Franco Basaglia 100 (4). di Raffaele Barone, Chiara Saraceno, Giovanna del Giudice, Angelo Barbato

Celebrando i cento anni dalla nascita di Franco Basaglia, Salute Internazionale ha deciso che il modo migliore per onorare questa figura fondamentale del Novecento sia quella di chiedere ad alcuni protagonisti che hanno contribuito, e continuano a contribuire, a riflettere e lottare per l’inclusione sociale contro ogni forma di istituzione totale, per i diritti e per una sanità pubblica giusta e universale, a formulare in poche righe un loro pensiero sulla attualità dell’opera di Basaglia.


Raffaele Barone, Psichiatra, Caltagirone

 Oggi i giovani professionisti della psichiatria si trovano spesso a confrontarsi, oltre che con le più note sofferenze psichiatriche, con traumi familiari e transpersonali: esiti della pandemia da COVID-19, invasione e dipendenza dai social-media, stili di vita con uso e abuso di droghe, gravi disturbi di personalità con misure di sicurezza, nuove povertà, flussi migratori di massa, crisi climatiche e guerre. Emblematica, in tal senso, è la sofferenza degli adolescenti. Sempre più spesso una ragazza minorenne si presenta al P. S. per tentato suicidio, abuso di sostanze, disturbo del comportamento e dell’alimentazione, tendenza al cutting. Prendersi cura di chi? Della ragazza, dei familiari, dei compagni di classe e amici, dei suoi insegnanti?

Viviamo in un’epoca dominata dagli ideali di indipendenza, autosufficienza, egoismo e narcisismo. Ma la brama sfrenata di libertà individuale provoca in un numero crescente di persone un senso di fragilità, di vulnerabilità, di solitudine.

I giovani colleghi hanno studiato prevalentemente su approcci biomedici basati esclusivamente sulla diagnosi, e la conseguente prescrizione farmacologica a comportamenti cognitivi adattativi, spesso ricorrendo al ricovero sia per le crisi acute che per l’assistenza a lungo termine, determinando nuova cronicità, insoddisfazione dei familiari e frustrazione dei professionisti.

Basaglia a proposito della psichiatria istituzionale scriveva: “La storia della psichiatria, nelle sue diverse fasi evolutive…deve anche riconoscere di trovarsi impotente di fronte a dei fenomeni che -una volta qualificati e classificati- tutti continuano a mantenersi oscuri nel loro più profondo significato…sembra dunque necessario …evidenziare le nostre incapacità a risolvere -sul piano clinico- fenomeni che si presentano intrecciati e saldamente strutturati a livelli tanto diversi e per i quali le tecniche psichiatriche classicamente intese non sono più in grado di proporre soluzione <scientificamente> accettabili” (Basaglia Scritti I 1953-1968 Einaudi 1981). Ne “L’utopia della realtà” riconosceva il rischio che la salute mentale voli troppo in alto, perdendo così il contatto con i bisogni dei pazienti, o troppo in basso, perdendo la dimensione utopica che è necessaria per avviare un cambiamento. Pensiamo che possa essere utile un pragmatismo utopico, che consiste nella possibilità di attuare azioni concrete, rispondenti ai bisogni reali, ispirate da una dimensione utopica a cui tendere continuamente.

È necessario un cambiamento epistemologico che si basi su approcci più democratici, dialogici e relazionali.


Chiara Saraceno, Sociologa, honorary fellow Collegio Carlo Alberto, Torino

Franco Basaglia: un anticipatore della caring society?  Non la negazione della malattia mentale, ma la sua collocazione nel contesto sociale da un duplice punto di vista: come ambito in cui la malattia, o il disagio, sono sperimentati ma anche percepiti, catalogati, spesso espulsi, e insieme come spazio possibile della cura, anche se non necessariamente e prioritariamente come guarigione. Mentre ha restituito alla malattia e ai malati mentali tutta la loro complessità, senza negarne l’individualità, anzi rendendola possibile e riconoscibile, ha sollecitato  il mondo dei “sani” a prendere consapevolezza dei meccanismi che  possono produrre disagio estremo in chi si trova in condizioni di particolare fragilità e a costruire contesti accoglienti per queste persone, invece di deresponsabilizzarsene chiudendole al di là di muri. In questo senso ha anche anticipato l’approccio che oggi va sotto i termini “etica della cura” e “caring society”: una società in cui il bisogno di ricevere e dare cura non sia marginalizzato ed invece costituisca un principio guida nelle relazioni e organizzazioni sociali. Un approccio che sta alla base di molte delle iniziative che guardano alle comunità locali  – anche quelle più problematiche – nella loro diversa articolazione come  risorsa da  valorizzare a attivare per rispondere ai più diversi bisogni: che si tratti di aiutare a creare ambienti “protettivi” e non escludenti, in cui le persone affette da demenza o Alzheimer possano transitare senza rischio, di costruire comunità educanti attorno alla scuola di quartiere per sostenere il lavoro degli insegnanti e i processi di crescita dei bambini e ragazzi, specie più fragili, di organizzare “portinerie di comunità” come luogo di incontro di bisogni  e risorse, oltre che di servizi pubblici e privati, di costruire e organizzare biblioteche come luoghi ricchi di stimoli, di possibilità di incontro e crocevia di servizi e interessi diversi – piazze aperte per riprendere la metafora di Antonella Agnoli, ove anche chi sembra avviato ad un destino di marginalità possa trovare opportunità e desiderio per ri-orientare la propria biografia.


