Nell’industria biofarmaceutica, il sistema dei brevetti è fondamentale per l’innovazione. Può però limitare l’accesso ai farmaci. Un equilibrio si può trovare con nuovi meccanismi di protezione della proprietà intellettuale e finanziamenti pubblici mirati.
Pubblico e privato nella R&S biofarmaceutica
L’industria biofarmaceutica gioca un ruolo centrale nello sviluppo di nuovi farmaci e vaccini. Negli ultimi anni, nei paesi Ocse, il settore privato ha contribuito per circa il 70 per cento (129 miliardi di dollari nel 2021) alla spesa totale in ricerca e sviluppo biofarmaceutica, mentre il restante 30 per cento (69 miliardi di dollari nel 2021) proviene da finanziamenti pubblici. Sono gli Stati Uniti che coprono i due terzi del totale dei finanziamenti, pubblici e privati.
Tuttavia, l’efficacia della spesa in R&S è un tema controverso. Nonostante la sua crescita, l’aumento dei prodotti in fase di sviluppo e la diffusione di nuovi farmaci innovativi, la produttività della ricerca è diminuita: il numero di approvazioni di nuovi farmaci per dollaro investito è in calo da anni (Oecd, 2023 e Oecd, 2021). Avviene per tanti motivi, compresa la diminuzione della ricerca di base da parte delle grandi imprese farmaceutiche. Fra gli indiziati, però, c’è anche il sistema dei brevetti. Ci si deve quindi chiedere come il sistema brevettuale possa guidare l’innovazione in modo efficiente ed equo.
L’uso dei brevetti e i costi sociali
Senza i brevetti, si ridurrebbe significativamente la R&S privata a causa dell’alta imitabilità e dei bassi costi marginali dei prodotti farmaceutici. Inoltre, i brevetti facilitano i mercati delle tecnologie e il trasferimento tecnologico, consentendo alle nuove imprese di accedere ai mercati finanziari e commercializzare le loro scoperte. A partire dalla rivoluzione biotecnologica, fino allo sviluppo dei recenti vaccini mRNA, i brevetti sono usati per favorire una divisione del lavoro e una collaborazione tra imprese e tra settore pubblico e privato.
I brevetti possono però portare a prezzi eccessivamente alti, limitando l’accesso ai farmaci. In particolare, quelli innovativi sono molto costosi e c’è il rischio che possano essere utilizzati solo da una élite ristretta di ammalati.
Una prima potenziale soluzione può passare per la regolamentazione dei prezzi. In Italia, sono negoziati attraverso varie forme di valutazione dell’impatto economico del farmaco sul sistema sanitario e spesso non riflettono i costi in ricerca e sviluppo sostenuti dalle imprese. Probabilmente, si potrebbero ottenere risparmi maggiori con una negoziazione centralizzata a livello europeo almeno sui farmaci innovativi considerati irrinunciabili. Va inoltre tutelata e rafforzata la concorrenza alla scadenza del brevetto e vanno monitorati e disincentivati i comportamenti delle imprese tesi a prolungare in modo improprio la durata della protezione brevettuale (per esempio con l’uso di divisionals e secondary patents. Per le politiche antitrust in campo farmaceutico si veda qui; un caso recentissimo qui).
Ci dovrebbe poi essere un maggiore investimento pubblico che abbia la capacità di sviluppare prodotti farmaceutici accessibili e svincolati da diritti esclusivi, in particolare su linee ad alto valore sociale in cui i brevetti da soli non generano sufficienti incentivi. Per esempio, antibiotici e antivirali o cure preventive (legate all’alimentazione o agli stili di vita) o cure per le quali il tasso di sopravvivenza si misura molto in là nel tempo. Senza contare che non tutti i farmaci innovativi sono ugualmente efficaci. Dato il loro costo, è fondamentale quindi che l’autorità pubblica valuti con attenzione se gli attuali incentivi normativi e di rimborso siano strutturati in modo appropriato per facilitare lo sviluppo dei farmaci più efficaci per i pazienti con le maggiori necessità. Lo si dovrebbe fare anche rafforzando filiere produttive, in Italia e in Europa, che consentano un accesso più equo.
Gli economisti hanno studiato diversi meccanismi di incentivi alternativi al brevetto per indirizzare la ricerca privata verso innovazioni ad alto valore sociale: sussidi con meccanismi di asta, patent buyouts, adesione da parte di imprese a schemi di ricerca pubblica senza brevetti e premi per indirizzare la ricerca verso obiettivi di rilevanza sociale (il tema è stato affrontato su lavoce.info qui e qui, e anche discusso qui). Sono tutti schemi che potrebbero funzionare in parallelo al sistema brevettuale e che hanno l’obiettivo di generare incentivi per lo sviluppo di nuovi farmaci, lasciando però l’innovazione nel dominio pubblico, così da ottenere più concorrenza e riduzione di prezzi.
Il contributo delle università e dei centri di ricerca pubblici
Università e centri di ricerca pubblici svolgono un ruolo fondamentale nel panorama biofarmaceutico, spesso detenendo brevetti per innovazioni cruciali come nei sistemi Crispr e mRNA. Questi brevetti non solo producono redditi da reinvestire (qui un esempio), ma possono (e dovrebbero) anche essere usati per il controllo della tecnologia a fini di pubblica utilità (qui un altro esempio).
In questi casi è importante che università e centri pubblici si attengano a precise linee guida, per esempio, evitando licenze esclusive e non ostacolando l’uso di strumenti di ricerca (qui un esempio). Alcuni centri di ricerca, come l’Istituto Mario Negri di Milano, preferiscono invece non usare il brevetto, mettendo in evidenza le distorsioni che i brevetti possono portare nell’orientamento e nella selezione dei temi di ricerca.
In campi dove la ricerca è cumulativa e complessa, come per i vaccini mRNA, l’attività innovativa può essere ostacolata da un sistema brevettuale frammentato e costoso. In particolare, in tecnologie emergenti, non è sempre chiara l’ampiezza e la validità delle rivendicazioni, tanto più che molti brevetti sono ancora sotto esame e lontani dall’essere concessi. In questi casi i costi di transazione, di negoziazione e i contenziosi sono molto onerosi. Soluzioni come i patent pledges e i patent pools possono ridurre le barriere all’ingresso e facilitare la collaborazione (su lavoce.info il tema è stato trattato qui e qui).
Il sistema brevettuale ha un ruolo importante nell’innovazione biofarmaceutica, ma deve essere bilanciato con politiche che ne riducano i costi sociali e aumentino l’accessibilità ai farmaci. Migliorare in modo mirato l’intervento pubblico e sperimentare meccanismi di incentivi diversi dal brevetto possono contribuire a un sistema più equo ed efficiente.
Fonte: https://lavoce.info/archives/104933/i-rischi-della-salute-brevettata/
Fabio Montobbio è Professore Ordinario di Economia Applicata presso Il Dipartimento di Politica Economica dell’Università Cattolica di Milano. Ha un Master in Economics and Econometrics e un PhD in Economics conseguiti presso l’Università di Manchester. L’attività di ricerca riguarda l’economia dell’innovazione, economia della scienza e proprietà intellettuale. Insegna principalmente Economia Industriale e Innovazione e proprietà intellettuale.