In Italia, il consumo di tabacco rimane il principale rischio per la salute, responsabile del 20% dei decessi per malattie non trasmissibili tra le persone sotto i 70 anni. Nonostante ciò, l’industria del tabacco è spesso presentata come una risorsa per il Paese, per la sua capacità di creare posti di lavoro e contribuire all’economia. C’è, insomma, una significativa contraddizione; e i dati mostrano come, grazie soprattutto ai nuovi prodotti (come e-cig e sigarette a tabacco riscaldato), l’industria del tabacco stia raggiungendo i suoi scopi: rendere dipendenti dal tabacco le nuove generazioni ed evitare l’uscita dalla dipendenza dei fumatori che vogliono smettere.
Il consumo di tabacco resta in Italia il primo fattore di rischio per la salute: gli si possono attribuire il 20% dei decessi per malattie non trasmissibili, tra le persone con meno di 70 anni.
Di fronte a questi dati, è singolare rilevare che i temi relativi alle modalità di diffusione di questa epidemia, ai suoi determinanti e alle misure di prevenzione siano raramente trattati non solo dai nostri media, ma anche dalla pubblicistica medica. Invece, se volgiamo lo sguardo ad altri aspetti, come la produzione, affiorano spesso sulla stampa notizie in cui l’industria del tabacco non viene messa in relazione agli otto milioni di morti che provoca ogni anno nel mondo, ma viene presentata come un’industria che crea posti di lavoro e rappresenta una risorsa per il Paese. Il settore agricolo-industriale del tabacco è una risorsa, crea ricchezza, garantendo più di mezzo punto del PIL, come ha recentemente affermato l’Amministratore delegato di Philip Morris Italia. Ma, allora, il tabacco fa bene o fa male all’Italia?
È difficile comprendere questa contraddizione se non si fa un passo indietro.
Quando il consumo di tabacco era una cosa normale
La storia dell’epidemia del consumo di sigarette in Italia nel ‘900 è stata descritta come un love affair, una lunga storia d’amore cominciata con la Grande guerra, e continuata dopo la Seconda guerra mondiale, con l’apertura alle sigarette americane a seguito del piano Marshall. La sigaretta ha conquistato nel tempo vari strati della società diventando un prodotto di consumo di massa: in Italia negli anni ’50 fumavano 7 uomini su 10. Sperimentare le sigarette e cominciare a fumare era, per gli adolescenti, una sorta di rito di passaggio all’età adulta.
C’è un grosso guaio
La seconda metà del ‘900 è dominata invece dalla progressiva scoperta degli enormi danni per la salute provocati dal fumo e dal lento avvio del conflitto tra gli Stati, interessati a proteggere la salute dei cittadini e l’industria, interessata alla crescita del mercato. Quest’ultima cerca di contrastare il progresso delle conoscenze seminando il dubbio e creando sistematicamente controversie scientifiche sui risultati della ricerca pubblica. Secondo gli storici e i tribunali si trattò di un’azione volta deliberatamente a falsificare la realtà.
Lentamente, sulla spinta delle opinioni pubbliche, diversi stati, compresa l’Italia, misero a punto norme per regolare vari aspetti della produzione e consumo dei tabacchi: il divieto di pubblicità, di fumare nei locali aperti al pubblico per la protezione dei non fumatori, di vendita ai minori, le avvertenze sanitarie stampate sui pacchetti.
Nel 2003, l’Oms dà vita alla Convenzione quadro per il controllo del tabacco che impegna gli stati aderenti ad applicare le politiche previste e a partecipare alle decisioni. La Convenzione riconosce che esiste un conflitto inconciliabile tra salute e industria del tabacco e prevede misure per proteggere le decisioni dall’interferenza.
