Gli animali non fanno la guerra. di Luisa Mondo, Valeria Confalonieri

Animali: nella de-umanizzazione si insidia la violenza, la possibilità di fare l’indicibile senza rimorso e senza pietà: si parla di carne da macello quando ci si riferisce ai soldati mandati a morire e,  Primo Levi ha intitolato “Se questo è un uomo” uno dei suoi libri più sofferti, sulla guerra e la deportazione.

Le inibizioni morali che impediscono di commettere azioni violente tendono a essere erose in presenza di tre condizioni, prese singolarmente o nel loro insieme:

  • – quando la violenza è autorizzata, legittimata da ordini ufficiali e quindi deresponsabilizza
  • – quando le azioni violente sono routinizzate (familiarità con la violenza, che si costruisce anche attraverso la trasformazione semantica e corporea del gesto crudele in una tecnica del tutto impersonale)
  • – quando le vittime della violenza vengono de- umanizzate grazie a una definizione e a un indottrinamento di carattere ideologico)[1] [2], si crea analogia tra l’animale e la vittima, escludendo quest’ultima dalla sfera degli esseri umani).[3] [4]

ANIMALI IN GUERRA

Gli animali nel corso delle guerre hanno ricoperto diversi ruoli, dal supporto nella ricerca di feriti e dispersi, come i cani infermieri i cui centri di selezione e addestramento vennero istituiti anche in Italia, al ruolo di sentinella, portaordini, esploratori, traino [5]; talvolta impiegati per trasportare esplosivi, esplodendo loro stessi una volta raggiunto l’obiettivo.

Già nel 1914, l’esercito Britannico aveva arruolato circa 200.000 cavalli e un numero imprecisato di muli e asini; erano denutriti eppure trasportavano munizioni, artiglieria, armi da fuoco, bombe, soldati, ognuno caricato di circa 130 Kg.

Nel documentario di Folco Quilici, Animali nella grande guerra [6] [7] si citano i 74 milioni di soldati coinvolti nel conflitto (provenienti da 30 paesi) con 10 milioni di morti e dispersi, 21 milioni di feriti fra cui 8 milioni di mutilati e invalidi e 8 milioni di prigionieri. L’Italia perse 1.240.000 milioni di persone (1.780.000 secondo altre stime), di cui 651.000 militari e 589.000 civili, alle quali vanno aggiunti i 500.000 che restarono mutilati o invalidi (1.300.000 secondo altre stime) e 40.000 persone con patologie psichiche per i traumi subiti in trincea. Allo stesso tempo furono impiegati 16.000.000 di animali: morirono 11.000.000 cavalli, 200.000 piccioni e colombi viaggiatori, muli, asini, buoi, maiali, e oltre 100 mila cani. [8] [9] [10] [11]

Malgrado nella prima guerra mondiale la tecnologia stesse prendendo piede, i cavalli furono ampiamente presenti, nostalgia delle grandi cariche di cavalleria (che cederà il passo alla guerra di posizione e all’impiego di aerei, i cavalli dei cieli. Il cavaliere Francesco Baracca mise l’immagine di un cavallo rampante sui suoi aerei e quando fu ucciso da un cecchino austriaco, il cavallino che aveva messo sulla coda del suo aereo venne ripreso da Enzo Ferrari rendendolo famoso in tutto il mondo).

Tutte le nazioni coinvolte nel conflitto iniziarono a rastrellare cavalli dalle campagne e dagli allevamenti, i proprietari vennero costretti a cederli per la leva equina. In molti casi erano stati sottoposti a rozza istruzione: per essere rapidamente domati e pronti ad affrontare il nemico non c’era il tempo per un’educazione conciliante e docile. Vennero usati come strumento di trasporto, motore per i carri, compagni e all’occorrenza carne per sfamare gli uomini in trincea.  I soldati, specie quelli arrivati dalle campagne, cercarono di aver cura di questi loro sfortunati compagni di battaglia come nel celebre film War Horse di Steven Spielberg. [12]

