Diritto allo studio universitario: non sarà un Lep a garantirlo. di Patrizia Lattarulo, Silvia Duranti

Definire i Lep non è sempre garanzia di equità dei servizi. Vincoli di bilancio possono impedirne la completa applicazione. Alle amministrazioni locali dove i bisogni sono più alti e le capacità finanziarie più basse è chiesto uno sforzo maggiore.


I Lep per il diritto allo studio universitario

I Lep – livelli essenziali delle prestazioni – non sono sempre garanzia di equità dei servizi. La loro inefficace o incompleta applicazione può causare disparità territoriali e diversità di trattamento, spesso riconducibili alla capacità o disponibilità a pagare e dunque alla ricchezza locale.

Avviene, per esempio, nel diritto allo studio universitario (Dsu), materia di competenza regionale, ma all’interno di una cornice definita dallo stato (legge 240/2010). In particolare, secondo il decreto legislativo 68/2012, i Lep e i relativi fabbisogni standard dovrebbero essere determinati con un decreto congiunto del ministero dell’Università e ricerca e del ministero dell’Economia e delle Finanze sulla base di un’indagine volta a stabilire il costo standard di mantenimento agli studi, relativo a diverse voci: materiale didattico, trasporto, ristorazione, alloggio e accesso alla cultura. Tuttavia, a distanza di oltre un decennio dalla definizione del quadro normativo, l’indagine sui costi non è ancora stata effettuata e il Mur continua a stabilire con proprio decreto annuale l’importo minimo delle borse di studio, aggiustando le cifre del precedente anno accademico sulla base della variazione dell’indice generale Istat dei prezzi al consumo per famiglie di operai e impiegati e dell’incremento delle risorse messe a disposizione dallo stato. Le regioni hanno poi ampi spazi di autonomia sia sull’importo delle borse e sulle condizioni di eleggibilità che sull’importo della tassa regionale con le quali co-finanziare il servizio, sfruttati in diversa misura dalle diverse amministrazioni.

Senza l’indagine sui costi di mantenimento agli studi, il fabbisogno finanziario delle regioni viene calcolato semplicemente come media delle spese sostenute dalle stesse nei precedenti tre anni accademici. Dunque, il fabbisogno non ha una natura standard, come invece dovrebbe avere secondo la normativa, ma si basa sostanzialmente sul criterio del costo storico, riproducendo annualmente uno squilibrio tra gli importi assegnati alle regioni sulla base del fabbisogno finanziario netto calcolato ex-ante dal Mur e l’esborso effettivamente sostenuto da queste ultime per la concessione delle borse di studio.

Differenze tra regioni

Spetta dunque alle regioni soddisfare le necessità dei territori, con importi molto importanti sulla base dei fabbisogni, delle priorità dei governi locali e della ricchezza territoriale. Ma c’è molta differenza tra l’impegno di Calabria, Puglia e Sardegna, che hanno un’alta domanda di borse di studio rispetto alla popolazione studentesca, e quello di Lazio, Lombardia, che hanno una offerta di borse decisamente inferiore e la possibilità di ricorrere in misura maggiore a risorse proprie o al sistema della tassazione.

Figura 1 – Le differenze territoriali: i bilanci delle regioni, la capacità fiscale dei territori e i fabbisogni. Anno 2020-2021

Fonte: Opendata Mur

Poter contare su una alta disponibilità o capacità dei propri cittadini a pagare rappresenta una indubbia risorsa in un sistema decentrato, come emerge dall’analisi degli importi per studente stanziati per ogni regione dal livello statale e dalle regioni stesse (attraverso la tassa regionale per il diritto allo studio e altre risorse proprie). In Lombardia, Liguria e Veneto, infatti, la spesa per il diritto allo studio calcolata sul numero degli studenti iscritti è più contenuta che in altre regioni: Contemporaneamente le fonti di finanziamento sono più equilibrate, con un’importante componente proveniente dalle risorse regionali. Si trovano invece in condizioni diametralmente opposte la Calabria, la Sardegna e la Puglia, che dedicano al Dsu risorse proprie regionali per studente fino a sei volte superiori a quelle lombarde per poter soddisfare una domanda molto più elevata.

Figura 2 – Le risorse Dsu per studente universitario, l’impegno delle regioni e le disponibilità del territorio. Finanziamento per livello di governo, euro pro capite per studente. Anno 2020-2021

La mancanza di standard in termini di Lep fa sì che la capacità di risposta ai bisogni degli studenti sia ancora eterogenea tra territori, tanto che in alcune regioni il tasso di copertura è inferiore alla domanda espressa di borse di studio (Calabria, Lombardia, Veneto, Molise, Abruzzo e Sicilia) e il fabbisogno abitativo dei borsisti resta in larga parte insoddisfatto (si veda qui per proposte di riforma sulla copertura della domanda). Sorprende trovare assieme alle regioni del Sud la Lombardia, dotata di una buona capacità di finanziamento, ma ciò si spiega con il modello di quasi-mercato che applica su più ambiti.

L’esperienza insegna (in sanità come nel diritto allo studio universitario) che garantire i livelli essenziali delle prestazioni su tutto il territorio è una operazione costosa e difficile, tanto più in un paese gravato dai pesanti vincoli di bilancio come il nostro. È per questo motivo che l’ammontare delle risorse che lo stato mette a disposizione a copertura dei bisogni è stabilito in sede di legge di bilancio, in misura indipendente dai fabbisogni emersi. È particolarmente evidente nel caso del Dsu, dove le risorse del fondo integrativo statale (Fis) sono ben lontane dai fabbisogni stimati dallo stesso ministero e tanto più dalla spesa effettiva. Lo sforzo che si richiede ai territori è dunque maggiore dove i bisogni sono più alti e le capacità finanziarie degli studenti più basse. Di conseguenza, una volta fissati i Lep, garantirli solo in alcune regioni (per esempio quelle che richiedono più ampi spazi di autonomia) o operare un taglio proporzionale è solo apparentemente neutrale, visto che solo in alcune aree – laddove disponibile – potrà subentrare la capacità di pagamento dei cittadini.

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