7 aprile, Giornata mondiale della Salute, istituita per ricordare la fondazione dell’Organizzazione mondiale della Sanità nel 1948. Quest’anno il tema è il diritto alla salute, un diritto fondamentale, come dice la nostra Costituzione. Salute per tutti, nessuno escluso, né discriminato dal censo o dalle risorse economiche disponibili.
Il diritto alla salute è anche in Italia fortemente compromesso. Ce lo hanno ricordato 14 scienziati, solo pochi giorni fa. Ce lo ha rammentato la Corte dei Conti. E anche le Regioni del nostro Paese.
Sì, perché il nostro Servizio sanitario nazionale non riesce più a trasformare il diritto alla salute da formale a sostanziale, esigibile per tutti. Il circuito prevenzione-cura -riabilitazione, su cui si era basata la grande riforma sanitaria del 1978, si è spezzato sotto la scure dei tagli. Il pagamento a proprie spese delle cure sta diventando l’unica possibilità per i cittadini che possono permetterselo di ovviare alle liste d’attesa. E gli altri? E la prevenzione che dovrebbe essere al centro delle nostre strategie? Dimenticata, sacrificata.
E le promesse di quattro anni fa, in piena pandemia? E le numerose assunzioni di infermieri, medici, tra i più vecchi nei Paesi Ocse, che tutti dicevano essere necessarie? E la rivisitazione dei loro stipendi, più bassi che negli altri Paesi avanzati e che spingono ad emigrare? Possibile che la nostra spesa sanitaria sia ancora sotto al 7% del Pil e prevista al 6,2% per il 2025, quando in Francia e Germania è intorno al 10%? La spesa sanitaria deve rispondere ai bisogni del Paese. Se aumenta l’inflazione una parte dell’incremento della spesa sanitaria pubblica, in valore assoluto, è dovuta all’aumento dei prezzi di beni e servizi che vengono acquistati dal Ssn, non si traduce automaticamente in crescita dei servizi per i cittadini. Se aumenta l’invecchiamento della popolazione, crescono i bisogni di cura e riabilitazione. E allora bisogna incrementare la spesa per garantire una risposta di qualità per tutti e in particolare per i più fragili. Non si può rispondere investendo cifre irrisorie per gli anziani più fragili, come è stato fatto con il decreto attuativo della legge 33 del 2023 sulla non autosufficienza.
Ho letto con interesse l’intervento di monsignor Paglia su Repubblica che criticava i commenti usciti sul giornale sulle risposte governative al problema della non autosufficienza. Lo invito però a leggere attentamente tali commenti. La critica riportata sul giornale è relativa al decreto attuativo e non alla legge 33. Perché il decreto che dovrebbe attuare la legge non attua, ma rinvia la riforma a chissà quando e a innumerevoli decreti dei ministeri. E usufruisce di fondi già stanziati in precedenza sulla non autosufficienza e sulla povertà.
La rivoluzione nell’approccio verso un welfare di comunità, sulla cui importanza non c’è da dubitare, non è fattibile senza risorse umane e finanziarie. Scordiamocelo. I miracoli che hanno fatti medici e infermieri sotto la pandemia non sono ripetibili. Sta nelle responsabilità di chi governa trovare le risorse necessarie e indirizzarle in modo equo sulla salute dei cittadini italiani. Al momento non lo si sta facendo. Nella legge 33 era prevista, giustamente, la programmazione socio sanitaria, è vero, ma nel decreto attuativo è stata cancellata. Ed è venuta meno anche la domiciliarità di “durata e intensità adeguate” prevista dalla legge 33. E poi basta con questo approccio basato sulle sperimentazioni. Abbiamo sperimentato fin troppo. Rischiamo che diventi un alibi per giustificare la mancanza di investimenti e di fondi. Abbiamo bisogno di avviare politiche serie, proprio come ci dice la riforma. E non solo per i poverissimi con 6 mila euro di reddito Isee, ma per tutti coloro che ne hanno bisogno.
Ricordo che gli anziani in gravi difficoltà nella vita quotidiana secondo l’Istat sono 3 milioni 800 mila e 1 milione 200 mila sono gravi con più di 75 anni senza aiuto. A loro il governo manda un messaggio di rinvio, che per persone in là con gli anni appare una beffa. A loro e ai cittadini servono risposte concrete, serve come dicono i 14 procedere nell’attuazione di un piano straordinario.
fonte: la Repubblica