Il Power Threat Meaning Framework – che possiamo tradurre come “Modello (sul) Significato (di ogni) Minaccia (di) Potere” – è uno strumento innovativo, che vuole superare la spinta alla medicalizzazione di tutti quei disturbi psichici che possono essere trattati e superati con una prospettiva non-diagnostica.
Nel 2013, il Dipartimento di Psicologia Clinica della British Psychological Society ha pubblicato un position paper¹ che ha fatto propria la – ormai diffusa – consapevolezza dell’inadeguatezza dei sistemi di classificazione diagnostica ad oggi maggiormente utilizzati (DSM e ICD), soprattutto per orientare gli interventi di presa in carico nei confronti del cosiddetto “disagio emotivo” e dei comportamenti problematici, suggerendo lo “sviluppo di un approccio multifattoriale e contestuale, in collaborazione con gli utenti dei servizi, che includa fattori sociali, psicologici e biologici”. Ha quindi ideato un modello alternativo di concettualizzazione del disagio psichico, lavoro culminato con la pubblicazione, nel 2018, del Power Threat Meaning Framework².
Riconoscendone il carattere innovativo di approccio centrato sulla persona e di strumento utile a garantire una maggiore sostenibilità dei servizi sanitari, nonché una migliore integrazione con il sistema delle cure primarie, la Società Italiana di Psicologia di Comunità (SIPCO) ha promosso e supportato l’attività di un team di volontari – impegnati nella ricerca sociale e nella prassi politica, nella clinica e nei servizi di salute mentale – di traduzione, sintesi e divulgazione di questo “metamodello” (come viene definito dagli autori) che attinge da teorie, pratiche e tradizioni filosofiche differenti.
Ma in cosa consiste tale modello³? Il Power Threat Meaning Framework – dai curatori italiani anche abbreviato come “Modello PTM” – mira a superare la spinta alla medicalizzazione, contrapponendosi alla posizione teorica tradizionale che vorrebbe indicare specifici meccanismi “solo” biologici o “solo” psicologici alla base dei vari disturbi psichiatrici, concentrandosi invece sugli aspetti del comportamento umano nel contesto sociale e relazionale e sulla sua reciproca e circolare influenza con l’ambiente e i vissuti relazionali, che interagiscono tra loro con una complessità che viene spesso sottovalutata dagli schematismi dell’attuale modello bio-psico-sociale. L’esperienza di sofferenza e i comportamenti problematici di un individuo sono così inseparabili dal suo contesto materiale, ambientale, sociale, economico e culturale: interventi in grado di cogliere i bisogni reali della popolazione e garantirne il rispetto dei diritti devono dunque incidere in modo comprensivo su questi domìni.
Partendo dall’assunzione che il comportamento di un individuo può essere visto come un insieme di risposte comprensibili alla luce delle sue capacità fisiche e della sua storia, cultura e sistema di credenze e valori, il Power Threat Meaning Framework si basa sull’idea che le esperienze e i comportamenti “anormali” esistono in un continuum con i comportamenti e le esperienze “normali”, e vanno compresi all’interno dello stesso modello interpretativo. Lo scopo principale di questo modello è quindi di ampliare la gamma di approcci esistenti, fornendo un punto di vista diverso sull’origine, l’esperienza e l’espressione del disagio emotivo e dei comportamenti problematici, dando importanza alle esperienze, al significato che i soggetti attribuiscono alle situazioni e alla narrazione che ne danno: viene infatti assegnato un ruolo centrale alle narrazioni degli “esperti per esperienza”, persone che hanno vissuto esperienze di sofferenza e/o psichiatrizzazione e che possono contribuire a sviluppare forme di sostegno maggiormente capaci di valorizzare il punto di vista di chi vive il disagio, con minor rischio di violarne i diritti.