Nel 2005, l’Italia ratifica la Convenzione dell’Oms. Con questo atto, sembra chiudersi un ciclo: l’Italia si è dotata di una regolazione del tabacco all’avanguardia, inoltre ha dismesso l’apparato del monopolio statale e sospeso le sovvenzioni alle coltivazioni. Libera dal ricatto occupazionale, può ora difendere la salute dei suoi cittadini.
D’altro canto, l’industria non poteva più mettere in discussione la nocività del tabacco e neppure il diritto degli Stati di proteggere la salute pubblica con regole restrittive. Le vendite di sigarette crollano dalle 101.595 tonnellate del 2001 alle 65.000 del 2018 e la prevalenza di fumatori si riduce dal 35% del 1980 al 24% del 2000 al 19% del 2020.
L’industria diventa impresentabile
In alternativa alle misure restrittive decise dagli Stati, l’industria proponeva varie forme di autoregolamentazione, cercando di annullare l’impatto delle norme o almeno dilazionarne l’applicazione. Ma le resta un grande problema: spiegare perché continua a produrre e vendere un prodotto che ammazza la metà dei suoi consumatori. Comincia così a sviluppare una retorica costruita sul valore della libertà: un adulto consapevole deve essere libero di fumare, purché sia informato dei danni prodotti dal tabacco. Alla stessa stregua, le aziende devono essere libere di competere per offrire al consumatore il prodotto migliore, senza regolamentazioni che frenano la concorrenza virtuosa. Si arriva al paradosso che il venditore di un prodotto che crea dipendenza, rendendo schiavi i consumatori, afferma di battersi per la libertà. Ma, come vedremo, Big Tobacco è la maestra del paradosso.
Più solido, anche se fallace, appare l’altro punto forte della narrazione dell’industria: essere parte essenziale di una filiera del tabacco che include anche le aziende agricole e le tabaccherie, capace di produrre ricchezza e di rendere miliardi di entrate fiscali per lo Stato.
Comunque, nei primi anni del nuovo secolo, fumare sta diventando fuori moda. Lontani sono i tempi di Marlboro country (con tutti e quattro gli interpreti del cowboy nello spot morti, uno dopo l’altro, a causa del fumo), l’industria del tabacco è sempre più impresentabile per il pubblico, ma anche per gli investitori: i modelli di business non sembrano più sostenibili nel lungo termine. Big Tobacco sembra messa all’angolo.
L’industria del tabacco reagisce con un progetto a lungo termine
La crisi strutturale del mercato del tabacco apre uno spazio per la ricerca di alternative idealmente non nocive alla sigaretta. Nel 2004 le prime sigarette elettroniche, le e-cig, vengono commercializzate da start-up, ma ben presto anche Big Tobacco entrerà in questo mercato. Nel 2014 comincia la vendita dei primi prodotti del tabacco riscaldato. Dal 2004 l’industria del tabacco incrocia l’esplosione dei social media, che rappresentano uno strumento formidabile per connettere i produttori con i consumatori. Per i venditori dei nuovi prodotti del tabacco, si apre un far west senza regole, straordinario per far crescere la domanda, grazie anche al coinvolgimento di influencer che promuovono i nuovi prodotti. Tipicamente, l’influencer è un giovane che partecipa a eventi esclusivi, come party o concerti, e poi posta foto e storie che promuovono un prodotto o una marca.
Un esempio interessante per l’Italia è la pubblicità su Instagram, del device glo della British American Tobacco, che è sponsor di eventi, artisti, cantanti, sportivi, sistematicamente rilanciati sul social. Ma ci sono video youtube meno sofisticati con tutorial accessibili a qualsiasi tredicenne, che può così apprendere come creare e personalizzare il liquido della propria e-cig.
