“Il giudizio non può che essere ampiamente negativo. La norma, così come concepita e soprattutto a risorse invariate, costituisce un attacco alla necessità di garantire unitarietà dei diritti sociali e civili nel nostro Paese”. È netto il giudizio di Tania Scacchetti, segretaria generale dello Spi Cgil, sull’autonomia differenziata che è ormai legge. “Se passa questa logica le disuguaglianze e i divari, fra territori e fra generazioni, che già sono uno dei mali del nostro sistema, non potranno che aumentare – aggiunge la sindacalista –. E la scelta di continuare a dividere, di scommettere su un regionalismo competitivo e anche corporativo, anziché su una autonomia cooperativa e solidaristica è una scelta anche storicamente sbagliata”.
Intervista di Stefano Iucci (Collettiva)
In un mondo che sta cambiando velocemente, in cui si dovranno ridiscutere il sistema di protezione sociale, il sistema industriale ed economico e in cui ciò che accade nel mondo, a partire dai crescenti conflitti, cambia anche i destini e le possibilità delle persone che rappresentiamo, davvero pensiamo che possiamo trovare le risposte territorio per territorio? Frantumando i diritti anziché ricercando soluzioni che li aumentino per tutti? Per questo si tratta di una norma pericolosa, perché mostra la rinuncia a un governo nazionale delle politiche economiche e di sviluppo, alimentando l’illusione che chi corre più veloce possa trascinare tutti gli altri nella corsa. Dovremmo smetterla di trattare questi temi come fossero temi di “diatriba politica“, perché sono strettamente legati alla questione sociale e al come si decide di affrontarla. Si rischia così un decentramento caotico e profondamente dannoso.
Le ricadute sono e potranno essere tante su tutta la popolazione. Certamente l’attacco più evidente rischia di essere sui pilastri su cui si fonda la coesione nazionale, tutela e garanzia universalistica del diritto alla salute, istruzione, fiscalità progressiva. E sono tutti temi dirimenti per i pensionati e le pensionate. Ma certamente sono chiamate in causa anche cose di cui si discute poco: le politiche energetiche, quelle delle infrastrutture e dei trasporti, le politiche di tutela ambientale possono cambiare sia dal punto di vista economico che da quello sociale le condizioni delle persone.
E per quanto riguarda sanità e non autosufficienza?
Sanità e non autosufficienza sono già materie e temi che soffrono della diversità di modelli e di impostazione delle risposte che si definiscono nelle Regioni. La sanità è garantita dalla definizione dei Livelli essenziali di assistenza che il servizio sanitario nazionale è tenuto a garantire su tutto il territorio nazionale, ma sappiamo quanto sia problematico oggi, per il tema delle liste di attesa, per l’assenza di adeguati finanziamenti, per l’emorragia di personale, per il ritardo con cui si sta dando attuazione alle misure previste nel Pnrr a favore della territorialità e di una presa in carico che guardi alla fragilità e alla cronicità come temi prioritari. E certo a fronte della conquista (con il ruolo importante dello Spi nell’ottenerla) della legge nazionale sulla non autosufficienza l’idea che si continuino a privilegiare risposte differenziate, parziali e non garantite universalmente su un tema decisivo come questo per la dignità delle persone non autosufficienti è gravissimo.
Credi che le definizione dei Lep possa equilibrare le diseguaglianze che verrebbero fatalmente a prodursi?
La Cgil non è mai stata contraria ad affrontare il tema della autonomia, se questa viene vissuta e agita in una logica come si diceva cooperativa e solidaristica. La nostra non è l’idea del centralismo oppressivo e un territorio così complesso ha bisogno di valorizzare le proprie autonomie locali e anche la loro storica capacità di innovazione. Ma abbiamo sempre detto che servivano tre condizioni: la preventiva definizione dei Livelli essenziali delle prestazioni e il loro adeguato finanziamento; le definizione dei princìpi fondamentali della legislazione statale in tutte le materie concorrenti, anche quelle non riconducibili ai Lep; l’istituzione di un fondo e di strumenti di perequazione. Occuparsi dei Lep significa fare il contrario di quello che si sta facendo oggi, in cui si rischia – in assenza di alcuna risorsa e di alcuna riflessione seria su quali diritti debbano essere universalmente garantiti – di cristallizzare la spesa storica come criterio di valutazione. Così i Lep, peraltro definiti senza un adeguato coinvolgimento del Parlamento, non saranno quel che dovrebbero essere, cioè quell’insieme di servizi e di interventi pubblici necessari a garantire in modo omogeneo i diritti sulla base dei bisogni.
Cosa pensi debba mettere in campo il sindacato per fronteggiare questa riforma?
Di fronte a quello che per noi è un vero e proprio attacco alla unità nazionale e anche al progetto di coesione e di cooperazione contenuto nella carta costituzionale tutti gli strumenti che possono essere messi in campo devono essere utilizzati. Il primo è certamente quello della informazione corretta e della crescita di consapevolezza delle persone che in alcuni casi possono ritenere la strada della autonomia competitiva e divisiva una soluzione. Non è una norma contro il Sud, per esempio, ma è una norma che danneggerebbe pesantemente anche il Nord. Le persone che noi rappresentiamo non hanno nulla da guadagnarci nell’aumento delle disuguaglianze che vanno a favore dei ricchi e delle rendite e non certo del lavoro, della coesione e della crescita del welfare.
Insomma, questo disegno va fermato…
Sì. Raccoglieremo le firme, insieme ai partiti di opposizione e a una ampia schiera di associazioni che come noi sono consapevoli dei rischi che ci sono dietro questa norma e insisteremo perché anche le Regioni contestino la legge chiedendo il referendum abrogativo. E condurremo la nostra battaglia nel Paese fra la gente, spiegando che diciamo no a questo disegno non in un’ottica di conservazione di quel che c’è, ma con una proposta di piena attuazione del nostro dettato costituzionale, ancora pienamente rispondente alla necessità di dare attuazione ai principi di libertà, solidarietà e giustizia sociale da cui nasce.
fonte: Collettiva
foto di Caterina Micheli