Il modello PTM identifica degli Schemi Principali, ricorrenti nell’esperienza della sofferenza, che si manifestano come risposta a varie circostanze che si verificano nell’arco della vita. In sintesi, più che tematizzare la patologia includendola in una classificazione, vengono descritte le modalità di reazione o i meccanismi messi in atto dall’individuo nell’attribuzione di significato e per la “sopravvivenza” a determinate circostanze, mostrando una visione della sofferenza che sostituisce la domanda chiave della medicalizzazione, <Cosa non va in te?>, con quattro differenti domande:
- Cosa ti è successo?
- Come ti ha influenzato?
- Che senso gli hai dato?
- Cosa hai dovuto fare per sopravvivere?
Per capire il modello bisogna tenere conto di quattro aspetti, connessi ed interdipendenti tra loro:
- Le operazioni di POTERE (Power): il potere legalmente riconosciuto; l’influenza ineluttabile delle condizioni economiche e materiali; il potere ideologico; le forme di supremazia sociale o culturale; il potere nelle relazioni interpersonali; la coercizione esercitata da fattori del contesto biologico, naturale, ambientale. Questo aspetto corrisponde alla domanda <Cosa ti è successo?>, cioè <Come ha operato il POTERE sulla tua vita?>
- La MINACCIA (Threat), costituita dall’operazione negativa del potere su una persona, un gruppo o una comunità, con particolare riferimento al disagio emotivo che essa comporta e alle modalità con cui questo è mediato dalla nostra condizione biologica. La domanda correlata è <Come ti ha influenzato?>, cioè <Quale tipo di MINACCE ha rappresentato?>
- L’attribuzione di SIGNIFICATO (Meaning): nel dare forma all’operazione del potere, alla sua esperienza ed alla sua espressione, alla minaccia avvertita e alla reazione ad essa. Corrisponde al quesito <Che senso gli hai dato?>, ossia <Che SIGNIFICATO hai attribuito a queste situazioni ed esperienze?>
- In conseguenza a quanto descritto sopra, l’insieme (appreso o acquisto evolutivamente) delle REAZIONI ALLE MINACCE a cui una persona, un gruppo o una comunità possono attingere per assicurarsi la sopravvivenza emotiva, fisica, relazionale e sociale. La domanda corrispondente è <Cosa hai dovuto fare per sopravvivere?>, in altre parole <Che tipo di RISPOSTE ALLA MINACCIA utilizzi?>. Le risposte alle minacce possono essere reazioni fisiologiche ed automatiche, oppure azioni di cui sono prevalenti la matrice linguistica e la componente di scelta consapevole
Gli schemi principali derivati dal Modello PTM sono sovrapponibili a quelle che vengono comunemente definite “diagnosi psichiatriche funzionali”: insiemi di pensieri, sentimenti e comportamenti per i quali non può essere identificata una causa organica. Ci si può valere del modello anche per l’analisi ed il superamento dei comportamenti problematici legati alla dipendenza da sostanze e a quelli che finiscono sotto la valutazione della psichiatria forense.
Per esempio, la strategia nazionale per soggetti segnalati dal sistema penitenziario britannico come potenziali portatori di “disturbo di personalità” – gestita dal National Offender Management Service, NOMS – ha avviato un percorso che, valorizzando gli istituti extra carcerari, focalizza l’attenzione sul benessere psicologico degli utenti del servizio, in “una prospettiva psicosociale e sistemica”, con la consapevolezza che alla “etichetta diagnostica di disturbo della personalità” possono essere associati interventi “nocivi o iatrogeni”⁴ da parte dei servizi, e che i comportamenti individuali vanno letti anche come tentativi di reazione ad essi. Questo programma dedica anche un’attenzione specifica al vissuto degli operatori: <noi crediamo che molti dei problemi associati alla diagnosi di “disturbo di personalità” siano legati ad un’incapacità dell’organizzazione ad identificare e contenere le reazioni emotive non solo degli utenti ma anche dei professionisti che lavorano con loro. Pertanto, il nostro lavoro consiste nell’aiutare i sistemi e le organizzazioni a riflettere sulla propria concettualizzazione della situazione così come su quella dei propri utenti> (Jo Ramsden, PTM).
