Cultura, leadership e “rete”: la lezione di Alessandro Liberati per la sanità pubblica. di Giulio Formoso, Maria Chiara Bassi Pubblicato

Promotore di conoscenze e della Evidence-Based Medicine, sfidando la medicina basata sull’autorità degli esperti, Alessandro Liberati ha dato un sostanziale contributo alla ricerca indipendente e alla formazione metodologica, promuovendo l’integrazione della ricerca nella sanità mirata ai bisogni dei pazienti e priva di conflitti di interesse. Il ricordo a settant’anni dalla sua nascita.


Esistono diverse possibili definizioni di “cultura”, come strumento di formazione che permette a singoli individui di acquisire un complesso di conoscenze o, più in generale, come elaborazione di queste conoscenze in un insieme di valori e di codici comportamentali propri di una società. In questo momento storico, molti sono preoccupati del possibile collasso di uno dei pilastri valoriali della nostra società, la sanità pubblica con il suo principale strumento, il Servizio Sanitario Nazionale (SSN). Ci si può domandare quali conoscenze e quale elaborazione di queste conoscenze possano non solo far sopravvivere, ma rafforzare il SSN, e quali strumenti possano promuovere tutto ciò.

Alessandro Liberati, di cui quest’anno ricorrono i settant’anni dalla nascita, è stato un grande produttore, elaboratore e promotore di conoscenze a supporto dell’universalismo in sanità. Iain Chalmers, uno dei principali ispiratori e co-fondatore con Alessandro e pochi altri della Cochrane Collaboration, parlando della produzione culturale in campo medico-scientifico e della promozione della Evidence-Based Medicine (EBM) diceva di essere lieto che Liberati e i suoi colleghi del Centro Cochrane Italiano (uno dei primi a essere fondato) avessero creato “la prima sfida all’imperialismo anglofono nell’ambito della Collaborazione“. In un seminario tenutosi lo scorso 7 giugno, in occasione della donazione fatta dalla sua famiglia di suoi libri alla Biblioteca Medica Corradini dell’AUSL di Reggio Emilia, diversi amici hanno ricordato la figura di Liberati e l’importanza che per lui avevano i libri e le riviste come strumenti di cultura, non intesa in senso statico ma dinamico, promotrice di cambiamento. Un cambiamento che nella sanità degli anni ’90, dopo aver affermato il valore dell’universalismo attraverso l’istituzione del SSN nel 1978, passava attraverso il contrasto alla medicina basata sulla parola degli esperti (che qualcuno ha definito “eminence-based” medicine), chiamati ora a supportare le proprie raccomandazioni con dati da studi il più possibile rigorosi.

Per promuovere questo cambiamento, racchiuso nell’acronimo EBM, era necessario agire su vari fronti: bisognava anzitutto essere in grado di valutare le informazioni disponibili dalla letteratura scientifica, per poter trasferire nella pratica clinica interventi e strategie con un rapporto benefici-rischi favorevole; bisognava poi essere in grado di produrre nuova ricerca, scevra da conflitti di interesse, per ridurre le “incertezze” oltre che per valutare nuovi interventi; in tutto ciò, bisognava fornire a chi era chiamato a collaborare nella valutazione e nella produzione di ricerca gli strumenti metodologici o la “cultura” necessaria, attraverso attività di formazione; bisognava infine favorire la collaborazione tra ricercatori e tra istituzioni per effettuare ricerca, indipendente da interessi commerciali, che potesse fornire le risposte cercate.

Molti articoli hanno descritto il contributo di Alessandro Liberati in tutti questi ambiti. Con la sua intelligenza, con grande energia e con la sua innata leadership (che gli permetteva di organizzare da feste e partite di calcio a reti collaborative di ricerca a livello nazionale e internazionale), è stato in grado di promuovere gli strumenti culturali e le collaborazioni necessarie a supportare un SSN efficace, efficiente e universalistico. Liberati sosteneva che all’interno di un sistema sanitario la ricerca deve essere parte integrante della sua missione, soprattutto laddove la mancanza di interessi commerciali impedisce la possibilità di investimenti privati, e che i ricercatori devono concentrarsi non su ciò che serve alla propria carriera ma su ciò che è rilevante per i pazienti, con cui è necessario creare alleanze per definire le priorità della ricerca e a cui bisogna rendere accessibili i suoi risultati.

Quella di Liberati era una leadership “sostanziale”: riconosciuta da tutti perché promuoveva conoscenze, metodo, coinvolgimento e collaborazione. Un po’ come quella del sindaco di un piccolo paese della Puglia, eletto con il 95% delle preferenze mettendo al centro i bisogni e l’ascolto dei propri concittadini, promuovendone il coinvolgimento e mettendo la “cultura” al centro, dimostrando che “con la cultura si può mangiare”. La lezione di Alessandro è stata che con la cultura, con libri, riviste, studio, ricerca e collaborazione si può produrre salute, confrontandosi sulle scelte più appropriate per sostenere la sanità pubblica. L’associazione che porta il suo nome, anche se orfana della sua leadership, cerca di promuovere questi concetti, questa lezione, l’idea di mettere in “rete” conoscenze e azioni comuni. Abbiamo in preparazione un convegno che tratterà delle criticità nella promozione di raccomandazioni nell’ambito del SSN, che derivino da un processo metodologicamente rigoroso e non influenzato da conflitti di interesse. Tema quanto mai caldo in un momento di grave difficoltà per la sanità pubblica, che ha senz’altro bisogno di più risorse, ma anche che queste risorse vengano utilizzate in modo efficiente ed appropriato. La “cultura” EBM e la collaborazione tra persone che hanno a cuore la sanità pubblica sono ancora, e più che mai, strumenti da promuovere e consolidare.

fonte: https://www.scienzainrete.it/articolo/cultura-leadership-e-%E2%80%9Crete%E2%80%9D-lezione-di-alessandro-liberati-sanit%C3%A0-pubblica/giulio-formoso

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