Introduzione
Il tema dell’accesso all’assistenza sanitaria e alle diverse opportunità di prevenzione e di cura che il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) offre a tutta la popolazione secondo un approccio universalistico ha conquistato di recente una posizione centrale in seno al dibattito sulla promozione e sulla tutela della salute di migranti, Rom, Sinti, Caminanti, persone senza dimora e, più in generale, di gruppi di popolazione “difficili da raggiungere” per i servizi sanitari, a causa della loro localizzazione geografica, della situazione sociale, culturale, politica o economica (i cosiddetti gruppi hard-to-reach) o perché non vogliono essere trovati o intercettati (hidden populations) (1, 2). Si tratta di gruppi che vivono spesso in uno stato di più generale emarginazione definibile, secondo l’Enciclopedia Treccani, come “la condizione di chi viene relegato ai margini, cioè alla periferia del sistema sociale”, che può implicare “la mancata integrazione di alcuni gruppi e categorie di persone che non partecipano ai processi produttivi, decisionali e distributivi fondamentali della società” e che può esitare “nell’esclusione […] dalla fruizione di alcuni diritti fondamentali” (3).
In questi anni si sono consolidate strategie sanitarie di prossimità, volte a favorire l’accesso alle cure e la presa in carico di questi gruppi e categorie di persone collocati ai margini della società, attraverso l’offerta attiva di prestazioni e/o l’introduzione di misure orientate a una maggiore fruibilità dei percorsi assistenziali (4-6).
Tuttavia, la garanzia dei diritti (nello specifico di quelli sanitari) non può esaurirsi nell’idea che i margini esistenti siano resi permeabili attraverso opportuni interventi di sanità pubblica di prossimità, ma deve anche implicare uno sforzo teso a spostare gli stessi margini sociali mediante l’adozione di politiche globali e scelte locali maggiormente inclusive, in grado di ridisegnare il sistema, modificando i confini dati.
Nell’ambito di questo contributo, a partire da una riflessione relativa al valore che può essere attribuito al concetto di prossimità in ambito sanitario, si intende presentare il framework della sanità pubblica di prossimità quale complesso di strategie volte a favorire l’accesso alle opportunità di cura e presa in carico dei gruppi hard-to-reach e nel contempo avanzare alcune suggestioni relative all’esigenza di “ forzare” il margine sociale in una prospettiva trasformativa.
Prossimità sanitaria: dove, come, con chi
In termini tanto concettuali quanto operativi, la prossimità sanitaria rimanda all’idea di movimento: un “andare verso” i territori e le comunità che può essere inteso nella triplice accezione di posizione, postura e partecipazione (7).
La posizione ha a che fare con il “dove” si eroga l’assistenza e/o si collocano i servizi. In questa accezione, la sanità di prossimità prevede la vicinanza fisica alle persone, realizzata attraverso un decentramento di parte dell’offerta o mediante attività svolte “con la suola delle scarpe”, ossia andando direttamente nei luoghi di vita, di lavoro o di incontro dei gruppi in favore dei quali si interviene. Un esempio in questo senso è rappresentato dai programmi di offerta attiva o dalle attività di assistenza domiciliare.
La postura si riferisce invece al “come” e riguarda il modo di stare in relazione dei servizi e degli operatori. Implica, ad esempio, la capacità di guardare oltre le mura delle strutture per conoscere i bisogni sanitari, soprattutto quelli che non hanno la forza o la capacità di tradursi in domanda, ma anche per cogliere il punto di vista dei cittadini, in modo da riformulare l’assistenza in chiave di maggiore fruibilità e rispondenza alle aspettative e ai bisogni dell’utenza.
La partecipazione, infine, riguarda il “con chi”. È caratterizzata dalla creazione di sinergie con le risorse di cura e di assistenza “altre” rispetto a quelle garantite dai servizi, con la società civile e con il capitale sociale che anima i territori, a partire dalle organizzazioni del terzo settore e dalle associazioni dei pazienti, fino ai caregiver informali, in un’ottica di sussidiarietà circolare (8) che si avvantaggi di una lettura condivisa dei bisogni e di una costruzione corresponsabile delle risposte e, più in generale, delle politiche in ambito sanitario.
La sanità pubblica di prossimità: rendere permeabili i confini
Nell’ambito della sanità pubblica di prossimità, alla luce delle esperienze maturate in questi anni sul campo (9-14) e di quanto disponibile nella letteratura scientifica (15-17), emergono modelli di attività in favore di gruppi fragili o in condizione di marginalità socioeconomica riconducibili a tre linee strategiche di intervento, che possono contribuire a ridurre le disuguaglianze sanitarie tra i soggetti vulnerabili e la maggioranza della popolazione, benché abbiano un impatto limitato sulle disparità dovute ad aspetti strutturali: l’outreach, la mediazione di sistema, il coinvolgimento attivo delle comunità.
Outreach
L’outreach può essere definito come un approccio organizzativo e strategico che prevede l’offerta attiva di misure preventive (ad esempio, vaccinazioni) e di prestazioni sanitarie di primo e secondo livello, e la realizzazione di attività di educazione alla salute e di orientamento ai servizi sanitari, al di fuori degli spazi tradizionalmente deputati alla cura e, in genere, nei luoghi di vita o di lavoro dei gruppi target.