Più di 500.000 furono i muli usati dall’esercito italiano nel conflitto, imbarcati, caricati sui treni, trasportati nei punti di raduno nelle retrovie del fronte. Al mulo uno dei compiti più duri, trasportare sui monti, tra neve e ghiaccio, di tutto ma soprattutto parti smontate dei cannoni, armi e munizioni, pezzi di artiglieria, cibo, cucine da campo, farmaci, fieno, acqua, tende per i bivacchi.[13]

Quando scoppia la prima guerra mondiale, nel 1914, tutti gli eserciti si dotano anche di cani. La Germania li addestrava già da tempo per scopi di polizia. Venne organizzata, anche in Italia, la leva canina: i proprietari furono invitati a consegnare i loro animali a medici e veterinari militari che li controllavano, scegliendo i più idonei e inviandoli ai reparti addetti all’addestramento, abituandoli a non avere paura degli spari e dei rumori forti. Si insegnò loro ad abbaiare quando trovavano il ferito: saranno migliaia gli uomini salvati dai cani con pettorina della Croce Rossa, nelle file dei combattenti. Altri cani diventano animali da traino. [14] [15] [16]

Possedere un animale da compagnia era anche una valvola di sfogo ai sentimenti di paura e ansia legati al conflitto. Gli ufficiali autorizzati potevano portare i loro animali al fronte. I soldati semplici adottavano gli animali che trovavano lasciati dai padroni, i “botoli”, ma dovevano abbandonarli a ogni spostamento.

In Italia, nel novembre del 1918, quando i reparti italiani avanzarono verso il Trentino all’inseguimento di un esercito austro-ungarico ormai al tracollo, i “cani dell’Adamello” vennero abbandonati dai soldati, che si allontanarono lasciandoli legati alla catena. Quasi tutti morirono e quelli che riuscirono a liberarsi dalle catene finirono col riunirsi in branco per cercare di procurarsi il cibo, avvicinandosi alle case e alle greggi per finire quindi uccisi dagli abitanti di Temù e dei paesi limitrofi. [17] [18]

Tutti gli eserciti avevano reparti di colombi viaggiatori. Uccelli e cani avevano anche compito di sentinelle per aggressioni di tipo chimico possedendo un olfatto sensibile nei confronti del gas. Contro i topi nelle trincee furono impiegati gatti e piccoli cani non addestrati. Nei vari conflitti vennero impiegati anche zanzare, api, pipistrelli, scorpioni, mucche, elefanti, cammelli, orsi, scimmie. [19] [20] [21]

Si crearono mattatoi vicino al fronte: pollame, maiali, bovini, cavalli arrivavano vivi al mattatoio (non avendo mezzi per spostarli e nemmeno idonee celle frigorifere); alcuni bovini e cavalli trasportavano gli altri animali per essere poi uccisi tutti assieme, tanto da esser chiamati carne in piedi. Strateghi tedeschi furono costretti a scegliere tra uso degli animali in battaglia e le necessità alimentari (agli altri arrivavano le scatolette americane): i 22.000 cavalli da tiro del solo esercito austro-ungarico, nel marzo 1918, sono ridotti a meno di 2.000, gli asini e i muli si sono dimezzati, il bestiame è quasi tutto requisito e mangiato. [22]  Viene automatico, per chi è in guerra, paragonare la sorte degli animali a quella dei soldati, a loro volta carne da macello.

NON SOLO DURANTE I CONFLITTI

Nel periodo tra le due guerre vennero effettuati moltissimi esperimenti bellici su animali non umani reputati sacrificabili. Al termine della grande guerra, nonostante gli Stati Uniti avessero perso circa 10.000 cani, formarono una scuola militare dove insegnavano ai cuccioli, appena svezzati, a trovare il cibo sotto ai carri armati e vennero uccisi a migliaia, nella seconda guerra mondiale, perché dopo giorni di digiuno e con cariche esplosive fissate sul dorso e comandate a distanza, correvano a cercare da mangiare sotto i panzer tedeschi, atroce tecnica simile a quella dei cani mina russi.[23]

