So che la definizione non gli garberà, il rifulgere dai palcoscenici mediatici è un suo tratto distintivo. Tant’è. Chi scrive lo conosce da oltre quarant’anni, e senza esagerare posso dire che del pacifismo italiano Flavio Lotti è un pezzo di storia. Dai tempi del movimento contro gli euromissili, dell’azione non violenta a Comiso, dei grandi raduni pacifisti.
Uno degli animatori, assieme a Tom Benetollo, del Comitato 24Ottobre. Erano gli inizi degli anni’80. Da allora, l’impegno per la pace ha sempre caratterizzato l’esistenza di Flavio su ogni luogo di sofferenza e di guerra (dalla ex Jugoslavia al Medio Oriente). È l’organizzatore della Marcia per la pace Perugia-Assisi. È stato per 16 anni il Coordinatore nazionale della Tavola della Pace (dal 1996), la più grande rete pacifista italiana che raccoglie centinaia di gruppi e organizzazioni laiche e religiose ed Enti Locali. Oggi è Presidente della Fondazione PerugiAssisi per la cultura della pace.
Intervista di Umberto De Giovannangeli
In tutta Italia si stanno svolgendo manifestazioni a sostegno del popolo palestinese. La parola d’ordine comune è Stop al genocidio a Gaza. Genocidio. Parola che per molti, anche a sinistra, sembra impronunciabile. Ma allora come descrivere ciò che sta avvenendo da mesi nella Striscia di Gaza?
Non ci sono parole. Non esistono parole in grado di contenere la quantità spropositata di violenza e di atrocità che si stanno lucidamente compiendo a Gaza e, purtroppo, non solo a Gaza. Perché di massacri ce ne stanno davvero tanti nel mondo. La parola genocidio è scomoda perché associa il massacro di Gaza ai peggiori crimini contro l’umanità della storia e perché mette a nudo le responsabilità di tutti i responsabili della politica che non fanno nulla per fermarlo. Secondo il diritto internazionale, vale la decisione della Corte Internazionale di Giustizia che, un mese fa, non solo ha riconosciuto l’esistenza del problema, ma ha anche ordinato allo Stato di Israele di “adottare tutte le misure in suo potere per impedire la commissione di tutti gli atti” che configurano il crimine di genocidio. Il tentativo di censurare la parola “genocidio” e tutti quelli che la usano è parte della manipolazione della narrazione in corso. E tuttavia, “la realtà è superiore all’idea” e i sistematici tentativi di oscurare, cancellare e manipolare i fatti stanno coprendo di discredito i loro autori. Qualcuno ha già contato 1027 manifestazioni di solidarietà con il popolo palestinese e presto arriverà la convocazione di una manifestazione nazionale di tutto il popolo della pace. Il Parlamento deve assumersi la responsabilità di fare quello che una politica di pace deve fare: fermare subito la carneficina, indurre Israele a rispettare la sentenza vincolante della Corte Internazionale di Giustizia, impedire il prossimo grande massacro a Rafah e l’espulsione dei palestinesi dalla striscia di Gaza, soccorrere i due milioni di bambini, donne e uomini affamati, terrorizzati e “disumanizzati” che ancora non sono stati inghiottiti dall’inferno, liberare gli ostaggi israeliani e i prigionieri palestinesi, fermare le uccisioni, gli arresti arbitrari, la costruzione di colonie in Cisgiordania.
Il ministro degli Esteri Antonio Tajani definisce sproporzionata la reazione d’Israele. Al tempo stesso definisce Hamas peggio delle SS e della Gestapo. Ma contro chi è peggio dei peggiori nazisti, e contro quelli che li supportano, tutto è lecito…
No, ci sono cose che non si possono fare e quando si fanno, diventano “crimini”, crimini di guerra, crimini contro l’umanità che devono essere condannati e perseguiti. La legge parla chiaro. Il diritto ci dice che la stessa “guerra” non è lecita. Lecita è solo l’autodifesa, ma anche questo diritto ha dei limiti che sono quelli della proporzionalità. Infatti, gli eccessi di autodifesa sono puniti dalla legge. Il fatto che alcuni governi ed esponenti politici rivendichino il “diritto di fare la guerra” non cambia la legge ma ne certifica la sua violazione. Dobbiamo dirlo chiaro e forte: fare la guerra è illegale e tutti gli atti di guerra sono crimini che vanno puniti dalla coscienza e dal diritto. Niente di quello che sta accadendo a Gaza è lecito. La ferocia con cui si sta infierendo sui palestinesi, lo scempio di corpi di bambini che tutti i giorni vengono dilaniati dalle bombe, la montagna di sofferenze inflitte su milioni di persone inermi trova giustificazione solo nella propaganda di guerra. Il diritto di uccidere non esiste.
Di fronte a quella che Papa Francesco ha definito una “guerra mondiale a pezzi”, non crede che vi sia una sottovalutazione del pericolo da parte della politica?
