Il detto veneto “Xe pèso el tacòn del buso” che “tradotto” significa che è peggio la toppa del buco, viene usato per criticare tutte le situazioni in cui non si vuole risolvere realmente un problema ma ci si limita a metterci sopra una pezza che poi è risulta peggio che aver lasciato tutto come prima.
Mi chiedo se non sia questa la situazione attuale della crisi del Servizio Sanitario Nazionale nei confronti del quale sembra che, spinti dall’atmosfera perennemente elettorale, si propongono e si decidono provvedimenti che invece di migliorare la situazione rischiano addirittura di peggiorarla. Emblematica è l’introduzione dell’autonomia differenziata: c’è chi sostiene che sarà la chiave del miglioramento, e non solo della sanità, c’è invece che è convinto che porterà notevoli contrasti e disastri.
Credo che si dovrebbe invece cercare di ripensare a tutta l’impostazione del SSN per poi riuscire a decidere cosa debba essere salvato e cosa invece debba essere cambiato e migliorato. La paura di veder stravolgere il SSN porta molti analisti a difendere acriticamente tutto ciò che era contenuto nella 833, sulla quale peraltro sono già state messe ampiamente le mani. Si pensi sollo alla USL previste mediamente per popolazioni di 40.000 abitanti che sono diventate delle aziende, le ASL, per territori ampi anche più di un milione di abitanti.
Non voglio assolutamente qui proporre soluzioni o cambiamenti ma solo proporre dei temi di discussione ritenendo peraltro che le giuste soluzioni non possono riguardare il singolo tema ma per lo più la soluzione sistemica globale.
Uno o più sistemi regionali?
Il dibattito sulla territorialità del SSN si svolge per lo più tra soluzioni estreme: c’è chi afferma la necessità di tornare ad un centralismo di governo nazionale della sanità e chi invece auspica una totale devoluzione addirittura della sovranità.
Ci si deve allora chiedere se l’articolazione del sistema debba essere solo operativo, amministrativo, gestionale, ovvero anche politico e di governo.
Quale equilibrio deve esserci tra potere centrale e poteri locali? E quali gli elementi che devono essere considerati per poter arrivare a soluzione?
Innanzi tutto ci si deve chiedere se le “regole” che governano il sistema sanitario debbano essere le stesse per tutto il territorio nazionale o possono differenziarsi per ragioni specifiche ovvero possano invece tranquillamente cambiare a piacere dei governi locali, come ad esempio è per la pena di morte negli USA: in 25 stati è stata abolita, in 12 non viene applicata, in 14 invece viene eseguita. È vantaggiosa o è inaccettabile una situazione del genere in un paese dove la sovranità è unica oppur può aver senso solo per sovranità federate come gli USA?
Ma le uniformità delle “regole” devono riguardare solo i diritti o anche gli aspetti gestionali ed organizzativi? Tra i diritti ci sono solo i cosiddetti livelli essenziali di assistenza, cioè i contenuti assistenziali, o anche le modalità di accesso, come ad esempio l’entità dei tickets?
E possono esserci modalità o contenuti diversi per adeguarsi a situazioni differenti relative ai bisogni o alle condizioni ambientali?
E la disponibilità di risorse deve essere uguale per tutte le aree e garantita a livello centrale o può essere lasciata alle capacità di finanziamento locali?
Pubblico o Privato, nella tutela e/o nella produzione?
La tutela della salute deve essere una funzione pubblica o può essere lasciata anche a privati a libera scelta di ciascuno? le istituzioni pubbliche devono assumersi il compito di assicuratore o possono delegare il compito ad assicuratori privati stabilendo o meno l’obbligo ad assicurarsi?
E la produzione dei servizi deve essere totalmente pubblica o privata o mista? Devono rimanere possibili forme di libera concorrenza tra pubblico e privato o devono essere stabilite delle norme sulle modalità di produzione, sulla qualità, sui prezzi? E alcuni servizi possono essere riservati solo alla produzione pubblica o solo alla produzione privata?
Devono essere conservati sistemi come l’intramoenia che creano rapporti privatistici in strutture pubbliche? Alcune soluzioni di produzione riservata al privato, come ad esempio nel settore farmaceutico, potrebbero essere opportune anche in altri settori?
