La procedura per deficit eccessivo decisa dalla Commissione nei confronti dell’Italia dovrebbe comportare un aggiustamento di bilancio di circa 10-12 miliardi l’anno per un triennio. Bisogna però tener conto anche delle regole del nuovo Patto di stabilità.
La decisione della Commissione
Come del tutto previsto e anticipato, il 19 giugno la Commissione europea ha deciso di aprire una procedura per deficit eccessivo nei confronti dell’Italia e di altri sei paesi, tra cui Francia e Belgio. La procedura è stata aperta perché il deficit di questi paesi nel 2023 è stato non solo più elevato del limite previsto del 3 per cento (il 7,4 per cento nel caso dell’Italia, benché il dato sia un po’ gonfiato dalla contabilizzazione per competenza dei crediti edilizi), ma anche perché la deviazione non è stata considerata “temporanea e limitata”, a differenza di quello che è successo per altri stati (per esempio, Spagna e Finlandia) che pure hanno presentato un deficit superiore alla soglia.
Una volta attivata, la procedura richiede che il paese si impegni a correggere il disavanzo, adottando azioni significative entro sei mesi, ma con un percorso di aggiustamento che dura generalmente più anni, in media tra i 3 e i 5 anni, a seconda della gravità della violazione. In un dialogo serrato con il paese e a seguito dell’approvazione del percorso di rientro da parte del Consiglio, la Commissione definisce le correzioni da apportare al bilancio annualmente per rientrare dal deficit e ne monitora l’applicazione. Se il paese non si adegua, sono previste sanzioni monetarie (cioè, multe), che aumentano nel tempo se il paese continua a non correggere i suoi conti. Anche l’accesso ai fondi strutturali o di coesione del bilancio europeo potrebbe essere negato a un paese in procedura che continui a non prendere adeguati provvedimenti.
In passato, la Commissione non ha mai proposto (anche quando avrebbe potuto farlo) l’introduzione di sanzioni (tra l’altro, ridotte nella appena approvata riforma delle regole fiscali, allo scopo appunto di renderne “più credibile” l’utilizzo). Ciò non significa che la procedura di infrazione sia ininfluente. L’evidenza empirica mostra come generalmente i mercati reagiscano peggiorando il merito di rischio del debito di un paese messo sotto procedura, richiedendo cioè il pagamento di interessi più alti (un maggior spread) per acquistarne i titoli, rendendo dunque ancor più necessario il processo di aggiustamento. In più, oggi, non adeguarsi alle richieste della Commissione per la procedura, potrebbe voler dire non poter accedere al Tpi (Transmission Protection instrument) in caso di bisogno. Introdotto dalla Banca centrale europea nel 2022, il Tpi intende rassicurare i mercati sul fatto che gli spread non si amplieranno più di tanto in futuro: la Bce si è impegnata a intervenire, acquistando i titoli del paese nella misura necessaria, se percepisce che l’incremento dello spread non sia giustificato dai fondamentali di mercato.
L’intreccio di nuove e vecchie regole
Ma che significa in pratica la procedura di infrazione? La Commissione non ha ancora proposto al Consiglio (che deve approvarlo) il processo di aggiustamento che un paese in procedura dovrà seguire per rientrare dal deficit. A questo punto, probabilmente, non lo farà fino a ben dopo l’estate. La ragione è che l’innesto della procedura (che fa riferimento al “braccio correttivo” del Patto di stabilità e crescita) avviene in contemporanea con l’introduzione della riforma del “braccio preventivo” del Psg. Sulla base di quest’ultima, l’Italia, così come tutti gli altri paesi con un debito sul Pil superiore al 60 per cento o un deficit maggiore del 3 per cento, dovrà presentare in autunno (in teoria entro il 20 settembre 2024) un Piano fiscale e strutturale, di durata quadriennale o settennale, che riporti il rapporto debito su Pil su una traiettoria ragionevolmente decrescente alla fine del periodo.