Non solo social media però: quando nel 2014, la Philip Morris lancia il device iQOS e i kit di tabacco Heets, destinato a un target di giovani molto tech e molto cool, crea una rete di vendita esclusiva, composta dalle cosiddette “embassy”. Ed ecco come descrive quella di Milano il webmagazine Picame: «Spazi dall’eleganza ricercata, […] in cui si svolgono eventi culturali, party e spettacoli, dove il design è il vero protagonista. Elementi distintivi […] le installazioni di Arthur Huang, elementi modulari che ridefiniscono i volumi, iconici nella forma e innovativi nella progettazione, perché forniscono luce, purificano l’aria e sono realizzati con materiali di recupero e con le stick di ricarica di iQOS. Di cosa si tratta? Dell’ultimo ritrovato in fatto di riduzione dei rischi legati al consumo di tabacco».
Ma i produttori di sigarette elettroniche competono anche sullo sviluppo di nuove versioni del device (fino ad ora, ben cinque generazioni di e-cig) e tanti e-liquid con centinaia di aromi diversi, da quelli fruttati ai cremosi, ai tabaccosi ecc. A poco a poco, da prevalentemente olfattiva l’esperienza sensoriale diventa prevalentemente gustativa, un sapore che copre quello della sostanza della dipendenza, la nicotina, che può essere quindi assorbita senza dover provare l’asprezza del fumo tradizionale.
A questo punto, l’industria si prepara a introdurre un terzo prodotto, le nicotine pouches, i sacchetti di nicotina, che ne consentono l’assorbimento attraverso la mucosa orale. I sacchetti di nicotina hanno centinaia di sapori. Oltre ai gusti più popolari (frutta, frutta ghiacciata, menta/mentolo), le aziende offrono un’ampia varietà: per esempio quelli con nomi di bevande alcoliche, caffè o tè e gusti speziati destinati a gruppi culturali specifici, fino ai concept flavours, gusti dai nomi evocativi (Spiced Blonde, Cosmic Dust, Midsummer Night) che non esistono in natura. Con i sacchetti, l’esperienza della nicotina diventa un gioco per bambini, anche se la dipendenza che si acquisisce è la stessa di quella del tabacco.
Insomma, l’industria si presenta rinnovata: un ampio portafoglio di prodotti tradizionali del tabacco insieme a nuovi prodotti definiti a “rischio ridotto”, diffusi tramite un marketing completamente rinnovato e una rete distributiva più ricca. L’industria offre i nuovi prodotti sia ai novizi, cui rende più facile e dolce l’acquisizione della dipendenza, sia ai clienti che vogliono abbandonare il fumo grazie a queste alternative intese come meno rischiose.
L’Italia, un paese preferito
Possiamo solo intuirne i motivi, ma il fatto è che prima Philip Morris e poi BAT scelgono l’Italia come paese in cui fabbricare i nuovi prodotti del tabacco e sperimentare le tecniche di marketing e lobbistiche. Philip Morris ha costruito, nel distretto industriale di Bologna, la fabbrica del prodotto di punta del tabacco riscaldato: l’iQOS (acronimo di I Quit Ordinary Smoking, e già dal nome si intuisce che non si tratta solo di un prodotto ma di una nuova strategia industriale).
I vertici degli enti locali interessati e del governo partecipano alla cerimonia della posa della prima pietra. In quella occasione, alla presenza del Ceo di Philip Morris André Calantzopoulos, l’allora primo ministro Matteo Renzi pronuncia un significativo discorso che comincia con: «Il futuro è oggi!», in cui mette l’accento sulla capacità di visione e di innovazione di Philip Morris e assicura l’appoggio dell’Italia. Appoggio che si rivela fondamentale per la rapida autorizzazione al commercio del prodotto e non è mai venuto meno, resistendo al cambiamento delle maggioranze. Grazie al sostegno di governo e parlamento, i nuovi prodotti del tabacco ottengono un regime fiscale di favore e un sostanziale via libera alla loro promozione pubblicitaria.
