Il dato preoccupante, dopo una pausa di alcuni anni, è l’aumento del 44% delle esecuzioni per droghe rispetto al 2022. Le esecuzioni sono state confermate in cinque Paesi: Cina, Iran, Kuwait, Arabia Saudita e Singapore. Leonardo Fiorentini su l’Unità.
Le politiche sulle droghe globali, nella loro tradizionale interpretazione proibizionista, sono causa di svariate violazioni dei diritti umani. L’intreccio fra le disposizioni delle tre convenzioni sulle droghe e il sistema internazionale di tutela dei Diritti Umani è stato ignorato per oltre 50 anni, tanto che solo nella seconda decade di questo secolo – su impulso della società civile internazionale – la questione è arrivata ad essere dibattuta all’interno del Commissione Droghe di Vienna.
Per la prima volta quest’anno, l’Alto Commissariato per i Diritti Umani (OHCHR) è intervenuto in plenaria presentando il proprio contributo, mentre un altro organo di tutela dei Diritti Umani delle Nazioni Unite, il CESCR, sta lavorando da alcuni mesi ad un commento generale sull’impatto delle politiche repressive sulle droghe sui diritti economici, sociali e culturali.
Se il novero delle violazioni è ampissimo, dalla stigmatizzazione delle persone che usano sostanze alla loro emarginazione, sino al diniego del diritto alla salute, la pena di morte per reati droga correlati rimane la violazione più violenta e sproporzionata.
Dopo la decisione del Pakistan di eliminare la pena di morte per questo tipo di reati, e della Malesia che ha abolito la pena di morte obbligatoria per tutti i reati, sono rimasti 34 i paesi che continuano a prevedere la pena di morte per droghe.
Lo si apprende dal rapporto che ogni anno Harm Reduction International dedica al monitoraggio della pena di morte per droghe nel mondo. Alla fine del 2023 almeno 3000 persone erano nel braccio della morte a causa di una condanna per droghe in almeno 19 Paesi.
Il dato preoccupante, dopo una pausa di alcuni anni, è l’aumento del 44% delle esecuzioni per droghe rispetto al 2022. Le esecuzioni sono state confermate in cinque Paesi: Cina, Iran, Kuwait, Arabia Saudita e Singapore.
L’aumento delle esecuzioni per droghe
“Dopo alcuni anni di riduzione regolare delle esecuzioni per droga ufficialmente confermate, tra il 2018 e il 2020, questo numero ha ricominciato a salire dal 2021, toccando nel 2023 la cifra record di 467.”
Così Giada Girelli, senior analyst di Harm Reduction International, commenta i numeri dell’edizione 2023. Il dato, di per sé allarmante, è anche parziale: Vietnam, Cina e Corea del Nord non diffondono infatti dati certi sulle esecuzioni.
Il 42% delle condanne a morte eseguite riguarda le droghe: “in altre parole – commenta Girelli – le politiche punitive di controllo delle droghe non solo si sono dimostrate inefficaci e dannose, ma sono ora anche tra gli ostacoli principali all’abolizione della pena di morte nel mondo.”
Quasi una esecuzione su due nel mondo è quindi motivata da reati droga correlati. Del resto, l’applicazione della pena capitale per droghe è la meno “costosa” in termini di impatto sull’opinione pubblica. Lo stigma facilita quindi molto il lavoro dei regimi autoritari.
Stante l’opacità dei dati, in particolare cinesi, risulta che la quasi totalità delle esecuzioni (addirittura il 98%) siano avvenute in Iran. Come sottolinea l’analista di HRI “il regime iraniano utilizza le impiccagioni come strumento di repressione e controllo del dissenso: i condannati per droghe sono i più facilmente sacrificabili, data la scarsa reazione della comunità internazionale a queste esecuzioni”.
Come l’opinione pubblica, anche le Istituzioni internazionali sembrano sorde agli appelli della società civile. “Il silenzio più assordante – secondo Girelli – è forse quello dell’Ufficio delle Nazioni Unite per le Droghe e il Crimine (UNODC), che dal 2019 non ha mai pubblicamente condannato queste esecuzioni, e nel 2023 ha addirittura firmato un nuovo accordo di cooperazione con l’Iran per il contrasto al narcotraffico”. Un accordo che “supporta iniziative ad alto rischio di contribuire a future esecuzioni per droga”.
Per droghe non si uccide solo “legalmente”
Alle uccisioni “legali” si affiancano anche quelle extragiudiziali. Le Filippine di Duterte sono state certamente il caso più tragico e noto. Le vittime della “war on drugs” iniziata dall’ex Presidente filippino sono state stimate dalla società civile in oltre 20.000.
Così tante da richiamare l’attenzione della Corte Penale Internazionale e da spingere Duterte a uscire dal trattato istitutivo per provare a evitarne il giudizio. Anche dopo l’arrivo alla Presidenza di Ferdinand Marcos Jr. la guerra pare continuare, pur con numeri minori: sono 621 le vittime stimate dall’ascesa al potere del figlio dell’ex dittatore Marcos ad oggi, secondo il Dahas Project dell’Università delle Filippine.
L’eccessiva criminalizzazione dei comportamenti legati al traffico e al consumo di sostanze, ha quindi giustificato violenze e uccisioni, sia da parte degli squadroni della morte in giro per il mondo che da parte delle forze dell’ordine. Basta pensare ai vari casi Cucchi, Bianzino e Aldrovandi in Italia o a quello di Breonna Taylor negli USA.
Il carico di violenza portato dal regime proibizionista sulle sostanze ha già causato troppe vittime. Anche per questo l’uso strumentale delle leggi sugli stupefacenti da parte del potere, negli stati democratici così come in quelli autoritari, deve finire.
Leonardo Fiorentini – Segretario di Forum Droghe
fonte: https://www.fuoriluogo.it/mappamondo/pena-di-morte-per-droga-467-esecuzioni-nel-2023/
fonte foto: tamara-gore-ncY75h9FWxc-unsplash-1440×1783