È una strategia per così dire ad extra, in cui si chiede agli operatori di uscire dai servizi sanitari, per raggiungere coloro che altrimenti non riuscirebbero ad accedere alle cure o non arriverebbero a formulare una richiesta di aiuto.
Le attività sono realizzate mediante l’impiego di équipe sociosanitarie multidisciplinari e multiprofessionali e si avvalgono tipicamente di cliniche mobili, ma possono prevedere anche l’allestimento di spazi dedicati alle attività nei luoghi di vita delle comunità o in prossimità di essi (stazioni ferroviarie, mercati, luoghi di culto, insediamenti autorizzati e non).
Generalmente si tratta di interventi realizzati su scala locale e quindi di ridotte dimensioni e di breve durata, anche in relazione ai costi aggiuntivi che implicano per l’SSN. A tale proposito, è necessario comunque sottolineare come tali interventi, sebbene spesso richiedano un impegno significativo di risorse e di mezzi, arricchiscano l’intero sistema dei servizi in termini di conoscenze e competenze, poiché i professionisti impiegati in questi programmi crescono umanamente e professionalmente, attraverso il lavoro in team e l’esperienza nella gestione della relazione transculturale.
Sono interventi che prevedono, in molti casi, una stretta collaborazione con le organizzazioni del privato sociale, a cui può essere affidata parte della risposta, ma che soprattutto sono in grado di fare da intermediari tra le istituzioni sanitarie e le comunità, in virtù della presenza capillare sui territori e della maggiore flessibilità di azione. Per la buona riuscita delle attività realizzate in outreach, infatti, è essenziale che vi sia una relazione tra gli operatori sanitari e la popolazione fondata sulla fiducia: solo l’affidabilità e la coerenza dei professionisti possono garantire una reale partecipazione dei gruppi target a quanto proposto, e portare a dei cambiamenti duraturi nei comportamenti. Centrale rimane, comunque, il ruolo di indirizzo e coordinamento svolto dal servizio pubblico rispetto alle organizzazioni del privato sociale, che permette di superare le difficoltà legate all’interruzione della continuità delle cure, causata dal fatto che spesso le organizzazioni del terzo settore operano nell’ambito di progetti e finanziamenti discontinui e determinati nel tempo, nonché alla frammentarietà e/o alla sovrapposizione di interventi realizzati in uno stesso contesto da stakeholder differenti e non inseriti in una logica di sistema.
Mediazione di sistema
È una strategia che potrebbe essere definita ad intra, in quanto riguarda più direttamente l’organizzazione dei servizi, includendo attività finalizzate a ottenere una maggiore accessibilità e fruibilità dell’assistenza. Tuttavia, affinché l’offerta sanitaria sia efficace, deve definirsi a partire dai bisogni espressi dalla popolazione di riferimento; in questo senso, nell’ambito di interventi di mediazione di sistema, è necessario prevedere iniziative “oltre le mura”, volte alla conoscenza dei territori.
In letteratura (18, 19) si riportano esempi di attività che rientrano nella definizione di mediazione di sistema, ascrivibili ad almeno tre diversi ambiti:
- l’impiego di figure di riferimento (come i case-manager) e di facilitazione (ad esempio, i mediatori culturali, gli interpreti professionali presso i servizi, il personale straniero in pianta organica, da utilizzare in accoglienza o durante le fasi del percorso assistenziale);
- l’adozione di modalità organizzative a bassa soglia, come la creazione di punti unici d’accesso (PUA) sociosanitari o il loro potenziamento, una maggiore flessibilità negli orari di apertura dei servizi, l’utilizzo di facilitatori culturalmente orientati per il supporto negli adempimenti burocratici, l’impiego di materiale informativo multilingue, la creazione di percorsi assistenziali dedicati;
- la programmazione e la realizzazione di piani di formazione per gli operatori, che includano anche periodi di training sul campo, ossia all’interno dei contesti di vita delle popolazioni oggetto degli interventi.
Coinvolgimento delle comunità
La strategia prevede la formazione e il coinvolgimento da parte del sistema sanitario di individui e istituzioni comunitarie (famiglie, associazioni, network informali, ecc.) come agenti attivi di cambiamento e facilitazione nei processi legati alla promozione e alla tutela della salute.
È possibile individuare almeno tre modelli di intervento che fanno capo a questa strategia: la ricerca partecipata, le figure di raccordo tra comunità e servizi sanitari, la peer education.
