nel processo di cambiamento dell’autore di reato? E in tal caso: che cosa si può intendere oggi per “comunità”? E ancora: la giustizia di comunità, che teoricamente procede da un diverso significato di pena e di “abilitazione/riabilitazione” del reo, si configura davvero come alternativa al carcere (nel senso concreto che evita il carcere a persone che in precedenza vi sarebbero state rinchiuse)? Oppure semplicemente amplia la rete del controllo penale, coinvolgendo nuovi soggetti con un grado minimo di potenziale offensivo? 

Introducono: Giulia Melani (Comitato Scientifico SdR) e Patrizia Meringolo ( docente di Psicologia di Comunità)

16.30-16.45 break

17-19 dibattito


Sabato 21 settembre, ore 9,30- 13.15

Seconda sessioneDentro le pratiche di giustizia di comunità

Sarà presentata l’esperienza ragionata della Società della Ragione nell’accoglienza dei soggetti che ricevono come prescrizione i lavori socialmente utili. Questa è depositata in un libro dal titolo “Giustizia nella comunità. Un modello originale di Lavori di Pubblica Utilità e di Messa alla Prova” (di G.Zuffa, C.Donati, G.Melani, P. Meringolo) uscito nel maggio 2024.

Obiettivo della sessione è non solo di far conoscere le “buone pratiche” e mostrare l’importanza del lavoro in rete dei vari soggetti, istituzionali e del privato sociale; ma anche di chiarire dal lavoro sul campo le luci/ombre della giustizia di comunità. Ad esempio: quali soggetti e quali reati sono destinatari dei LPU? Pur evitando la segregazione nella istituzione totale (il carcere), la giustizia di comunità riesce davvero a contenere la “presenza forte” delle istituzioni nella vita degli autori di reato? Presenza che può tradursi nel fenomeno di “porte girevoli” fra varie istituzioni (servizi dipendenze, servizi sociali, etc.) intorno alle quali si consuma la giornata delle persone in misure alternative al carcere, specie di quelle più deboli. E ancora: come si conciliano i (lunghi)tempi della giustizia con i tempi di vita delle persone, specie quelle colpevoli di reati minori, che aspirano a “voltare pagina”?

Introduce: Grazia Zuffa (responsabile “programma qualificato di Lavori Pubblica Utilità” della SdR)

Comunicazioni:

“I LPU dall’osservatorio dell’utente” (Lodovico Ingiulla)

“Comunità nella comunità: esperienze in dialogo coi territori” (Cecco Bellosi, coordinatore Associazione Comunità Il Gabbiano)


Sabato 21 settembre, ore 15,30-19,30

Terza sessione. Giustizia riparativa: da modello comunitario “alternativo” all’integrazione nel sistema giustizia 

Alcuni cenni di ricostruzione storica metteranno a fuoco l’originaria ispirazione della giustizia riparativa che procede dalla critica alla giustizia formale/istituzionale in quelli che sono considerati i suoi punti deboli (la limitata considerazione della vittima, la scarsa capacità di responsabilizzare il colpevole, la sostanziale inefficacia nel “riparare” i danni emotivi e sociali dell’evento criminoso). Peraltro, sono presenti altre forme “alternative” e antistituzionali di giustizia, come la giustizia “trasformativa”[4]. Risalire al patrimonio di idee della giustizia riparativa permette di capire possibilità e limiti della sua trasposizione nel sistema istituzionale di giustizia. Il che spiega anche le differenze di posizioni in merito. Si esamineranno alcune esperienze in Italia e le prospettive, cercando di risalire attraverso la disanima delle pratiche ad alcune domande chiave e alle possibili risposte. Ad esempio: quali sono gli obiettivi della giustizia riparativa (trasposta nel sistema istituzionale) rispetto ai protagonisti: vittima, reo, comunità di appartenenza? Davvero l’approccio “riparativo” è in radicale contrapposizione con l’approccio punitivo della giustizia istituzionale? Come si raccorda la giustizia riparativa alle altre forme di alternative al carcere?

Coordina: Katia Poneti (Ufficio Garante persone private della libertà Regione Toscana)

Interventi:

“Teoria e evoluzione della giustizia riparativa in Europa” (Patrizia Patrizi, componente del Consiglio dell’European Forum for Restorative Justice e già presidente)

“Dentro le esperienze” (Valeria Tramonte, Centro Giustizia Riparativa Regione Trentino- Alto Adige)

16.45-17 break

17-18 dibattito

18: Riflessioni dalla lettura dei volumi “La trama alternativa” (Giusi Palomba) e “Punizione”  (Giovanni Fiandaca) (Tamar Pitch, direttrice Studi sulla Questione Criminale)


Domenica 22 settembre, ore 9,30-12,30

Quarta sessione. Il carcere, convitato di pietra

La sessione conclusiva vedrà un dibattito a più voci sulle questioni cruciali che hanno attraversato le diverse sessioni del seminario. Come interpretare lo sviluppo di giustizia di comunità a fronte di un continuo rigonfiamento del carcere? Come evitare che le nuove frontiere dell’esecuzione penale si riducano a una sommatoria di nuovi istituti che tuttavia non riescono a incidere sul problema più importante: la difficoltà dei soggetti più deboli (per mancanza di lavoro, di abitazione stabile, di rete familiare di supporto) di accedere alle misure alternative al carcere. Se questa difficoltà non si supera, i nuovi istituti rischiano di cristallizzare la discriminazione nei confronti di coloro che più avrebbero bisogno di nuove forme di esecuzione penale. Infine: come spostare l’orientamento di larga parte dell’opinione pubblica, che ancora identifica il carcere come “luogo principe” per l’esecuzione della pena?

Tavola rotonda:

Coordina: Franco Corleone (presidente Comitato Scientifico SdR)

Partecipano:

Stefano Anastasia (Garante persone private della libertà Regione Lazio)

Sonia Caronni (Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza, coordinatrice settore carcere) Mimmo Passione (avvocato)

Un/una rappresentante del Servizio Sociale UIEPE)

È stato invitato a partecipare a distanza: Giovanni Fiandaca (giurista)


La Società della Ragione, insieme all’associazione Pietro Ingrao, propone ospitalità in case vacanze o in b&b, facilmente raggiungibili a piedi dalla sede del seminario. Chi voglia usufruire di questa possibilità, scriva a info@societadellaragione.it

Note

[1] Cohen, S (1979), The punitive city. Notes on the dispersal of social control. Contemporary Crises 3, 339-363

[2] European Forum for Restorative Justice, The idea of Restorative Justice and how it developed in Europehttps://www.euforumrj.org/en/idea-restorative-justice-and-how-it-developed-europe

[3] Gli studiosi discutono anche (e si dividono) sulle ipotizzate radici teologiche cristiane della “Restorative Justice”, sia per la concezione della giustizia sottesa, sia nei rituali di riconciliazione. Cfr. Roche, D. (2017), Restorative Justiceideals and realities, Routledge, New York; Marshall, CD (2020), Restorative Justice, in Babie, P., Sarre, R (eds), Religion matters, Springer, Singapore, London

[4] Cfr di recente G.Palomba (2023), La trama alternativa. Sogni e pratiche di giustizia trasformativa contro la violenza di genere, Minimum Fax, Roma

 

fonte: https://www.societadellaragione.it/agenda/nuove-frontiere-della-esecuzione-penale-la-giustizia-di-comunita/

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