Proprio per aiutare i singoli stati nella formulazione del Piano, il 21 giugno la Commissione presenterà delle “traiettorie di riferimento” per l’evoluzione futura della spesa primaria “netta” (cioè, al netto degli interessi e di eventuali incrementi discrezionali delle entrate) che ciascun paese dovrebbe seguire nei prossimi anni per conseguire l’obiettivo. Le traiettorie non verranno rese pubbliche fino alla presentazione (e approvazione da parte della Commissione) del Piano di ciascun paese. Che potrà in parte discostarsi dalle traiettorie indicate sulla base di accordi presi durante un “dialogo tecnico” tra paese e Commissione, purché le eventuali variazioni siano giustificate sul piano economico (per esempio, sulla base di stime di crescita futura diverse da quelle della Commissione).
Evidentemente, la Commissione sta cercando di armonizzare le due diverse procedure (che tra l’altro sono regolamentate da documenti legislativi diversi), per evitare che entrino in conflitto. Questo però crea un’incertezza sul processo di rientro che sarebbe stato meglio evitare.
Tutto quello che si può dire con certezza per il momento è che la procedura di infrazione (per norma di legge) richiede un aggiustamento di “almeno lo 0,5 per cento del deficit strutturale” all’anno, cioè circa 10 miliardi per l’Italia. Va però aggiunto che la riforma appena approvata introduce un periodo di transizione (fino al 2027) in cui l’aggiustamento richiesto deve “considerare” l’incremento negli interessi che si è avuto nel periodo, nonché la necessità di completare gli investimenti previsti dai Pnrr nazionali. È dunque molto probabile che la Commissione introduca la correzione dovuta alla procedura di infrazione nelle traiettorie di riferimento proposte a ciascun paese, lasciando al successivo dialogo tecnico bilaterale la definizione esatta del livello di aggiustamento previsto nei prossimi anni nell’ambito del Piano.
L’aggiustamento per l’Italia
Pur rimanendo nell’ambito delle ipotesi, pare ragionevole pensare, anche alla luce delle stime svolte da parte dell’Ufficio parlamentare di bilancio e di altri organismi tecnici, che l’aggiustamento richiesto all’Italia nei prossimi tre anni si aggiri attorno ai 10-12 miliardi all’anno, sia per uscire dalla procedura nel prossimo triennio che per seguire il Piano negli anni successivi.
Il Documento di economia e finanza presentato dal governo ad aprile proponeva solo il quadro a legislazione vigente, e l’aggiustamento lì implicito è per l’appunto più o meno in linea con la correzione che verrà probabilmente richiesta.
Il problema però è che questo quadro, proprio perché solo a legislazione vigente, non tiene conto di tutti gli interventi finanziati per il solo 2024. Si tratta di circa 20 miliardi di euro, comprendenti tra l’altro il taglio dei contributi fiscali per i lavoratori dipendenti (che vale da solo oltre 10 miliardi di euro) e il primo modulo della riforma dell’Irpef (per circa altri 4 miliardi).
È chiaro che se il governo intende rifinanziare questi interventi per i prossimi anni dovrà trovare coperture adeguate, o tagliano altre spese o aumentando altre imposte.
fonte: https://lavoce.info/archives/105011/e-alla-fine-arriva-la-procedura-di-infrazione/
fonte immagine: https://www.aiafrosinone.it/glossario/ammonizione
Massimo Bordignon si è laureato in Filosofia a Firenze e ha svolto studi di economia nel Regno Unito (MA, Essex; PhD, Warwick). Si occupa prevalentemente di temi di economia pubblica. Ha insegnato nelle Università di Birmingham, Bergamo, Brescia, Venezia e come visiting professor negli USA, in Svezia, Germania e Cina. Attualmente è professore ordinario di Scienza delle Finanze presso l’università Cattolica di Milano, dove ha diretto anche il Dipartimento di Economia e Finanza e la Doctoral School in Public Economics. Ha svolto e svolge tuttora attività di consulenza per enti pubblici nazionali e internazionali ed è stato membro di numerose commissioni governative, compresa la Commissione sulla Finanza Pubblica presso il Ministero del Tesoro nel 2007-8. È attualmente membro dell’European Fiscal Board, un comitato di consulenza del Presidente della Commissione Europea e Vicepresidente esecutivo dell’Osservatorio sui conti pubblici dell’Università Cattolica.