Il PTM permette di svolgere specifiche riflessioni sugli effetti diretti di condizioni patologiche a chiara derivazione biologica, come le disabilità intellettive da disturbi del neurosviluppo, le patologie neurodegenerative come le demenze, le conseguenze di ictus o di traumi cerebrali, sempre valorizzando la relazione circolare tra la dimensione biologica, le sue manifestazioni funzionali e le dimensioni di senso che ad esse sono attribuite nel vissuto individuale e relazionale. Tale modello può inoltre esaminare situazioni in cui è necessario approfondire il legame tra componente organica e funzionale, come lo sviluppo di difficoltà emotive e/o comportamentali conseguenti alle problematiche neurologiche insorte nelle vittime di abusi e/o violenza familiare in età evolutiva. Riguardo ai problemi che emergono dagli effetti dell’assunzione di sostanze, se il PTM può dire poco sulle specifiche modalità di interazione tra fisiologia e queste ultime, è rilevante l’attenzione che dedica alla loro assunzione come strategia di autocura o management dei vissuti di impotenza, frustrazione e subalternizzazione – anche quando essi derivano da forme di violenza strutturale.
Capitolo a parte sono i problemi di salute fisica che possono palesarsi o sono erroneamente identificati come problemi di salute mentale, che includono un insieme di condizioni (squilibri ormonali, carenze vitaminiche, alcune infezioni virali e patologie autoimmuni) non affrontabili con il PTM, ma che necessitano di una diagnosi appropriata e opportuni trattamenti medici.
In conclusione, possiamo considerare il Power Threat Meaning Framework uno strumento concettuale progressista, che vuole superare la razionalità e la pratica diagnostica medicalizzata in quei disturbi psichici che possono essere trattati e superati con una prospettiva non-diagnostica, rendendo inoltre i/le professionisti/i maggiormente consapevoli delle dimensioni sociali della loro pratica. Esso può contribuire, anche in Italia, a sviluppare una riflessione sull’integrazione tra le Cure Primarie e i Servizi di Salute Mentale. Sarebbe interessante replicare il progetto della TEWV NHS Foundation Trust (importante erogatore di servizi di salute mentale nel nord dell’Inghilterra) che, dopo i risultati di uno studio pilota in un reparto di salute mentale adulti in cui è stato sperimentato l’approccio “trauma-informed” – basato sul riconoscimento che la maggior parte delle persone che si rivolgono ai servizi sociali ha sperimentato significative avversità e minacce – ha istituito un percorso sul trauma, inserito tra gli altri percorsi di cura (prevalentemente diagnosi-specifici) che coinvolge il personale sanitario fin dalla presa in carico del paziente, formandolo e supportandolo per arrivare a costruire piani di assistenza che tengano conto di questa variabile.
Letizia Fattorini, Scuola di specializzazione in Igiene e Medicina preventiva – Università di Firenze.
Luca Negrogno, Sociologo – Istituzione Gian Franco Minguzzi, Bologna.
BIBLIOGRAFIA
- The British Psychological Society – Division of Clinical Psychology, 2013. Classification of behaviour and experience in relation to functional psychiatric diagnosis: Time for a paradigm shift.
- The British Psychological Society – Division of Clinical Psychology, 2018. The Power Threat Meaning Framework. Towards the identification of patterns in emotional distress, unusual experiences and troubled or troubling behaviour, as an alternative to functional psychiatric diagnosis. Disponibile su: https://sportellotiascolto.files.wordpress.com/2023/11/the-power-threat-meaning-framework.pdf
- Power Threat Meaning Framework (PTMF) – versione italiana. Disponibile su: https://sportellotiascolto.it/2023/11/03/power-threat-meaning-framework-versione-italiana/
- Livesley, W.J. (2003). Pratical management of personality disorder. New York & London: Guilford Press
fonte: https://www.saluteinternazionale.info/2024/04/un-nuovo-approccio-al-disagio-psichico/