E le assicurazioni integrative che ruoli e che regole devono avere? Devono riguardare solo prestazioni private o devono poter coprire i costi di attività svolte nel pubblico non in regime di gratuità?
Universalismo ed equità?
Il sistema sanitario deve tendere all’universalismo ed all’equità ovvero deve previlegiare la responsabilità di ciascuno rispetto alla propria salute? Lo Stato, dice l’art. 32 della Costituzione, “garantisce cure gratuite agli in degenti”, e non obbliga strettamente a mantenere un sistema che garantisca l’equità e l’universalismo.
Quindi vogliamo ancora che la sanità sia uguale per tutti, ciascuno a misura dei propri bisogni e contribuendo proporzionalmente alle proprie capacità? Se c’è questa volontà allora bisogna evitare finzioni che di fatto discriminano gli utenti. Se non si riesce a soddisfare i bisogni di tutti, e quindi i più benestanti ricorrono al privato, e gli indigenti devono aspettare esageratamente, allora non sarebbe addirittura meglio che il sistema gratuito pubblico fosse solo per gli indigenti ma con erogazioni tempestive.
Se invece si riconferma, come sarebbe auspicabile, la scelta dell’universalismo e dell’equità, allora non dovrebbe esser necessario ricorrere al settore privato per poter avere soddisfazione dei propri bisogni nei tempi e nei modi opportuni.
Bisogna però evitare l’ipocrisia di una dichiarazione di equità in un sistema che di fatto introduce inevitabili discriminazioni.
Quali modalità di finanziamento?
Il finanziamento della sanità deve avvenire attraverso le forme della fiscalità generale o si deve invece prevedere una forma specifica di contribuzione? Non potrebbe venir finanziata attraverso una assicurazione pubblica con un premio proporzionale alle capacità contributiva di ciascuna famiglia? E questa assicurazione dovrebbe essere obbligatoria? Ovvero dovrebbe essere finanziata da assicurazioni private magari poste obbligatoriamente a carico dei datori di lavoro, degli ordini professionali e degli istituiti pensionistici, come praticamente era al tempo delle Mutue.
Non potrebbe esserci un sistema misto di finanziamento con una quota modesta pagata da tutti in modo uguale o in proporzione al reddito. Oggi praticamente tutte le famiglie pagano il canone televisivo; non potrebbe ad esempio esser fatta pagare a tutti obbligatoriamente l’iscrizione al MMG riducendo però, o eliminando, la quota per gli indigenti?
In ogni caso quando dovrebbe essere il target ottimale per la spesa sanitaria? Quanto è fisiologica la quota di spesa out of pocket? Il livello di spesa lo si deve valutare in termini assoluti, in rapporto al PIL o in rapporto al totale della spesa pubblica?
Quale funzione deve avere la compartecipazione alla spesa? Deve essere un ticket? Come calcolato? Uguale per tutti o proporzionale alle capacità contributive? E chi deve essere esentato? Non è maglio pesare ad un sistema a franchigia?
USL o ASL?
Nella legge 833 l’organizzazione della sanità si articolava nelle USL come servizi amministrativi con un Comitato di gestione politico nominato dai Consigli comunali del territorio. Le USL sono state sostituite dalle ASL, aziende sanitarie, con direttore generale e direttori sanitari e amministrativi nominati dai Consigli Regionali. Questa aziendalizzazione della sanità ha funzionato? che rapporti hanno la ASL con la politica? si può ridurre l’influenza della politica sulla gestione della sanità? ovvero si potrebbe invece aumentare la partecipazione delle comunità locali nel governo dei servizi? Si potrebbero costituire dei comitati di gestione scelti dagli utenti?
Quale articolazione territoriale è maggiormente funzionale? Sia a livello politico, che gestionale che operativo. È opportuno ridare maggior importanza ai distretti sanitari ovvero devono essere aboliti? L’appartenenza degli utenti ad una struttura territoriale deve avvenire sulla base della residenza o di una loro libera scelta? Che limitazioni è opportuno stabilire per l’assistenza all’esterno della struttura di appartenenza? La c.d. mobilità deve essere garantita per tutte o solo per alcune prestazioni?
