Gentile Direttore,
da un anno e mezzo Rowan, ragazzo minorenne, vaga fra reparti psichiatrici, comunità per minori (terapeutiche, educative, di pronta accoglienza) e brevi rientri a casa. Progetti di cura tutti conclusi in modo burrascoso, fra botte, fughe, corse di carabinieri, sedativi, ambulanze. Adesso è di nuovo in Spdc (reparto psichiatrico per adulti) in vista della prossima “collocazione”.
Rowan sta troppo male per tornare a casa. Ma ha 17 anni e mezzo, l’età peggiore per la “burocrazia sanitaria”. E’ ancora minorenne, non può andare nelle strutture per adulti; ma le comunità minori, strapiene, non spasimano per accollarsi un quasi maggiorenne con tanti fallimenti alle spalle. E quindi? I dirigenti dei servizi sono in preda all’enigma: dove lo mettiamo? Chi se lo prende? Dove riescono a tenerlo? Servizio minori, servizio adulti, assistenti sociali – chi deve occuparsene? E la domanda cruciale, chi paga? In tutto questo ansioso prodigarsi, passa in secondo piano un’altra questione: cosa sta succedendo a Rowan?
Questa vicenda è un esempio – tra i tanti possibili – della deriva che ha imboccato il sistema della salute mentale: che sia coinvolta o meno la Magistratura, la priorità dei Dipartimenti è sempre più di natura allocativa: la risposta a situazioni ad alta complessità psico-sociale, e che spesso generano “allarme”, si concentra sulla ricerca del posto idoneo dove mettere il paziente.
Per questo il dilagare del modello di cura “coattivo-passivizzante”, basato su misure di sicurezza e obblighi di cura – spacciato come inevitabile e scientificamente appropriato – decreta invece la grave crisi del sistema: svilisce il terapeuta/psichiatra, soffoca la passione che mette nel suo lavoro, ne depotenzia (spesso ostacola) l’azione, allarga il solco di fiducia fra terapeuti, pazienti e famiglie, alimenta aggressività e perdita di speranza.
Enrico Di Croce
Psichiatra, ex Dsm Asl TO 4
Stefano Naim
Psichiatra, Dsm Asl Modena
fonte: https://www.quotidianosanita.it/lettere-al-direttore/articolo.php?articolo_id=120686