Chi ha fatto politica tra la fine degli anni Sessanta e i primi Settanta del secolo scorso forse ricorda quanto fu importante Marco Cavallo, quella scultura di cartapesta voluta da Franco Basaglia, dal suo team di lavoro, e dai “matti” dell’ospedale psichiatrico di Trieste, che una domenica di marzo del 1973 uscì dal manicomio, all’aria aperta, per rompere le mura dell’isolamento, per conquistare la libertà che veniva negata a migliaia e migliaia di persone allora tenute in strutture di segregazione, di violenza, di oppressione.
Una volta, per seguire quell’ondata libertaria, andammo – come militanti della sinistra extra parlamentare – a manifestare davanti al Santa Maria sella Pietà, a Roma, un manicomio, e uno dei lager, neppure il peggiore, dove erano prigionieri i cosiddetti “matti”, per chiederne la chiusura. Eppure, da noi militanti di sinistra che credevamo di batterci per la rivoluzione, quella vera rivoluzione voluta da Basaglia, che portò alla legge 180 del 13 maggio del 1978, all’inizio non fu molto compresa. Probabilmente perché credevamo nella politica in senso stretto, perché eravamo presi di più dai problemi socio-economici, perché forse eravamo convinti che in fin dei conti i matti esistevano davvero, anche se ritenevamo inaccettabili i trattamenti che subivano. Le camicie di forza, i letti di contenzione, gli elettroshock, erano le cose da combattere: quei lager erano un’offesa all’umanità.
Basaglia fece scoprire agli italiani, una realtà nascosta. E negata. Perché la società ne aveva paura. D’altronde un tempo una persona finiva in manicomio, in ospedale psichiatrico, solo perché qualcuno – spesso un familiare – la considerava non normale. Allora capimmo che il confine tra normalità è follia era, ed è, molto labile. E che forse eravamo, e siamo, tutti un po’ folli. Si pensi a quegli omicidi (non i femminicidi) che avvengono in famiglie considerate normalissime: lasciano di stucco, sorprendono, sono incomprensibili. L’omicida viene descritto dai vicini sempre con battute tipo “era una persona così tranquilla”. Si pensi alle stragi compiute nelle scuole, nelle università americane, da giovani che fino al giorno prima dell’eccidio si erano comportati in modo assolutamente normale. Vuol dire che c’è un filo sottile che si può spezzare molto facilmente.
Andando a ritroso, e alla luce dei tanti fatti di violenza quotidiana che ci stupiscono, ora comprendiamo meglio il cambiamento culturale basagliano. Che ruppe il muro della separazione tra normalità e follia, facendo entrare quest’ultima nella nostra quotidianità, facendoci capire che potenzialmente siamo tutti un pò matti. Perciò il primo passo doveva essere il superamento dei manicomi. Non era dunque la negazione dell’esistenza della follia. Perché i disturbi mentali esistevano allora, esistono oggi. Ma la chiusura di quelle strutture di orrore, dove tanti disgraziati finivano senza un vero perché e venivano maltrattati quotidianamente, e segregati per l’intera vita, era obbligatoria. Quel mondo doveva finire. E così è stato. Anche se la salute mentale, adesso più di prima, è un problema. Non irrisolto (perché è irrisolvibile), che non viene affrontato con in modo adeguato. E perché ancora resiste qualche residuo degli orrori del passato.
Tuttavia, da quella data storica, sono stati fatti progressi per la conquista di una migliore salute mentale che, come sancisce anche l’Oms, “è parte integrante della salute e del benessere”. Perciò non va affrontata separatamente, ma intervenendo a 360 gradi sugli aspetti sanitari, sociali, che influiscono appunto sulla salute. Curando le persone con disturbi, aiutandole a liberarsi. Soprattutto dalle loro condizioni, dalle loro ossessioni. Un lavoro che solo un personale assistenziale “di qualità” può affrontare. Perché spesso le situazioni sono difficili da vivere e da gestire, e a volte devastanti perfino per l’equilibrio psichico di medici, infermieri, come mi spiegò una volta un addetto ai lavori. E se la 180 è stata uno spartiacque che ha aumentato il nostro livello di democrazia e soprattutto di civiltà (secondo l’Oms l’Italia ha la legge più rispettosa dei diritti delle persone con disturbi mentali), è vero che è stata una conquista anche per chi ha lavorato nei manicomi.
La legge con tutti i limiti, i ritardi, le difficoltà di attuazione, resta un baluardo nella difesa dei diritti civili e sociali dei soggetti più fragili. Ma, appunto, c’è molto cammino da fare. Perché dopo la chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, resta il problema delle strutture separate, dei cronicari, mentre il vero obiettivo è la non separazione dei malati mentali dal loro ambiente di vita. Perciò gli addetti ai lavori scrivono che “serve un rilancio che parta dalla riqualificazione dei servizi di salute mentale e più in generale delle politiche sanitarie e sociali, insieme ad una ripresa della battaglia culturale per sradicare lo stigma, che associa pericolosità e follia, emarginando e discriminando le persone con disturbi mentali e i loro familiari”. Da qui la richiesta alle istituzioni di una Conferenza nazionale sulla Salute mentale. Oggi sono necessari Dipartimenti di Salute Mentale meglio organizzati, centri di salute mentale aperti 24 ore su 24, strutture per l’integrazione sociale, personale più preparato, un volontariato consapevole, formazione per i familiari, il coinvolgimento attivo delle persone con disturbi mentali, il superamento totale degli Opg, la fine dei trattamenti violenti, più attenzione alle politiche di integrazione.
Bisogna riannodare i fili che dividono la normalità dalla follia, che solo nelle fasi acute può richiedere interventi coercitivi. In sostanza si tratta di prendere in carico le persone “malate”. Che non sono poche. Dall’ultimo rapporto sulla Salute Mentale, risulta che nel 2015 sono state seguite dai servizi quasi 800 mila persone. Un problema sociale non marginale. E che invece chi non è coinvolto, più o meno direttamente, rimuove.
Un’ultima considerazione. Rispetto ai diritti e agli insegnamenti che ha portato con sé la 180, c’è qualcosa di particolare che dovremmo sempre tener presente, a maggior ragione in questa fase storica segnata da intolleranza, insofferenza, violenza: è l’accettazione, il riconoscimento, il rispetto della persona “diversa”. Perché il mondo non può essere migliore se non vengono difesi i soggetti più deboli e più fragili della società. E i “matti” sono tra questi.
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Fonte: R.it Blog