Prevenzione e Assistenza: unite o separate?
Ci sono settori della sanità che via via sembra quasi che si siano esauriti e prima tra tutti il settore della prevenzione. Da una parte c’è stato il referendum che ha separato la prevenzione ambientale e dall’altra il ridimensionamento delle risorse per la prevenzione, teoricamente pari al 5% del bilancio sanitario ma in realtà spese realmente in misura ridotta.
L’integrazione della prevenzione con le medicina di base di fatto non si è consolidata e molti pochi MMG svolgono attività proattive di prevenzione dei loro pazienti. Non parliamo poi dell’educazione sanitaria che è sparita del tutto anche nelle scuole. Bisogna quindi riconsiderare se il SSN deve farsi carico della salute dei cittadini, innanzitutto con la prevenzione e l’educazione, o debba esclusivamente dare una risposta alle domande di cura dei pazienti.
Altri settori da riconsiderare sono certamente la riabilitazione e l’assistenza ai non autosufficienti. L’integrazione tra assistenza sanitaria e assistenza sociale era una delle scommesse del SSN, scommessa per il momento persa. Che ne sarà per il futuro? Dovremo ridimensionare lo welfare per motivi economici privilegiando lo sviluppo economico o riconsiderare innanzitutto il benessere come l’obiettivo da raggiungere per tutti?
Il baricentro dell’assistenza, il MMG?
L’assistenza sanitaria nel ‘900 si basava soprattutto sull’unicità del c.d. medico di famiglia, prima chiamato medico condotto e poi medico di medicina generale. Ma lo sviluppo veloce della medicina e l’impossibilità di possederla tutta in un solo medico, hanno mandato in difficoltà il concetto stesso della medicina di base e il MMG in buona parte svolge attività burocratico autorizzative, cioè “fa le ricette”. E’ allora opportuno riflettere se la medicina di base non debba essere invece svolta da un team multi specialistico. Così facendo però si perderebbe il riferimento ad una figura unica capace di conoscere e di indirizzare il paziente.
Ci si può chiedere se questa figura non possa identificarsi con un operatore sanitario, non necessariamente medico, con competenze anche sociali. Il team di base potrebbe anche gestire poi un pronto soccorso di primo livello così togliendo l’eccessivo ricordo ai PS ospedalieri. Funzionano oggi le Case di Comunità che cercano di dare una risposta a questi temi?
Rispetto pio al MMG, se la figura deve restare, si deve scegliere se lasciarlo in regime di convenzione ovvero se renderlo dipendente, e in tal caso però sarà necessario fornirgli le strutture e le strumentazioni necessarie.
L’assistenza ospedaliera
Negli ultimi 50 anni forse l’aspetto che è maggiormente cambiato nella sanità è quello dell’assistenza ospedaliera. L’ospedale non si usa più come “garage” dei malati bensì solo come “officina di riparazione”.
Il numero di posti letto è stato ridimensionato; molti nosocomi sono stati chiusi privilegiando il criterio della capacità di intervento a quello della prossimità. Si è parlato di ospedali di territorio e forse si potrebbero trovare forme di integrazione con i MMG che potrebbero gestire in equipe questi luoghi, come in parte dovrebbe essere già per le case di comunità. Un’altra criticità è la gestione del paziente dimesso, troppe volte abbandonato per una incapacità di comunicazione tra ospedale e MMG.
Dati, controlli, valutazioni: chi ne ha accesso?
Per governare servono dati, e i dati devono essere analizzati ed interpretati e non solo all’interno delle direzioni ma anche, per lo meno in parte, dalla comunità. Ci sono molti controlli burocratici e poche attività di valutazione. Efficacia, Efficienza, Appropriatezza, Equità, Soddisfazione … sono tutti elementi che devono essere valutati con attenzione.
Oggi è impossibile, per chi non è nel sistema, valutarne l’attività e le caratteristiche. Se il sistema è un sistema privato è corretto che sia solo la proprietà che deve farsi carico di valutarlo, ma se il sistema è pubblico si deve permettere anche a chi ne ha le capacità di valutarlo.