Nel  Regno Unito, a Porton Down vi  è il più grande centro di ricerca sulle armi  e dall’anno della sua apertura, nel 1916, milioni di animali (topi, cavie, ratti, maiali, furetti, pecore e primati non umani quali uistitì e macaco rhesus) hanno sofferto vari tipi di torture per testare le armi e vederne gli effetti, per misurare  la resistenza ad attacchi fisici e a condizioni avverse, per valutare farmaci e test di efficacia (tossicologia, farmacologia, fisiologia, scienze comportamentali, scienze umane), per studiare traumi e nuove tecniche chirurgiche,  prima di essere “sacrificati” [24] [25] [26].

Nel 1946 vicino all’Atollo di Bikini nel Sud del Pacifico, 4000 animali, comprese pecore e capre, furono mandati alla deriva su una piccola barca e un’esplosione atomica venne fatta detonare sopra di loro in modo da valutare gli effetti di un attacco di questo tipo. Tutti gli animali rimasero uccisi o furono gravemente ustionati. L’esercito denominò il test L’Arca Atomica. [27] Negli anni successivi, nel conflitto in l’Iraq, i delfini sono stati impiegati  dall’esercito Statunitense per ricercare le mine (come già ai tempi della guerra in Vietnam) [28] e proteggere arsenali nucleari.[29] Anche i  leoni di mare sono stati impiegati per individuare eventuali sommozzatori nemici [30].

Un drammatico esempio di come gli animali da compagnia siano usati per minacciare e ricattare le persone, viene dalla storia dell’isola Diego Garcia, colonia britannica nel mezzo dell’Oceano Indiano. [31]

Nel 1966 la Gran Bretagna, concesse agli Stati Uniti l’uso dell’isola a scopi militari, per 50 anni. Mentre gli americani cominciavano ad arrivare per costruire la base, il governatore incaricato della «bonifica», ordinò che tutti i cani di Diego Garcia venissero uccisi. Quasi mille animali furono radunati ed eliminati con i gas di scarico dei veicoli militari americani. La gente lo prese come un avvertimento: chi era rimasto accettò di essere caricato sulle navi e deportato a mille miglia sulle isole Mauritius.

COME ANIMALI NON UMANI

Come abbiamo scritto e come approfondiremo ancora, l’essere avvezzi alla crudeltà e uccisione di esseri considerati inferiori, discriminabili e dunque sopprimibili [32] è un meccanismo di “allenamento” alla crudeltà su più ampia scala. Il paragone sembra forte, addirittura esagerato, ma viene messo in luce anche da ex internati. Caso emblematico è Edgar Kupfer-Koberwitz la cui lettera in risposta a chi gli chiede del suo non mangiar carne è davvero illuminante: “… rifiuto di mangiare animali perché non posso nutrirmi con la sofferenza e con la morte di altre creature. Rifiuto di farlo perché ho sofferto tanto dolorosamente che le sofferenze degli altri mi riportano alle mie stesse sofferenze. … Se nessuno mi perseguita, perché dovrei perseguitare altri esseri o far sì che vengano perseguitati? Se nessuno mi fa del male, perché dovrei fare del male ad altre creature o permettere che facciano loro del male? Se nessuno vuole uccidermi, perché dovrei uccidere altre creature o permettere che vengano ferite o uccise per il mio piacere o per convenienza? Non è naturale che io non infligga ad altre creature ciò che io spero non venga inflitto a me? Non credi che sia proprio il dovere del più grande, del più forte, del superiore di proteggere le creature più deboli invece di perseguitarle e di ucciderle?”[33] Ragionamento simile a quello di Theodor W. Adorno: “Forse lo schema sociale della percezione presso gli antisemiti è fatto in modo che essi non vedono gli ebrei come uomini. L’affermazione ricorrente che i selvaggi, i negri, i giapponesi, somigliano ad animali, o a scimmie, contiene già la chiave del pogrom. Della cui possibilità si decide nell’istante in cui l’occhio di un animale ferito a morte colpisce l’uomo. L’ostinazione con cui egli devia da sé quello sguardo – “non è che un animale” – si ripete incessantemente nelle crudeltà commesse sugli uomini, in cui gli esecutori devono sempre di nuovo confermare a se stessi il “non è che un animale”, a cui non riuscivano a credere neppure nel caso dell’animale. [34]

