Federico Esposito, Lorenzo Picarella e Rocco Sciarrone esaminano il mercato italiano dei giochi d’azzardo che ha dimensioni economiche rilevanti e però genera importanti esternalità negative: non solo per le patologie legate al gioco ma anche per la sua vulnerabilità alla criminalità, soprattutto di tipo mafioso. Gli autori si occupano del rapporto tra mafie e azzardo, osservando il modello di regolazione del mercato dei giochi pubblici e focalizzandosi sulle sue dinamiche interne, le articolazioni di filiera, gli interessi in campo, la dimensione normativa.
Il gioco d’azzardo è da sempre un tema controverso: riguarda pratiche molto seguite ma anche fortemente stigmatizzate; produce un giro d’affari vorticoso, insieme però a gravi esternalità negative; coinvolge in modo spesso poco equilibrato interessi pubblici e privati; presenta un intreccio variabile di attività lecite e illecite. Per queste ragioni, risulta storicamente molto dibattuta la questione della sua regolazione, in particolare il controllo e la gestione dei rischi che esso comporta sul piano etico, economico, sociale e dell’ordine pubblico.
Un nostro recente lavoro di ricerca (R. Sciarrone, F. Esposito, L. Picarella, Il gioco d’azzardo, lo Stato e le mafie, Donzelli, 2023) ha approfondito il ruolo esercitato dalla criminalità organizzata, in particolare di stampo mafioso, in questo peculiare settore economico. Il gioco d’azzardo in Italia presenta dimensioni economiche e industriali di assoluto rilievo e risulta tra i più estesi e in crescita a livello mondiale, collocandosi alle spalle soltanto di Usa, Cina e Giappone. Nel 2022, la spesa complessiva per il gioco, secondo i dati ufficiali, è stata di 136 miliardi di euro, pari a circa il 6% del Pil nazionale (la stima per il 2023 si attesta intorno ai 150 miliardi di euro). Al tempo stesso, le entrate erariali hanno raggiunto gli 11,2 miliardi di euro, una cifra considerevole per il bilancio dello Stato (Agenzia delle dogane e dei monopoli, Libro Blu per il 2022).
Lo sviluppo del settore è dovuto soprattutto alla progressiva espansione dell’offerta di giochi verificatasi negli ultimi trent’anni, determinata da un’estesa liberalizzazione del mercato, a cui è seguita una crescita considerevole del numero di giocatori e, insieme, di patologie e problemi legati al consumo d’azzardo.
A generare preoccupazione non è soltanto la diffusione delle dipendenze – con i connessi costi sociali e sanitari – ma anche l’attrazione che il comparto esercita sulla criminalità organizzata. Nella nostra ricerca abbiamo ricondotto questo problema al particolare modello di regolazione del settore, di fatto basato su un oligopolio di concessionari privati e caratterizzato da un quadro altamente confuso di regole, leggi, organismi, funzioni e responsabilità.
Per mettere a fuoco il ruolo della criminalità organizzata è stato innanzitutto necessario capire come funziona concretamente il settore, quali sono i suoi assetti regolativi, quali gli interessi in campo, i rapporti di potere, le modalità di allocazione delle risorse. In secondo luogo, ci si è concentrati sulle strategie e modalità di azione utilizzate dalla criminalità organizzata e sui varchi e le opportunità che possono favorirle. La ricerca si è basata sull’analisi sistematica di una serie di inchieste giudiziarie, affiancata da una campagna di interviste a testimoni qualificati.
Il dibattito pubblico sul tema dell’azzardo risulta fortemente polarizzato. Da un lato, si ritiene che l’estensione dell’offerta di gioco legale ostacoli la diffusione di quello illegale; dall’altro, si sottolinea che l’allargamento dell’offerta legale è correlato con la crescita della presenza criminale. A queste posizioni conseguono orientamenti più o meno restrittivi circa le forme di regolamentazione del mercato. In realtà, i risultati della nostra ricerca suggeriscono di superare la concezione dicotomica del rapporto tra legale e illegale, che a sua volta conduce a una fuorviante visione meccanicistica della relazione tra offerta e domanda di giochi leciti e illeciti.
