Luke Hildyard basandosi sul suo recente libro “Enough: Why it’s Time to Abolish the Super Rich” illustra le ragioni per le quali ritiene che sia sbagliato considerare ingenuo o idealista chi, mosso dall’obiettivo di contrastare le concentrazioni estreme di reddito e ricchezza, auspica imposte sulle grandi ricchezze e tetti ai super-redditi e, allo stesso tempo, ritenere che sia sobrio e ragionevole chi critica quelle politiche. Hildyard, sviluppando il suo ragionamento, giunge alla conclusione esattamente opposta.
Perché chi, avendo l’obiettivo di contrastare le concentrazioni estreme di reddito e ricchezza, si dichiara favorevole a misure come le imposte sulla ricchezza e i tetti alle super-retribuzioni viene visto come un ingenuo o un idealista, mentre chi critica quelle politiche è considerato (e si ritiene) sobrio e ragionevole?
Nel mio recente libro Enough: Why it’s time to Abolish the Super Rich sostengo che è vero esattamente il contrario. Un programma politico importante e trasformativo per ridistribuire e reindirizzare le fortune dai super-ricchi alla popolazione in generale sarebbe un modo ovvio, efficace e immediato per aumentare la prosperità di un gran numero di persone. Non si tratta di un argomento ideologicamente di sinistra. È la risposta logica che scaturisce da qualsiasi valutazione pragmatica dei modi e mezzi potenzialmente in grado di migliorare il tenore di vita generale; una questione che dovrebbe interessare l’intero spettro politico, anche gli elettori di centro e di destra. Le ricchezze in eccesso e immeritate possedute da chi sta in alto rappresentano una risorsa immensa e prontamente disponibile, utilizzabile in modo molto più efficiente per ottenere enormi miglioramenti socio-economici. I responsabili politici che non mostrano alcuna curiosità su come tutto ciò si potrebbe realizzare, danno prova di scarsa scrupolosità.
Il potenziale impatto di un ri-equilibrio nella distribuzione del reddito e della ricchezza sul benessere è dimostrato sia dall’evidenza che dall’esperienza. Nel corso della storia, i governi hanno innalzato il tenore di vita introducendo politiche che hanno convogliato il reddito e la ricchezza, precedentemente appannaggio dei più ricchi della società, verso il resto della popolazione.
Questo può avvenire attraverso una redistribuzione diretta, come quella derivante dai programmi di welfare e dai servizi pubblici finanziati dalla tassazione progressiva oppure attraverso provvedimenti come le leggi sul salario minimo o le norme sul lavoro che consentono ai lavoratori, generalmente i meno pagati, di ottenere redditi più elevati grazie a entrate di cui altrimenti avrebbero beneficiato gli imprenditori e i dirigenti più ricchi.
Queste politiche sono tipicamente associate all’Europa continentale, dove le tasse tendono a essere più elevate e le normative sono più severe. Ciò implica che i servizi pubblici e le infrastrutture sono di migliore qualità, e la disuguaglianza è più contenuta. Tuttavia, sebbene in misura diversa, esse sono adottate in tutte le economie avanzate ed è diffuso il convincimento che esse abbiano innalzato il tenore di vita, in particolare quello delle famiglie che ne avevano maggior bisogno perché i loro redditi erano di livello medio o basso.
Oggi la quota di reddito e ricchezza totale detenuta dall’1% più ricco della popolazione è a livelli storicamente molto elevati. Secondo il World Inequality Database, nel Regno Unito, dove risiedo, la quota del reddito totale che va all’1% della popolazione è circa il doppio rispetto al punto più basso (approssimativamente il 6%), raggiunto all’inizio degli anni ’80, ed è più alta che in qualsiasi altro momento dalla seconda metà del XX secolo. Inoltre, secondo alcune stime, l’1% più ricco della popolazione detiene quasi un quarto di tutta la ricchezza. Negli Stati Uniti, le cifre sono ancora più estreme. L’1% più ricco in termini di reddito detiene quasi un quinto del reddito totale, mentre l’1% più ricco in termini di ricchezza possiede circa un terzo di tutta la ricchezza. In entrambi i casi si tratta dei dati più elevati almeno dalla Seconda guerra mondiale. Queste tendenze si riscontrano, in misura diversa, nella maggior parte delle economie avanzate.
Peraltro, le sfide ambientali, demografiche e politiche rendono più difficile raggiungere livelli più elevati di reddito e ricchezza totali. In Europa, i policy maker faticano, specialmente dopo la pandemia di Covid e la guerra in Ucraina, a realizzare politiche in grado di sostenere la crescita economica. Negli Stati Uniti, i livelli di crescita sono stati più elevati, ma quando il 50% più povero della popolazione riceve a malapena 10 centesimi per ogni dollaro di reddito generato nel Paese, la crescita difficilmente può avere effetti significativi sul tenore di vita di tutta la popolazione. Secondo una recente analisi del Financial Times mentre gli americani più ricchi sono più ricchi delle loro controparti in altri paesi ricchi, il reddito del 10% più povero delle famiglie americane è inferiore a quello del 10% più povero in Slovenia, per non parlare di paesi come la Francia o la Germania.