La psicologa e psicoterapeuta  Annamaria Manzoni[35]  sottolinea come “la violenza che caratterizza ogni guerra non nasce dal nulla, ma ha un lungo periodo di formazione perfettamente descritto nelle parole dello psicologo canadese, Steven Pinker[36] che si raccomanda, se vogliamo capire il perché della violenza al fine di combatterla, di studiare in tutte le sue manifestazioni, dalle dichiarazioni di guerra tra le nazioni alle sculacciate ai bambini. In sostanza ritiene che per arrivare alle dichiarazioni di guerra, si attraversino tanti altri territori di violenza, esercitata sui più deboli. Pinker riprende concetti cardine di altri pensatori, tra i quali un posto d’onore va riservato ad Aldo Capitini (1899/1968), considerato il Gandhi italiano per le sue idee pacifiste, che molto aveva detto e scritto sull’argomento, fino a sostenere che l’abitudine all’uccisione degli animali avvicinasse alla cultura bellica, motivo per cui decise di diventare vegetariano nel 1932, mentre cominciavano a soffiare venti di guerra. Anche altri pacifisti, per citarne alcuni, Mahatma Gandhi, Lev Toltstoj, Tiziano Terzani, Edmondo Marcucci, Albert Schweitzer erano convinti che il rifiuto della guerra non nasca improvvisamente, ma si nutra di un atteggiamento solidale, empatico, non predatorio con tutti gli altri esseri viventi coinvolgendo ogni aspetto della vita individuale e sociale. Per tutti loro gli altri sono parimenti umani e non umani”.

A questo punto appare logico come molti studi riportino dati che mostrano come la violenza rivolta agli animali non umani rappresenti un segnale predittivo del possibile scatenarsi di violenza su uomini, donne e  bambini; come la violenza sugli animali sia usata come ricatto, minaccia, esempio di quello che potrebbe succedere agli umani o “palestra” per allenare alla ferocia.

Carol J. Adams fa notare che “quando ci rivolgiamo a un animale parlando di carne, un essere vivente che ha una sua propria vita, che è unico, viene trasformato in qualcosa che non ha un carattere distintivo, nessuna unicità né individualità. Invece erano esseri vivente e senzienti. Il referente assente è ciò che separa il mangiatore di carne dall’animale e l’animale dal prodotto finale. Gli animali sono il referente assente dell’atto del mangiar carne, ma sono anche il referente assente delle immagini di donne massacrate, fatte a pezzi, consumabili”.

Da numerose ricerche [37] [38] [39] [40] compiute negli Stati Uniti risulta che il 70% delle donne abusate riferisce che i maltrattanti hanno minacciato di ferire e uccidere i loro animali domestici, tanto che tra il 25 e il 50% delle donne ritarda l’abbandono per timore di quello che potrebbe succedere agli animali.

I carnefici talvolta minacciano di fare del male a un animale da compagnia per indurre la donna a restare, per punire la vittima che se ne sta andando, come metodo coercitivo per farla tornare a casa: un’azione ai danni di un animale da compagnia perpetrata dal soggetto violento può essere un chiaro segno di ciò che può capitare alla vittima. Risulta anche che la metà degli stupratori ha commesso crudeltà verso gli animali nell’infanzia/adolescenza; nell’82% delle famiglie in cui l’ente protezione animali statunitense ha rilevato abuso /trascuratezze su animali, vi erano state indagini da parte di organismi per la tutela dell’infanzia che avevano rilevato abuso /trascuratezze sui bambini.