Mentre prima l’industria dichiarava: «Il fumo fa male, ma fumare è una libera scelta», ora, paradossalmente, l’industria basa la sua narrazione sulla salute: il fumo fa male e bisogna andare verso l’eliminazione delle sigarette. Propone quindi la visione di un mondo “senza fumo” grazie alla sostituzione delle sigarette tradizionali con nuovi prodotti che forniscono sì la nicotina, la molecola che crea e mantiene la dipendenza, ma siccome non c’è combustione del tabacco – sostiene l’industria – sono a rischio ridotto.
Fabbrica nuova, valori nuovi: gli argomenti della lobby economica del tabacco
Questa rinnovata industria del tabacco crea i suoi prodotti in una fabbrica avveniristica e pulita che produce device elettronici, frutto di ricerca e innovazione come suggeriscono i nomi evocativi e il design minimal. Allo stesso modo, l’architettura delle nuove fabbriche è studiata per trasmettere un messaggio: non siamo quelli di prima, i nostri prodotti non sporcano, non puzzano, non bruciano come quelli di prima e forse… non fanno male come quelli di prima.
Se le fabbriche vanno bene, anche il Paese va bene perché il business coinvolge tutta la filiera del tabacco. Per esempio, sotto l’egida del ministero delle Politiche Agricole, l’industria stipula accordi con le organizzazioni professionali per l’acquisto del tabacco italiano, sostenendo la tabacchicoltura, da decenni in declino. Ovviamente, anche la rete distributiva ne beneficia: ai tabaccai si aggiungono i negozi specializzati. Tutti ci guadagnano.
Ma, assieme alla motivazione economica, c’è altro: i valori. Perché la nuova industria si presenta come soggetto responsabile sotto il profilo ambientale e sociale, persegue la parità di genere. È una fabbrica, quella dei nuovi prodotti del tabacco, premiata come top employer, qualsiasi cosa ciò voglia dire. Questa immagine positiva è artefatta e costruita grazie a un’azione lobbistica che si sviluppa con la collaborazione di istituti di ricerca e think tank che, in Italia, fanno da cerniera tra mondo economico, media e mondo politico. Per esempio, in collaborazione con l’industria, la European House Ambrosetti lancia la Think Tank Platform sulla revisione del trattamento fiscale dei prodotti del tabacco, sigarette elettroniche e tabacco riscaldato.
D’altra parte, Philip Morris diventa sponsor del Forum di Cernobbio, organizzato da Ambrosetti, incontro annuale cui partecipano politici e imprenditori di altissimo livello, ottenendo una sessione dedicata ai nuovi prodotti del tabacco. Sono finiti i tempi in cui l’industria del tabacco era impresentabile. Ora, mettendo sotto al tappeto la polvere dei miliardi di sigarette vendute ogni anno e i circa 60.000 decessi all’anno attribuibili al tabacco in Italia, questa stessa industria è nel salotto buono.
La lobby scientifica della “riduzione del danno”
La lobby dell’industria si basa su un assunto: i nuovi prodotti comportano meno rischi per la salute rispetto alle sigarette, una affermazione che deve essere “certificata” dalla scienza. Ecco allora che l’industria crea un settore di ricerca: nel 2018 nasce presso l’Università di Catania, il Centro di eccellenza per l’accelerazione della riduzione del danno (Cohear), sostenuto con circa 8 milioni di dollari nel 2019 (che diventeranno 23) dalla Foundation for a Smoke Free World, a sua volta finanziata interamente da Philip Morris. (vedi Tobacco Tactics > Cohear). Il Cohear è attivo nella ricerca sui nuovi prodotti del tabacco e in quello della comunicazione, che include frequenti interventi sui mass media e un’offerta di formazione per i giornalisti. Le prese di posizione di questo Centro trovano accoglienza su vari organi di stampa.
Un esempio recente di come si muove il Cohear è la campagna contro la decima Conference of Parties della Convenzione quadro per il controllo del tabacco del febbraio 2024. La campagna si avvia con una lettera aperta del Cohear alla Commissione Europea e si conclude con la partecipazione del fondatore del Cohear, Riccardo Polosa a un evento, la Good Cop, svoltosi nella stessa città e negli stessi giorni della Conferenza Oms.
