È in pericolo il diritto alla Salute per tutti.
La grave crisi che sta subendo il SSN pubblico, la progressiva ritirata dei servizi sociali, lo stato dei servizi e delle attività per assicurare il diritto alla salute e alle cure, espongono milioni di persone a un’inaccettabile condizione di abbandono.
Dopo la tragedia della pandemia, sembrava ovvio e scontato continuassero gli investimenti per la sanità pubblica decisi nel 2020 e 2021 per fronteggiare l’emergenza, e rilanciati con il Pnrr, dopo anni di definanziamento del Servizio sanitario nazionale. Invece, il governo Meloni sin dal suo insediamento ha programmato una riduzione della spesa sanitaria e poi – con il DEF 2024 – ha previsto che la spesa sanitaria in rapporto al Pil crolli, passando dal 6,7 per cento del 2022 al 6,2 per cento del 2027.
Non va certo meglio con il Documento Programmatico di Bilancio 2025 (inviato il 15 ottobre a Bruxelles) che anticipa i contenuti del disegno di legge di bilancio, approvato dal Governo lo stesso giorno ma il cui testo è al momento sconosciuto. La vergognosa propaganda della Presidente Meloni sarà smentita dai numeri, che inevitabilmente dovranno saltar fuori.
Così il nostro SSN, indebolito da anni di tagli, è in evidente crisi. Gli effetti sono drammatici: si sono chiusi servizi, si allungano le liste d’attesa, i cittadini sono costretti a rivolgersi alla sanità privata o a rinunciare alle cure. Intanto, senza riuscire (salvo rare eccezioni) a riorientare le prestazioni ai nuovi bisogni di salute e di cure, indotti in gran parte dall’invecchiamento della popolazione.
In carenza di servizi e di medicina territoriale i pronto soccorso vengono congestionati anche per prestazioni non urgenti. Persino i nuovi livelli essenziali di assistenza per le prestazioni specialistiche e per l’assistenza alle persone disabili o con malattie rare sono stati rinviati. Allo stesso tempo si aggravano i divari fra le regioni e incombe la scure dell’autonomia differenziata. Mentre la controriforma fiscale del governo premia gli evasori e riduce le entrate per lo stato sociale.
Per questo non esageriamo quando diciamo che il diritto alla tutela della salute per tutti i cittadini è in pericolo.
Dove e come intervenire per rilanciare il diritto alla salute e alle cure è chiarissimo:
⇒un incremento progressivo – ma certo – del finanziamento per la sanità pubblica. Per portare l’Italia al livello degli altri paesi europei (almeno come Germania e Francia che destinano alla sanità pubblica decine di miliardi in più ogni anno). Qui sotto una comparazione della spesa tra Paesi OCSE.
⇒Priorità assoluta è un piano pluriennale di assunzioni del personale collegato alla programmazione dei percorsi formativi (mancano almeno ventimila medici, centomila tra infermieri e professionisti sociosanitari, migliaia sono i precari). Mentre crescono medici e personale gettonista, e i professionisti fuggono dal servizio pubblico. Su questo argomento il recente ddl del Ministro Schillaci sfiora il ridicolo.
⇒Le assunzioni sono indispensabili anche per attuare il Pnrr, e per non disperdere miliardi di investimenti arrivati per potenziare l’assistenza territoriale: case di comunità, assistenza domiciliare, ospedali di comunità, telemedicina – servizi indispensabili per rispondere ai bisogni di prevenzione, cure sociali e sanitarie, soprattutto per la popolazione anziana che è più esposta ai rischi della non autosufficienza.
⇒Un’altra priorità riguarda un piano straordinario per la riduzione appropriata delle liste di attesa da parte dei servizi pubblici: non finanziando, come sta accadendo, il privato, che rischia di alimentare consumismo sanitario. (vedi: CGIL, la montagna ha partorito il topolino).
⇒Infine, un’attenzione doverosa va dedicata alle condizioni delle persone anziane:
Viviamo più a lungo, e per diversi anni possiamo farlo in buone condizioni di salute: ciò determina effetti positivi sulle dinamiche sociali ed economiche. Le persone anziane sono una formidabile risorsa per il benessere e la crescita delle nostre comunità (per l’economia, per il welfare, per il contributo alla coesione sociale tra generazioni, per il patrimonio di memoria e cultura che possono trasferire). Ma l’invecchiamento della popolazione, la crescita della longevità, porta con sé inevitabilmente anche conseguenze sanitarie e sociali sulle persone anziane e sulle loro famiglie. Si vive più a lungo ma diversi anni di vita sono afflitti da condizioni di non autosufficienza.
Di fronte a questa situazione lo SPI CGIL unitariamente ai sindacati dei pensionati di CISL e si UIL, si è battuto per una legge sulla Non Autosufficienza. È stata così approvata a marzo del 2023 la legge delega 33 “Deleghe al governo per politiche a favore delle persone anziane”). Ora con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, è entrato in vigore il Decreto Legislativo 15 marzo 2024, n. 29 che avrebbe dovuto finalmente attuare la Legge. Invece il Decreto 29 ha deluso, suscitando forti critiche: da parte del sindacato e di molte associazioni: tradendo la legge delega 33, in primo luogo mancando del tutto un progressivo, certo e consistente incremento di finanziamenti (Per i contenuti si veda l’Appello: NON AUTOSUFFICIENZA, SALVARE LA RIFORMA: libertà, diritti e dignità della persona anziana)
Perciò la nostra mobilitazione deve continuare, con una pressione verso il Governo e il Parlamento.
Ma sono indispensabili iniziative nei territori – con Regioni, ASL e Distretti, ATS e Comuni – ad esempio sull’attuazione del piano non autosufficienza 2022-2024 e del PNRR, sia della Missione 6 Salute che della Missione 5 Sociale, per rappresentare bisogni e reclamare diritti e dignità per milioni di persone. In una società che invecchia servono certamente maggiori risorse ma serve una profonda riorganizzazione del sistema di welfare sociosanitario nazionale e territoriale, che chiama in causa anche il ruolo di tutela e innovazione del nostro sindacato.
Ndr: il testo è una versione rivista ed estesa dell’articolo pubblicato sulla Rivista LiberEtà 6/2024