E’ stato anche dimostrato che il maltrattamento su animali avviene quando le dimensioni fisiche della vittima sono ritenute sufficientemente piccole dall’abusante, ad esempio un bambino maltratta lucertole,  un adolescente maltratta galline e gatti, un adulto soprattutto  cani e gatti. In sostanza la dimensione della vittima è sempre decisamente più piccola di quella del carnefice e che ci sia o meno un’arma con cui infierire non conta [41].

Ufficialmente sono appena 202 i minorenni denunciati per crimini contro gli animali dal 2015 al 2021, in Italia, ma un’indagine della Lega Anti Vivisezione dice che il 14,4% del campione ha dichiarato di aver maltrattato un animale almeno una volta. [42]

Nel 2009 è nato in Italia il progetto Link- Italia, che svolge ricerca sul tema: “nelle discipline quali psicologia, psichiatria, criminologia e scienze investigative il termine link indica una correlazione tra il maltrattamento e uccisione di animali, violenza interpersonale e ogni altra condotta deviante, antisociale e/o criminale. Quindi il maltrattamento e l’uccisione di animali, oltre a un fenomeno da contrastare e condannare di per sé, va interpretato come sintomo di una potenziale situazione esistenziale patologica e come fenomeno predittivo di contemporanee e/o successive condotte devianti, antisociali”. Tra il settembre 2015 ad ottobre 2016 l’associazione il Link Italia ha sottoposto un questionario in sei lingue in nove carceri italiane per verificare se i detenuti avessero maltrattato e/o ucciso animali da minori o da adulti: 682 detenuti hanno compilato il questionario. Di loro, il 73%, ha assistito a maltrattamenti e/o uccisioni di animali da minorenne, il 61% ha maltrattato e/o ucciso animali da minorenne [43]. Il 64% dei detenuti ha maltrattato  animali da adulti e, di loro, Il 96% aveva già effettuato azioni simili da minorenne[44] . In genere, l’abuso sull’animale corrisponde ad un abuso simile sull’uomo: abusatori che picchiano gli animali e mani nude, picchiano i figli allo stesso modo, abusatori che sparano al cane tendono a sparare anche alla moglie, aggressori che accoltellano animali accoltellano anche gli umani. [45]

Un altro studio condotto negli Stati Uniti [46]mette in relazione la presenza dei mattatoi in alcune zone con il tasso di criminalità in quelle stesse zone. Dei problemi sociali osservati in queste comunità, l’aumento della criminalità è stato particolarmente drammatico. I risultati indicano che l’occupazione nei mattatoi aumenta i tassi totali di arresti, arresti per violenza, crimini, arresti per stupro e altri reati sessuali.

In un articolo[47] si fa riferimento a vari studi nei quali il lavoro nei macelli è stato messo in relazione alla comparsa di disturbi  quali lo stress post-traumatico e lo stress traumatico indotto dalla perpetrazione nonché a un aumento dei tassi di criminalità (violenza  domestica, abuso di alcol e droghe).

COSTRUIRE IL CAMBIAMENTO

Siamo senza speranza? No, assolutamente no.

Il numero di persone contrarie alla guerra, alla produzione e commercio di armi è in costante aumento, la difesa delle persone più fragili è un imperativo etico, la consapevolezza della necessità di difendere l’ambiente sta portando molti giovani ad un cambiamento radicale di abitudini, anche alimentari.
Ci piace citare il progetto europeo PARENT [48], che si propone di contrastare la violenza maschile promuovendo fin dalla gravidanza la partecipazione attiva dei padri al ruolo di cura, partendo dall’idea che promuovendo la parità di genere e un’equa condivisione tra uomini e donne dei carichi di lavoro familiare non retribuito, sia possibile contribuire a produrre un cambiamento culturale di fondo della società, creando i presupposti per la fine di ogni tipo di discriminazione, sfruttamento e violenza verso le donne. E non solo. Gli obiettivi specifici sono di promuovere un cambiamento, nelle pratiche e nella cultura, sui ruoli di genere nella cura, ridurre i divari fra i Paesi dell’UE nel coinvolgimento dei padri nelle cure paterne e i congedi, in una ottica di co-parenting, migliorare la percezione dell’importanza del coinvolgimento degli uomini nelle strategie per combattere la violenza maschile, promuovere la paternità partecipe, sensibilizzare sui temi della violenza contro le donne e i/le bambini/e.