La nostra analisi mostra che i mercati del gioco d’azzardo si caratterizzano per gli elevati livelli di opacità e per la presenza di diversi profili di illegalità che li espongono alla penetrazione delle mafie. Queste ultime operano in quei mercati in modo variabile e, d’altro canto, per quanto residuale, è ancora presente l’organizzazione di mercati clandestini (bische, totonero, corse e scommesse ippiche illegali). Sono invece in forte crescita gli attori mafiosi nell’ambito del gioco d’azzardo legale. Le modalità maggiormente utilizzate sono soprattutto quattro: il riciclaggio, l’acquisizione di società, la distribuzione di prodotti illeciti e il controllo violento del mercato. Le prime sono trasversali e si manifestano, ad esempio, con l’acquisizione e gestione di sale che offrono gioco d’azzardo. Per la distribuzione e imposizione – anche violenta – di prodotti leciti e illeciti sono centrali gli apparecchi da intrattenimento con vincita in denaro – le cosiddette slot machine – e il comparto del gioco online. Le caratteristiche dei mercati e le relative configurazioni di filiera incidono sull’operatività mafiosa. I settori dell’online e delle slot si distinguono infatti per la presenza di figure imprenditoriali che agiscono da intermediari e vantano un forte rapporto con il territorio, pur non essendo loro richieste particolari competenze manageriali o conoscenze specialistiche.
Per la penetrazione mafiosa nel comparto delle slot machine è rilevante il segmento di filiera dei gestori, soggetti che distribuiscono le macchine presso una molteplicità di esercizi commerciali come bar e tabaccherie. Con riferimento al gioco online risultano invece centrali i master, ossia gli agenti di vendita territoriali dei concessionari, il cui ruolo evidenzia la significativa dimensione fisica di un canale che teoricamente sarebbe immateriale. Costruendo alleanze con imprenditori, tecnici e professionisti, le mafie gestiscono apparecchi e siti non conformi alle disposizioni di legge. È il caso delle slot modificate in modo da alterare i reali flussi di gioco per sottrarre denaro all’erario. Sull’elusione fiscale si basa anche la distribuzione di prodotti totalmente illegali come i videopoker o i totem, collocati solitamente negli stessi locali in cui sono presenti quelli legali. Un meccanismo analogo a quanto si verifica per i cosiddetti siti “.com”, anch’essi privi delle autorizzazioni statali.
Da tenere presente che il gioco online ha registrato negli ultimi anni un incremento estremamente significativo, rappresentando ormai oltre il 60% del gioco complessivo. Nel settore dell’online la confusione normativa appare di gran lunga superiore a quella presente nel gioco fisico. Questo aspetto lo rende particolarmente vulnerabile a pratiche a cavallo tra legale e illegale, crinale lungo il quale i mafiosi sembrano essere molto a proprio agio. Le reti criminali che si sviluppano in questo ambito tendono ad assumere una configurazione transnazionale per la presenza di attori economici indipendenti, che operano in paesi stranieri con basse barriere di ingresso al mercato dei giochi. Fondamentale è poi la possibilità di accedere ai paradisi fiscali e a sistemi tributari che agevolano l’occultamento di proventi illeciti.
Il quadro emerso dalla nostra ricerca chiama in causa, come anticipato, gli assetti regolativi e non soltanto per le necessarie operazioni di riordino e integrazione della legislazione. Sul punto è importante sottolineare il ruolo dello Stato, il quale è intervenuto nel tempo lasciando spazio a una configurazione di mercato basata sul modello delle concessioni e delle autorizzazioni. Un modello che, oltre a favorire orientamenti di laissez-faire, tende a «privatizzare» gran parte degli introiti del settore (per com’è strutturato il mercato, anche il prelievo fiscale non è aumentato proporzionalmente alla crescita dell’offerta, anzi è diminuito nel tempo). Una situazione che da un lato ha incentivato un’ampia apertura alle logiche di mercato, ma che dall’altro ha ristretto fortemente le effettive possibilità di concorrenza economica. Anzi, ha trasformato nel tempo le condizioni di privilegio dei «primi arrivati» in vere e proprie posizioni di rendita, non contendibili. A nostro parere, l’attuale modello di regolazione del comparto rivela diversi punti di debolezza e fragilità: in particolare, ci riferiamo alle storture derivanti dalla presenza di interessi privati organizzati (criminali e non) e al rischio di cattura del regolatore. Queste problematiche sono a loro volta strettamente connesse alle funzioni e al ruolo di governance ricoperto dalla Agenzia delle dogane e dei monopoli (Adm), incaricata del rilascio delle concessioni. I suoi compiti non sono del tutto precisati e, per alcuni aspetti, sembra configurare situazioni di conflitto di interessi: andrebbe quantomeno rivisto e meglio definito il suo profilo giuridico, amministrativo e, in senso lato, politico.