Per ricerca partecipata si intende la realizzazione di indagini e attività nell’ambito delle quali le comunità non sono considerate esclusivamente come risorse attraverso cui reperire informazioni circa i bisogni di salute o la percezione locale dei fenomeni di salute/malattia, ma anche come attori coinvolti nell’elaborazione di strategie condivise di intervento. In genere, a livello operativo si prevedono più momenti di incontro/fasi di intervento tra membri delle comunità target e professionisti sanitari e sociali, nell’ambito dei quali si avviano processi di conoscenza reciproca e discussione in merito a specifiche questioni di salute, per arrivare all’elaborazione congiunta di azioni strategiche. L’assunto di fondo da cui prendono le mosse gli interventi riconducibili a tale modello è che, soprattutto rispetto al lavoro con le minoranze, la conoscenza delle credenze e delle pratiche relative alla salute è importante per pianificare le attività e fornire informazioni culturalmente appropriate. Allo stesso tempo, tali interventi si avvantaggiano dell’abilità propria dei gruppi di identificare problemi e sviluppare soluzioni a partire dalle risorse individuali e comunitarie, favorendo, ad esempio, lo sviluppo di una riflessione sul ruolo della famiglia, della comunità e dei servizi nel fornire cure e supporto, e circa il modo in cui le risorse sociali interne alle comunità possono essere utilizzate e attivate al fine di aumentare la consapevolezza su specifiche patologie e il ricorso ai servizi.
Le figure di raccordo tra comunità e servizi sono rappresentate da persone generalmente provenienti dai gruppi in favore dei quali si intende intervenire che, appositamente formate, fungono da trait d’union lavorando non all’interno delle strutture sanitarie ma direttamente sui territori, nei contesti in cui le popolazioni oggetto degli interventi vivono o lavorano. Tali figure possono concorrere ad accrescere la conoscenza dei professionisti della salute rispetto ai gruppi di provenienza, offrendo un quadro informativo sulla percezione della salute, su aspetti problematici nell’interazione tra il sistema sanitario e la comunità, sui metodi di comunicazione più appropriati; possono lavorare, inoltre, in attività preventive e di educazione alla salute, cooperando con le istituzioni sanitarie in vari modi (ad esempio, introducendo nei contesti, accompagnando i pazienti, prendendo appuntamenti, ecc.); consentono, infine, di facilitare l’accesso al sistema sanitario fungendo da riferimento per l’orientamento ai servizi all’interno del proprio contesto di vita, in una prospettiva di autonomizzazione.
Alla peer education afferiscono gli interventi volti al rafforzamento delle capacità delle comunità. Nell’educazione tra pari un membro del gruppo, adeguatamente preparato, svolge attività formative nei riguardi di altri membri della sua stessa comunità, pianificate nell’ambito di progetti finalizzati o spontanee sul lungo periodo. Gli approcci tra pari possono potenzialmente raggiungere un gran numero di soggetti (anche quelli normalmente più difficili da contattare) e paiono complessivamente più efficaci rispetto alle consulenze professionali. Infatti, l’implementazione di attività educative a livello comunitario, realizzate da membri delle comunità, utilizzando un linguaggio quotidiano, appare culturalmente molto più accettata e ottiene risultati migliori nell’accrescere la consapevolezza e nello stimolare al cambiamento. Come per le figure di raccordo, resta aperto il tema delle modalità e dei termini per l’identificazione dei referenti delle comunità da coinvolgere nelle attività.
Spostare il margine a garanzia della salute per tutti
La sanità pubblica di prossimità, descritta nei paragrafi precedenti, può essere intesa come una sorta di cassetta degli attrezzi, costituita da indicazioni metodologiche e strumenti sviluppati a partire da quanto è stato già fatto e ha funzionato, che permette di costruire, come in una bottega artigiana, gli interventi “giusti” per ciascun contesto (20). La sanità pubblica di prossimità, tuttavia, lavora “con quel che c’è”, ha spesso una funzione emergenziale (4) e non determina un cambiamento strutturale rispetto al margine sociale.
Per contro, agire sul margine, spostandolo in un’ottica di progressiva inclusione, vuol dire tenere conto delle condizioni e delle dinamiche socialmente prodotte che influenzano i processi di salute-malattia, mediante l’adozione di politiche sanitarie utili a garantire un ampliamento del diritto all’assistenza (si pensi, ad esempio, a quanto realizzato con l’introduzione del codice STP, straniero temporaneamente presente); ma anche attraverso azioni intersettoriali in grado di intervenire sui determinanti sociali della salute quali il lavoro, la dimensione abitativa e l’istruzione, secondo quanto previsto dalla strategia “Salute in tutte le politiche” elaborata dall’Unione Europea, dall’approccio Health Impact Assessment promosso dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, dal modello One Health e, in generale, da tutte quelle politiche legate allo sviluppo integrale della persona e dell’ambiente in un’ottica di giustizia sociale (21-22).
Lo sviluppo e l’attualizzazione di tali politiche di welfare possono utilmente giovarsi dell’apporto dei corpi intermedi secondo un’ottica di sussidiarietà circolare, in cui le istituzioni pubbliche interagiscono in maniera paritetica con la società civile organizzata, ai diversi livelli della programmazione, della realizzazione e della valutazione delle attività (8).
Riferimenti bibliografici
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FONTE: https://www.epicentro.iss.it/ben/2023/4/marginalita-sociale-prossimita-sanitaria
Autori:
Erica Eugeni, Giovanni Baglio: Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali, Roma
Salvatore Geraci: Area Sanitaria Caritas Roma