Più di recente, è nato un Osservatorio sulla riduzione del danno (Mohre), un gruppo non orientato alla ricerca ma alla pressione sulle istituzioni. Il comitato scientifico di Mohre include anche alcuni clinici esperti di trattamenti per smettere di fumare. Il Comitato ha recentemente inviato una lettera al Commissario EU Stella Kiriakides esprimendosi a favore dei nuovi prodotti del tabacco. La lettera argomenta la proposta facendo riferimento all’utilizzo della sigaretta elettronica nel trattamento del tabagista, confondendo l’approccio clinico in favore del singolo fumatore con la strategia di sanità pubblica il cui oggetto è tutta la popolazione che comprende anche gli individui che non fumano. Su questa base è stato costituito un intergruppo parlamentare.
Le trappole della riduzione del danno
La posizione tradizionale del ministero della Salute è: sigarette elettroniche e tabacco riscaldato non sono parte di una strategia di sanità pubblica sul tabacco. Questo punto di vista non nega che le sigarette elettroniche possano essere utilizzate in un setting clinico, per singoli individui che intendono smettere di fumare. Sottolinea invece che i nuovi prodotti del tabacco, utilizzati come prodotti di consumo, sono dannosi per la salute della popolazione che è composta da persone che non hanno mai fumato, ex-fumatori e fumatori.
Attualmente in Italia i nuovi prodotti del tabacco sono in libera vendita e godono già di un grande sconto fiscale, rispetto agli altri prodotti del tabacco. I governi non lo ammettono pubblicamente, ma stanno applicando proprio la politica suggerita dall’industria, incluso il “liberi tutti” della pubblicità sul web. I nuovi prodotti del tabacco hanno avuto grandi agevolazioni in Italia, a cominciare dal carico fiscale ridotto in un primo tempo al 10%. Grazie a questa aliquota ridotta, si stima che nel solo 2021, l’industria abbia incassato 1,2 miliardi di euro in più. Soldi sottratti alle casse dello Stato. (Leggi su Altroconsumo: I privilegi fiscali che nuocciono alla salute).
Il trend delle vendite e i suoi effetti
Come mostra la figura, la vendita di sigarette continua a diminuire, come prima dell’introduzione del tabacco riscaldato. Invece, le vendite dell’insieme dei prodotti del tabacco hanno ripreso ad aumentare, grazie alla performance del tabacco riscaldato.
Questa figura non tiene conto delle vendite di sigarette elettroniche, i cui dati non sono stati ancora resi disponibili dall’Agenzia delle Dogane e Monopoli
Trend di uso di sigarette tradizionali e dispositivi elettronici (dati PASSI 2008-2023)
L’ultima figura mostra la prevalenza percentuale di consumatori di sigarette tra gli italiani dai 18 ai 69 anni, dal 2008 al 2023 (dati Passi). È possibile distinguere: la prevalenza in diminuzione dell’uso di sole sigarette, l’andamento in aumento dell’uso di sigarette e dispositivi, la prevalenza in aumento di soli dispositivi elettronici. Per interpretare correttamente questi dati bisogna tener presente che l’uso congiunto di sigarette tradizionali e dispositivi non comporta benefici per la salute. Il trend in diminuzione del fumo in Italia si è di fatto arrestato, mentre aumenta l’uso di dispositivi.
A questo bisogna aggiungere che i tentativi di smettere di fumare si stanno riducendo e che l’uso dei nuovi prodotti è particolarmente elevato tra i giovani e i giovanissimi per poter concludere che l’industria del tabacco sta raggiungendo i suoi scopi: rendere dipendenti dal tabacco le nuove generazioni ed evitare l’uscita dalla dipendenza dei fumatori che vogliono smettere.