Per concludere, torniamo al dibattito pubblico sul gioco d’azzardo che, come detto, si presenta fortemente polarizzato, con posizioni tra loro quasi del tutto inconciliabili, che rimandano a concezioni molto diverse dei rapporti tra etica ed economia, così come di quelli tra Stato e mercato. Questo è evidente anche quando si discute di gioco illegale e di criminalità organizzata. La discussione assume spesso la forma di una contrapposizione tra due schieramenti, l’uno connotato in senso proibizionista, l’altro in senso antiproibizionista. È questa tuttavia una semplificazione delle posizioni in campo, che riguardano in realtà il regime di governance da adottare, mettendo a confronto l’opzione di una regolamentazione più stringente con quella di una maggiore liberalizzazione del settore. Da segnalare che, sul piano politico, lo schieramento favorevole a una spinta liberalizzazione del gioco d’azzardo è spesso lo stesso che ha posizioni fortemente antiproibizioniste rispetto ad altri mercati del vizio (si pensi al caso delle droghe leggere). D’altra parte, i concessionari e le associazioni di categoria svolgono un’intesa attività di lobbying, anche producendo direttamente oppure commissionando a enti di ricerca analisi e report sul gioco pubblico, con l’esplicito obiettivo di evidenziarne gli aspetti positivi e di contrastare ogni tentativo di introdurre regole più restrittive.
A ben vedere, tuttavia, le argomentazioni dei critici della regolamentazione del gioco d’azzardo, di coloro che si definiscono antiproibizionisti ma che hanno spesso una posizione favorevole all’estrema liberalizzazione del mercato, sembrano richiamare le tesi «reazionarie» e le retoriche dell’intransigenza magistralmente descritte da Albert Hirschman (Retoriche dell’intransigenza, il Mulino, Bologna 1991). Innanzitutto, la tesi della perversità, quando si sostiene che introdurre controlli e regole più stringenti sul gioco provocherebbe in realtà effetti contrari a quelli voluti (ad esempio, un incremento dell’illegalità). In secondo luogo, la tesi della futilità, che rimanda al fatto che sarebbe illusorio, quindi inutile, cercare di modificare un ambito di attività fortemente radicato nelle strutture profonde della società. Per ultima, la tesi della messa a repentaglio, secondo cui il cambiamento proposto, benché forse in sé desiderabile, comporterebbe costi o conseguenze inaccettabili, diventando così dannoso per la collettività (ad esempio, regole più restrittive ridurrebbero profitti, posti di lavoro, ecc.). Queste tre tesi, non necessariamente enunciate tutte insieme, vengono variamente utilizzate per criticare le proposte di introduzione di regole più severe nel settore, ma soprattutto per promuovere il mercato come unico e più appropriato meccanismo di regolazione. In molti casi, l’obiettivo è, in realtà, quello di salvaguardare gli attuali assetti istituzionali, che a dispetto del ruolo dell’autorità pubblica lasciano ampi spazi di azione e di profitto a una serie di attori privati, tra i quali riescono a inserirsi con relativa facilità anche attori mafiosi, insieme a loro soci e alleati.
L’attuale discussione in Parlamento sul riordino del settore dei giochi, a partire da quello a distanza, non sfugge a queste retoriche, e lo schema di Decreto legislativo (Atto del Governo n. 116, in attuazione della Delega prevista nella Legge 11/2023) non affronta le problematicità su cui abbiamo richiamato l’attenzione. Tra le altre cose, non pare adeguatamente tematizzato il rischio rappresentato dalla criminalità organizzata, né sembra siano previsti strumenti idonei a prevenirlo o contrastarlo, e soprattutto non si tiene conto che il gioco online non è alternativo al gioco fisico, bensì complementare. Si annuncia per contro la costituzione di una Consulta a cui sarebbero chiamati a partecipare anche rappresentanti dei concessionari, alimentando così di fatto situazioni di conflitto di interessi. In definitiva, si mettono in secondo piano e si sottovalutano sia i problemi di salute pubblica e di coesione sociale sia quelli relativi alle vulnerabilità del settore rispetto alla criminalità organizzata, mafiosa e dei colletti bianchi.
fonte: https://eticaeconomia.it/il-gioco-dazzardo-e-le-mafie-tra-stato-e-mercato/