Per affrontare questo deplorevole stato di cose e garantire che la ricchezza generata in diversi paesi sia distribuita in modo più equo ed efficiente, occorre sia redistribuire le ricchezze di coloro che si trovano ai vertici, sia – e in primo luogo – impedire loro di accumulare tali enormi fortune. Ciò potrebbe comportare misure come una tassa sulla ricchezza globale, che permetterebbe di trasferire una parte della ricchezza dei super-ricchi alla popolazione in generale sia direttamente sia attraverso le spese per la sicurezza sociale o, de facto, finanziando servizi pubblici migliori. Si potrebbe anche mettere un tetto alle retribuzioni dei manager ad esempio ancorandole a un multiplo del salario del lavoratore medio o, diversamente, mediante accordi obbligatori di condivisione degli utili, che garantiscano ai lavoratori una quota dei profitti generati dal loro lavoro. In questo modo, parte del denaro che ora va ai ricchi amministratori e azionisti verrebbe convogliato verso i lavoratori comuni.
I rischi economici che queste politiche genererebbero sono largamente esagerati. Esiste chiaramente il pericolo che i ricchi cerchino di sottrarsi a misure che li danneggiano dal punto di vista finanziario. Ma l’evidenza suggerisce che sia la propensione dei super-ricchi a trasferire la propria residenza per motivi finanziari sia la misura in cui la società risentirebbero della loro mancanza se lo facessero sono molto inferiori a ciò che tanti dicono di temere.
Dalle interviste condotte dalla London School of Economics con alcuni dei residenti più ricchi del Regno Unito non è emersa praticamente alcuna propensione a lasciare il Paese in caso di aumento delle tasse. Tutto ciò non sorprende. Essere ricchi vuol dire, banalmente, avere più soldi e potersi permettere uno stile di vita più costoso, per questo i super-ricchi tendono a concentrarsi nei luoghi più costosi del pianeta piuttosto che in quelli dove il costo della vita è inferiore.
Inoltre, politiche come quelle discusse in precedenza riguarderebbero soprattutto i redditi e la ricchezza al di sopra della soglia che delimita l’1% più ricco. Di conseguenza, solo una piccola numero di persone diventerebbe più povera, rimanendo comunque oggettivamente molto ricca. All’interno di questo gruppo, una percentuale molto consistente beneficia di denaro ereditato che non ha mai guadagnato, o di redditi di natura speculativa speculativi o derivanti da lavori non richiedono qualità particolari e uniche: solo il 4% degli amministratori delegati dell’S&P 500 sono fondatori della loro azienda, mentre il resto è costituito da manager scelti per le loro competenze, ma inevitabilmente giocano un ruolo anche le condizioni di origine, le relazioni sociali e le preferenze soggettive di chi assegna quei ruoli. Rispetto ai veri innovatori, l’argomentazione è che sarebbero disincentivate la loro creatività e produttività. Ma si tratta di un’argomentazione piuttosto fatua, perché in base a qualsiasi standard oggettivo sarebbero comunque incredibilmente ben ricompensati.
Ci sono anche molte cose che i Paesi potrebbero fare sia individualmente che collettivamente per mitigare i rischi di fuga all’estero. A livello individuale, si potrebbe collegare la cittadinanza al contributo fiscale (come già fanno gli Stati Uniti) o introdurre tasse di uscita che renderebbero molto più difficile ai super-ricchi sottrarsi alla giusta quota di contributo loro richiesto. Collettivamente, i governi potrebbero impegnarsi in azioni coordinate di contrasto alla concentrazione estrema di reddito e ricchezza. Al riguardo, stanno emergendo segnali promettenti, come la proposta, avanzata alla riunione del G20 di luglio dal governo brasiliano, di una dichiarazione congiunta a favore della tassazione della ricchezza; la proposta è sostenuta, tra gli altri, dal governo francese e dal direttore del FMI. L’iniziativa del G20 appare quanto mai opportuna (e urgente) considerando che le quote di reddito e ricchezza totali appannaggio del top 1%, sono anche storicamente enormi (e questo è ben evidente).
In questo contesto i politici che promettono di innalzare il tenore di vita della popolazione attraverso una maggiore crescita economica, ignorando il problema della disuguaglianza, appaiono, nel migliore dei casi, ingenui utopisti e, nel peggiore, ostruzionisti e demolitori che agiscono per conto di una piccola élite di ricchi contro gli interessi della popolazione nel suo complesso.
Di conseguenza i realisti sobri e ragionevoli sono quanti riconoscono che la distribuzione conta e chiedono di affrontare il problema dei super-ricchi. A loro è affidata la più fondata speranza di ottenere miglioramenti immediati e trasformativi nel tenore di vita della popolazione.
Se questo non sarà compreso da tutti le nostre società non potranno sfruttare appieno le potenzialità di cui dispongono per cambiare in meglio la vita di moltissimi. Coltivo la speranza che il mio libro possa dare un piccolo contributo in questa direzione.
fonte: https://eticaeconomia.it/abolire-i-super-ricchi-sobriamente-e-ragionevolmente/