C’è sottovalutazione ma c’è anche tanto cinismo. Io sono convinto che la maggior parte delle persone non abbia ancora capito cosa stia realmente succedendo, quanto profondi siano i processi in corso, quanto gravi siano le loro conseguenze strutturali. Per questo non c’è ancora una reazione popolare all’altezza dei pericoli. Alcuni pezzi del mondo politico hanno interesse a nascondere la realtà e a minimizzare i problemi. Altri sono impreparati e dunque incapaci di affrontare il complesso groviglio di problemi che incombe. Dov’è finita la politica che dopo 70 milioni di morti aveva deciso di mettere al bando la guerra, di costruire l’Onu, di fare dell’Europa la patria della libertà e del diritto, di forgiare il diritto internazionale dei diritti umani? Sono anni che Papa Francesco invoca la ricostruzione urgente di una politica di pace ma tanti politici -non tutti per la verità, è giusto sottolinearlo- è prigioniera dello schema della guerra. E tuttavia, con l’ampliarsi della portata e delle esigenze della guerra, diventa sempre più chiaro a molti che dobbiamo cambiare strada. Pochi giorni fa, in Campidoglio a Roma, cento sindaci e amministratori locali, inclusi Roberto Gualtieri e Dario Nardella, hanno condiviso l’appello alla mobilitazione del Coordinamento Nazionale degli Enti Locali per la Pace e i Diritti umani. Rimettere la pace al primo posto della politica non sarà facile ma la realtà costringerà tutti a rifare l’agenda. Le donne e gli uomini di buona volontà devono fare in modo che non accada troppo tardi.
Perché è così importante lavorare con i giovani, nelle scuole, perché si affermi una cultura della pace?
Io sono convinto che noi dobbiamo essere alleati dei nostri giovani. Per affrontare tutte le grandi sfide aperte abbiamo bisogno della loro energia, della loro fiducia, della loro creatività e del loro coraggio. Noi ci possiamo mettere un po’ di conoscenza ed esperienza ma non abbiamo nessuna possibilità di farcela senza di loro. Per questo dobbiamo investire sui giovani. Di certo non possiamo prenderli a manganellate o imporgli percorsi “rieducativi” di altri tempi. Investire sui giovani vuol dire stimarli, ri-conoscerli e rispettarli come persone di valore. Smettiamola di indugiare con visioni catastrofiste. I problemi che li affliggono sono lo specchio delle nostre e non delle loro colpe. Facciamo in modo che nessuna ragazza o ragazzo si possa sentire irrilevante, inutile, inadeguato o scartato. E poi, smettiamo di riversare su di loro le nostre frustrazioni. Diciamogli che siamo all’inizio di una nuova storia e non alla sua fine. Diamogli ascolto e spazio. Facciamoli sentire che non sono soli ma parte di una comunità che si prende cura di loro. Insieme con la Rete Nazionale delle Scuole per la Pace stiamo portando avanti il programma di educazione civica “Trasformiamo il futuro. Per la pace con la cura” che culminerà il prossimo 19 aprile con l’incontro di cinquemila giovani con Papa Francesco. Oggi migliaia di studenti e insegnanti di 123 città saranno protagonisti della Giornata dedicata alla promozione della cura delle persone e del pianeta. Il 21 marzo, oltre a partecipare alla manifestazione romana contro tutte le mafie organizzata da Libera, saremo a Didacta per dare nuovo impulso all’educazione alla pace nelle scuole di ogni ordine e grado. E poi realizzeremo una grande mobilitazione dal basso in vista del “Summit del futuro” dell’Onu.
Da Gaza all’Ucraina, altro fronte di guerra su cui il movimento per la pace ha agito con una visione che è stata tacciata di fare il gioco della Russia di Putin.
Il gioco di Putin è la guerra. Quelli che fanno il gioco di Putin fanno la guerra. È tutto molto chiaro. Ma poi c’è la propaganda di guerra che, pur essendo vietata dall’art. 20 del Patto Internazionale sui diritti civili e politici del 1966, continua a manipolare le menti facendo stragi di verità. I signori della guerra non amano i costruttori di pace, lo sappiamo. Per questo li accusano di complicità con il nemico, li deridono, li denigrano, li silenziano e, se serve, li perseguitano. Succede, in forme diverse, in Russia come in Ucraina, in occidente, in Israele come in tutti i regimi autoritari.
A Pisa gli studenti che chiedevano pace per il popolo palestinese sono stati manganellati… ma speriamo che dopo l’intervento del Presidente Mattarella non succeda mai più. Il vero problema, per noi cittadini europei, resta la fine della pace e il ritorno della guerra nella nostra casa comune. Sono molto preoccupato per quello che ci sta succedendo, per la folle rinuncia ad usare gli strumenti del diritto e della pace, per l’escalation dello scontro con la Russia, per la nuova corsa al riarmo, per l’intervento militare nel Mar Rosso… Cos’altro deve succedere prima che la politica ricominci il difficile ma necessario lavoro di ricostruzione della pace?
Può esistere una “guerra giusta”?
No, l’unica cosa giusta è la pace. Giusto è difendere la dignità e i diritti di ogni persona e di ogni popolo. Giusto è contrastare le disuguaglianze Giusto è salvare le vite umane. Giusto è fermare la mano dei violenti. L’antica questione della guerra giusta è ormai diventata un “monstrum” giuridico-etico e politico perché le guerre non sono più quelle del passato, perché non conoscono più né regole né limiti, perché non risolvono i problemi ma li aggravano e li moltiplicano, perché non finiscono mai… Tutti quelli che fanno la guerra dicono che la loro è una guerra giusta, necessaria e inevitabile. Strano no? Le guerre sono sempre giuste per chi le fa. Non per chi le subisce. E io sto sempre dalla parte delle vittime.
Intervista di Umberto De Giovannangeli