In tutto il mondo la violenza contro le donne trova nei social media un canale di grande diffusione. I contenuti pubblicati online rappresentano una nuova fonte di dati per analizzare e monitorare il fenomeno. Confermando le sue radici culturali profonde.
Il 2024 è iniziato da tre mesi scarsi e sono già 22 le vittime di femminicidio (erano la metà lo scorso anno). Il femminicidio è l’atto più estremo di violenza agita sulle donne in quanto tali e, come riportano i dati, è quasi sempre consumato in ambito domestico. Ma oggi, soprattutto durante e dopo la pandemia, nuovi e altrettanto pericolosi spazi si aprono, “moderne agorà” dove la violenza di genere viene agita e amplificata: gli spazi virtuali. I social media costituiscono una nuova fonte di dati per comprendere, insieme a quelle più tradizionali, la natura mutevole della violenza di genere.
In una nota del 2022, l’Organizzazione delle Nazioni Unite dedicata all’uguaglianza di genere e all’empowerment delle donne (UNWomen), sottolineava la necessità di colmare il gap informativo sulle nuove forme di violenza di genere (definite come technology facilitated gender based violence) che riguardano, secondo lo studio, il 38 per cento delle donne in forma diretta e l’85 per cento in forma indiretta, assistono cioè alla violenza digitale su altre donne. Trovare metodologie e tecniche in grado di utilizzare queste nuove fonti di big data è essenziale per comprendere e monitorare il fenomeno, e capirne le sue nuove forme di diffusione online. La stessa violenza contro le donne, infatti, si sviluppa sempre più nel mondo virtuale e trova nei social media un canale di massima diffusione. È una violenza che condivide le stesse cause profonde e molti dei fattori che determinano le sue forme offline: la sistematica diseguaglianza strutturale di genere, gli aspetti culturali e i dannosi modelli sociali.
Lo studio dell’Istat
L’Istat ha sviluppato una statistica sperimentale sulla violenza di genere, basata sull’analisi del sentiment e delle emozioni dei contenuti dei social media (X-Twitter, Facebook, Instagram e post di giornali web), finalizzata a osservare come gli utenti dei social reagiscono alla violenza contro le donne o generano discussioni intorno a essa. I risultati dello studio sono stati presentati nel corso di un convegno tenutosi alla fine del 2023.
Il metodo adottato nella ricerca aiuta a capire quali sono i messaggi che scatenano la discussione, fornendo una mappa degli argomenti (come il body-shaming, il femminicidio e lo stupro) in cui il sentiment e l’emotion collettiva sono più sollecitate (sia nelle sue forme positive sia negative). I risultati della sperimentazione sono stati confrontati con un’altra fonte di dati: il numero di pubblica utilità contro la violenza e lo stalking (1522), anch’esso recentemente entrato tra le fonti utili a comprendere, in tempo reale, come evolvono le diverse forme di violenza nel nostro paese.
La piattaforma creata ad hoc cattura i contenuti veicolati dai social, sulla base della presenza di almeno una parola appartenente a un set di parole filtro (keywords), predisposto da esperti di dominio e, attraverso un processo di machine learning di tipo supervisionato, effettua l’analisi del sentiment e dell’emotion dei contenuti dei post captati.
Ciò consente di misurare in che modo il fenomeno viene rappresentato sui social e se questi vengono utilizzati per contrastare, condannare o isolare la cultura dello stereotipo di genere e della violenza di genere. Oppure se, al contrario, ne esaltano il lato negativo amplificando la portata di odio e di violenza.
I social amplificano o ridimensionano la violenza, dunque? Dalle analisi fatte su un periodo compreso tra il 1° novembre 2021 e 30 novembre 2022, che ha riguardato un totale di 1.231.385 messaggi sulla violenza di genere (1.012.110 Twitter, seguiti dai 103.442 messaggi web, 55.358 post Instagram e 35.205 commenti Facebook), emerge che le discussioni intorno al tema della violenza sulle donne suscitano sia indignazione che proliferazione del linguaggio d’odio.
Il grafico 1 riporta entrambe le reazioni, nel periodo considerato. Sebbene il linguaggio violento sia costantemente utilizzato da chi partecipa alle discussioni online, si nota una “rassicurante” predominanza del senso di indignazione, segnale della presenza, tra gli utenti social, di una elevata consapevolezza di dover contrastare la violenza basata sul genere e sugli stereotipi. La non accettabilità degli episodi di violenza di genere appare quindi più diffusa rispetto al linguaggio violento, e ciò non solo in occasione di eventi che più invitano alla produzione di contenuti (come, ad esempio, il 25 novembre, giornata internazionale contro la violenza sulle donne), ma anche in coincidenza con fatti di cronaca o semplici contenuti di condanna della violenza basata sul genere.
Figura 1 – Andamento giornaliero sui social del linguaggio violento e di indignazione sui temi di violenza di genere (Periodo 1° novembre 2021–30 novembre 2022). Valori assoluti
Fonte: Istat, 2023
Il linguaggio violento, benché numericamente meno presente, alimenta comunque il livello di aggressività nei commenti sul tema della violenza di genere, evidenziando quanto nel dibattito pubblico sia ancora molto diffusa una cultura volta a rafforzare lo stereotipo di genere, che costituisce la radice socioculturale della violenza contro le donne. Ci si indigna sui fatti di cronaca estremi o quando si colpevolizza una donna perché ha provocato il suo carnefice, ma è anche vero che i social spesso rafforzano le forme di vittimizzazione e le replicano, generando linguaggi d’odio, violenti.
Le chiamate al 1522
Grazie all’insistenza delle campagne informative, alla crescita della consapevolezza collettiva, e, sicuramente, alla diffusione di dati costanti e aggiornati da parte di Istat, donne di qualsiasi età, titolo di studio e status socio-occupazionale sono riuscite a uscire dal ciclo pericoloso di violenza subita, che spesso dura da anni.
La crescita della consapevolezza collettiva emerge chiaramente non solo dall’aumento delle chiamate di utenti e vittime al 1522 per informarsi sulle sue attività (+108,9 per cento del quarto trimestre rispetto a quello precedente), per chiedere aiuto in caso di violenza (+61,3 per cento) e, soprattutto, di stalking (+113,8 per cento), ma anche dalle chiamate da parte di parenti, amici, conoscenti o operatori dei servizi che segnalano casi di violenza o chiedono supporto per le vittime.
Il livello di accettabilità sociale dell’episodio violento, d’altro canto, è un fatto che Istat ha rilevato anche attraverso l’indagine sugli stereotipi di genere e l’immagine sociale della violenza che è stata svolta nel 2018 e che è stata ripetuta nel 2023 (ancora in corso). Risulta, ad esempio, che ben il 4,3 per cento degli intervistati ritiene accettabile che nell’ambito della coppia possa volare uno schiaffo o che sia normale controllare il cellulare del partner (10,2 per cento). Quest’ultima forma di violenza psicologica appare pericolosamente accettabile tra le nuove generazioni (16,2 per cento).
Siamo ancora in una cultura permeata da stereotipi di genere e questo evidenzia le radici culturali profonde che generano episodi di violenza (come appunto il femminicidio) e che per questo non possono considerarsi fatti estremi o isolati.
Dai big data arriva dunque una conferma di quanto già evidenziato attraverso le fonti di dati tradizionali. E sarà sempre più opportuno utilizzare le fonti alternative di dati per capire meglio come evolvono e incidono le nuove forme di violenza facilitate dallo sviluppo tecnologico, non solo nella loro estensione dall’offline all’online, ma anche nelle forme di partecipazione sociale ed economica delle donne alla società digitale.