Considerazioni, non conclusioni

Negli ultimi anni il concetto di intersezionalità si è ampiamente diffuso nel dibattito accademico e politico e nel linguaggio comune. Indica la sovrapposizione, intersezione, di diverse identità sociali: etnia, razza, genere, orientamento sessuale, disabilità, età, religione, tutti fattori che non possono più esser visti come a sé stanti, perché le persone non rientrano in un’unica categoria sociale e allo stesso modo le discriminazioni si confondono su diversi livelli. Il pensiero intersezionale è stato recentemente esteso a questioni ambientali, come quella dei cambiamenti climatici, dei diritti animali e dei trasporti.

L’elenco è potenzialmente sconfinato.

a cura di Luisa Mondo (medico epidemiologa e vegana) e Valeria Confalonieri (giornalista)


[1]      Zygmunt Bauman, Modernità e Olocausto, 1989

[2]      Herbert Kelman Kelman HC. Violence without moral restraint: Reflections on the dehumanization of victims and victimizers. Journal of Social Issues. 1973;29 (4) :25-61.

[3]       Adriano Favole, Resti di umanità, Vita sociale del corpo dopo la morte, ed Laterza

[4]       Ana Cristina Vargas, Colombia

[5]      https://www.associazioneapaca.eu/i-cani-nella-grande-guerra-il-cane-ambulanza/

[6]      https://www.mymovies.it/film/2015/animalinellagrandeguerra/

[7]       https://www.lav.it/news/animali-nella-grande-guerra#:~:text=Nella%20Grande%20Guerra%20furono%20undici,di%20soldati%20di%20tutta%20Europa

[8]      https://www.associazioneapaca.eu/i-cani-nella-grande-guerra-i-numeri-di-una-carneficina/

[9]      https://www.associazioneapaca.eu/i-cani-nella-grande-guerra-lo-scempio-dei-cani-delladamello/

[10]    https://www.associazioneapaca.eu/i-cani-nella-grande-guerra-cani-presi-agli-esquimesi-e-portati-sui-vosgi/

[11]    https://www.associazioneapaca.eu/i-cani-nella-grande-guerra-cani-da-traino-meglio-dei-muli/

[12]   https://it.wikipedia.org/wiki/War_Horse_(film) tratto dall’omonimo libro di Michael Morpurgo

[13]   Lucio Fabi, Il bravo soldato mulo: Storie di uomini e di animali nella Grande Guerra  2017

[14]   Federico Torresan, Cani soldato eroi dimenticati della Grande Guerra. Storia e immagini del cane militare nella prima guerra mondiale ,  2018

[15]   Giovanni Todaro Uomini e cani in guerra – Dagli egizi fino alla Tripolitania italiana  2012

[16]   https://www.storiaememoriadibologna.it/i-cani-in-guerra-1073-evento

[17]   Folco Quilici, Umili eroi, ed Mondadori

[18]   https://www.associazioneapaca.eu/i-cani-nella-grande-guerra-lo-scempio-dei-cani-delladamello/

[19]   https://rivistanatura.com/la-guerra-degli-animali-13-specie-sui-campi-battaglia%E2%80%8B/

[20]   https://www.nev.it/nev/2022/05/05/animali-in-guerra/

[21]   Giorgio bergamino e gianni palitta,  animali in guerra, 2021

[22]   https://www.storiaememoriadibologna.it/animali-al-fronte.-protagonisti-oscuri-della-grand-1074-evento

[23]   https://www.associazioneapaca.eu/i-cani-nella-grande-guerra-le-stragi-dopo-la-fine-del-conflitto/

[24]   https://www.animal-ethics.org/la-ricerca-militare-sugli-animali/

[25]   https://ogigia.altervista.org/Portale/articoli/24-segreti/1918-porton-down-l-oscuro-segreto-circa-le-armi-chimiche-del-regno-unito