Quale ruolo deve assumere l’epidemiologia? Può diventare, come varie volte auspicato, il motore della prevenzione? E quale accesso deve essere garantito a tutti, pur proteggendo, come necessario, la privacy?
Facoltà e scuole di specialità
Il curriculum della laurea in medicina e chirurgia è adeguato? È giusto che sia uguale per tutti i medici ovvero, come è per gli ingegneri, vi siano corsi di laurea differenziati. È possibile pensare a corsi di laurea breve per ruoli che non prevedono compiti diagnostici e terapeutici, bensì solo gestionali, ovvero di supporto a équipe multidisciplinari.
L’accesso alle facoltà di medicina deve essere a numero chiuso o la selezione potrebbe avvenire durante i corsi, dirottando i meno meritevoli ad altre figure meno impegnative? Gli ultimi anni del corso di medicina potrebbero svolgersi direttamente presso ospedali di insegnamento togliendo così la sovrapposizione tra università e aziende poli cliniche?
In particolare le scuole di specialità devono fare parte dell’università o possono essere gestite liberamente da strutture ospedaliere di eccellenza?
Tanti altri interrogativi
Si sono elencati diversi interrogativi, ma sono solo una parte; ne restano molti altri come ad esempio gli aspetti remunerativi dei medici che oggi disincentivano molti a rimanere nel SSN e cercano attività presso strutture private, ovvero aprono studi libero professionali o sono attirati dall’estero. L’attività del medico ha perso oggi per buona parte il prestigio di un tempo e forse dipende dal decadimento di molte strutture sanitarie in cui ci si sente trattati senza la necessaria attenzione per i propri problemi. Non è accettabile che ci si senta maggiormente assistiti quando si è “clienti” piuttosto di quando si è solo “clienti”. Devono essere migliorati gli aspetti relazionali e di accoglienza sia da parte degli operatori sia da parte di strutture più accoglienti e rispettose.
Ma ricordiamoci che … xe pèso el tacòn del buso!
Ci sono tre modi sbagliati di affrontare la crisi dalle SSN: quello di volerlo conservare così com’è, quello di volerlo stravolgere del tutto, quello di volerlo semplicemente rattoppare. Bisogna pensare invece ad un nuovo SSN che contenga tutti i valori così ben enunciati dalla 833 ma che lo ripensi interamente considerando i grandi progressi della medicina, gli importanti cambiamenti della società e i nuovi scenari epidemiologici. Stravolgere sarebbe un delitto storico ma conservare o rattoppare sarebbero ugualmente dei gravi errori.
Insomma, i problemi di un sistema sanitario sono molti e di complessa soluzione. Ma quando un sistema complesso entra in crisi diventa deleterio intervenire cercando solo di risolvere un problema con interventi che spesso innescano una serie di altre criticità. È ormai giunto il momento di avviare una riflessione che porti ad una nuova riforma della sanità che rispetti i valori consolidati del nostro attuale sistema ma che riesca a fare superare le attuali incongruità. Non basterà un decretino del Ministro di turno, è necessario invece avviare un processo di riflessione che riesca a coinvolgere realmente tutti gli attori e gli utenti della sanità.
Come avviare questo processo? Non bastano certamente solo dei convegni tra esperti. È necessario che tutte le componenti sociali, partiti, sindacati, associazioni ecc., avviino una riflessione e si confrontino. Ma occorrerebbe anche che emergessero delle figure carismatiche capaci di fare delle sintesi, figure che devono essere però indipendenti da interessi politico elettorali, da interessi corporativi ed economici. Ogni riforma ha necessariamente dei padri, e i padri non si inventano, emergono quando la comunità ne riconosce l’autorevolezza. Forse allora oggi non è ancora il momento, speriamo di non dover però aspettare troppo e penso che l’Associazione Italiana di Epidemiologia e la Rivista Epidemiologia & Prevenzione possano essere tra coloro che debbono svolgere importanti ruoli di riflessione e di proposta.
fonte articolo, immagine (e commenti): https://epiprev.it/blog/come-sta-la-sanita/ssn-xe-peso-el-tacon-del-buso