Giovanna del Giudice. Psichiatra, presidente Conferenza Permanente per la Salute Mentale nel Mondo, Franco Basaglia, Trieste

Nel tempo buio che attraversiamo il pensiero e le pratiche di Franco Basaglia appaiono particolarmente necessari per orientarci ed affrontare molte contraddizioni dell’oggi senza indulgere, come incalzava Basaglia, nel pessimismo della ragione ma agendo l’ottimismo della pratica, per continuare a schierarci, ad essere partigiani, per uscire dall’indifferenza trovando la capacità di agire il rifiuto verso pratiche non  etiche, consolidate o riproposte.

Basaglia il 16 novembre del 1961, quando entra come direttore nel manicomio di Gorizia vede dappertutto grate, chiavi, sbarre, persone legate ai letti o agli alberi nei cortili, uomini e donne che vagano senza una meta, distrutti dal potere dell’istituto: di fronte a quell’orrore dice No alla psichiatria (Basaglia 1979).

Oggi i crimini di pace si perpetuano ancora nella psichiatria, e non solo: diritti negati, violazione dei corpi, abbandoni, cure cronicizzanti, assenze colpevoli di pratiche emancipative e di libertà. Di fronte a questo occorre trovare strategie per invertire la rotta sviluppando alleanze e ritrovando radicalità.

Nel  confronto con il  ritorno prepotente di “strutture” dell’esclusione e del controllo,  di vario ordine e grado, più o meno grandi, più o meno controllate, o al sovraffollamento e alla riproposizione di quelle non mai superate,  per   rinchiudere i “soggetti indesiderati”: matti, homeless, diseredati, autori di reati anche di lieve entità, richiedenti asilo, persone con disabilità, persone anziane, persone con problemi di dipendenza, dobbiamo riprendere il pensiero e i percorsi della deistituzionalizzazione.

Abbiamo bisogno di tornare a Basaglia per rimettere al centro, nella concretezza delle pratiche, oltre le vuote  affermazioni, la persona nella sua corporeità, relazionata e contestualizzata,  i suoi bisogni, diritti, desideri, in particolare se fragile e esclusa.

Per contrastare che la diversità ritorni ad essere disuguaglianza sociale,

Per abitare la contraddizione.

Per costruire politiche e servizi di prossimità.

Per tenere insieme competenza, etica, politica.

Per costruire un nuovo umanesimo.


Angelo Barbato, Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri, Milano

Quando conobbi Basaglia ero un giovane medico entusiasta e ignorante che voleva fare lo psichiatra e aveva appena iniziato a lavorare in manicomio. Della psichiatria sapevo poco. Avevo letto l’Istituzione Negata e questo mi era bastato. Nella mia vita professionale Basaglia è passato come una meteora. Poco dopo il nostro incontro una breve malattia l’avrebbe portato via. Tuttavia alcuni suoi insegnamenti hanno lasciato su di me un’influenza duratura. Ne citerò tre, visti oggi da alcuni come punti deboli e superati della sua eredità: la messa tra parentesi della malattia mentale, la critica all’evidenza come fondamento delle pratiche, la legge come strumento di rinnovamento.

È stato detto superficialmente che mettendo tra parentesi la malattia mentale, si negava la sofferenza. Invece questo concetto è alla base della distinzione dell’OMS tra malattia, disabilità e handicap, che ha gettato le fondamenta della riabilitazione. Se non sappiamo individuare e modificare i meccanismi che producono le malattie mentali, possiamo comunque riabilitare perché le determinanti della disabilità non sono le stesse della malattia e si situano all’interfaccia tra persona e contesto. Intervenire sul contesto manicomiale era quindi un esempio di riabilitazione ante litteram, al cui servizio la malattia andava messa tra parentesi.

Quanto all’evidenza scientifica, Basaglia ripeteva che era lieto di collocarsi al di fuori della scienza psichiatrica, perché questa aveva prodotto sofferenze. Oggi potremmo dire che rispetto a cinquanta anni fa è diverso, perché tutti crediamo alla evidence based mental health. Ma l’introduzione da parte dell’OMS di una metodologia innovativa per mettere le evidenze al servizio delle pratiche, ci deve fare ricredere, raccomandando che le evidenze devono nascere dalla combinazione dei dati sperimentali e osservazionali coi valori, le scelte etiche e le preferenze dei destinatari. E in psichiatria, dove l’evidenza sperimentale è debole, l’osservazione, i valori, l’etica e la soggettività degli utenti prevalgono.

Il terzo aspetto fu la promozione di una legge molto semplice che disciplinava la psichiatria soprattutto stabilendo che alcune cose andavano bandite. Poche proibizioni innescarono il cambiamento, creando un fatto compiuto. Potremmo dire che fu una cosa assurda, perché si sarebbe dovuto studiare, fare ipotesi, verificarle, valutare gli esiti. Ma se così fosse avvenuto staremmo ancora aspettando.

Questo è il quarto (e ultimo) ricordo collettivo di Franco Basaglia.

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