[26]    https://www.animal-ethics.org/la-ricerca-militare-sugli-animali/

[27]    Folco Quilici, umili eroi, 2016

[28]    https://www.eticamente.net/26527/delfini-addestrati-dallesercito-per-la-ricerca-di-mine-lennesimo-sfruttamento-delluomo.html

[29]   https://www.difesaonline.it/mondo-militare/il-pi%C3%B9-grande-arsenale-nucleare-del-mondo-protetto-da-delfini

[30]   https://www.agi.it/estero/cane_eroe_isis_al_baghdadi_trump-6465833/news/2019-11-01/

[31]   http://informare.over-blog.it/article-il-delirio-anglosassone-lo-sconvolgente-caso-di-diego-garcia-120289812.html

[32]    https://www.associazioneapaca.eu/i-cani-nella-grande-guerra-linfamia-e-la-propaganda/

[33]   https://www.agoravox.it/Edgar-Kupfer-Diari-Caro-amico-mi.html

[34]   Theodor W. Adorno. Minima Moralia (1951)

[35]   https://comune-info.net/autori/annamaria-manzoni/

[36]   Steven Pinker , Il declino della violenza

[37]   Animal Cruelty Task Force of Southern Arizona. http://www.act-az.org/education.html

[38]   Ascione F. (2001): “Animal abuse and youth violence”. Juvenile Justice Bulletin,U.S.Department of Justice,Office of Juvenile Justice and Delinquency Prevention.Purdue University Press.

[39]   ASCIONE F.,WEBER C.V.,WOOD D. S. (1997): “TheAbuse of Animals and DomesticViolence:A National Survey of Shelters for WomenWho Are Battered”. Society and Animals, 5 (3)

[40]   HUTTON J. S.(1981): “Animal abuse as a diagnostic approach in so[40]cial work: a pilot study”. Paper presented at the International Conference on the Human/Companion Animal Bond, Philadelphia, Pa

[41]   Ascione F.,Thompsont.M.,Blackt.(1997): “Childhood cruelty to animals:Assessing cruelty dimensions and motivations”. Anthrozoos, 170–177

[42]   https://www.vita.it/it/article/2023/04/19/il-fascino-della-sofferenza-perche-i-ragazzini-maltrattano-gli-animali/166473/

[43]   il 41% ha dichiarato di averlo fatto per sfogare la propria rabbia e frustrazione, il 29% come senso di rivalsa rispetto a vissuti alienanti ed esistenziali, il 23% per un difficile rapporto col padre e l’8% con l’ambiente familiare in generale, il  17% per  omologazione e/o senso di appartenenza al gruppo dei pari, il 10% per incapacità relazionarsi nel giusto modo con un animale, il 10% ha indicato varie motivazioni tra le quali iniziazioni malavitose

[44]   il 35% ha dichiarato di averlo fatto come parte integrante di un’altra condotta deviante e/o criminale tipo  trasporto di droga nel ventre degli animali o  violenza domestica sulle partner o atti persecutori, il 27% a fine economico tipo bracconaggio, allevamento illegale e combattimenti, il 22% nel corso di un comportamento euforico dovuto all’uso di sostanze, il 19% per sadismo, il 6% in contesto di zoomafia

[45]   Sorcinelli Francesca • Manganaro Alberto • Tettamanti Massimo, Abusi su animali e abusi su umani., rivista italiana di criminologia 2012

[46]   https://animalstudies.msu.edu/Slaughterhouses_and_Increased_Crime_Rates.pdf

[47]   https://metro.co.uk/2017/12/31/how-killing-animals-everyday-leaves-slaughterhouse-workers-traumatised-7175087/

[48]   https://www.epicentro.iss.it/materno/progetto-parent


fonte: https://www.dors.it/2024/06/gli-animali-non-fanno-la-guerra/

fonte img: https://www.adhocnews.it/eroici-animali-in-guerra/

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