PRATICA DELLA MEDITAZIONE, LA MINDFULNESS OGGI: quale presente e quale futuro

MindfulnessLa consapevolezza è l’infallibile chiave universale, il passepartout per conoscere la mente, ed è quindi il punto di partenza. È lo strumento perfetto per plasmare la mente, ed è quindi il punto focale. È l’espressione elevata della raggiunta libertà della mente.
Nyanaponika Thera (1962)

Dalla prima comparsa nel mondo secolare sotto forma di protocolli introduttivi alla pratica della meditazione a oggi, la cosiddetta “mindfulness” ha raggiunto un’espansione notevole.

Infatti, se si fa una ricerca su Google della parola mindfulness, negli 0,30 secondi previsti dall’algoritmo compaiono 404 milioni di voci, anche se non sappiamo a cosa tutte queste voci si riferiscano. Se si cerca invece su PubMed, il più autorevole motore di ricerca di articoli scientifici in medicina, si scopre che se nel 1979 veniva pubblicato un unico studio scientifico controllato, nel 2023 comparivano 305 studi controllati, e 11 solo nei primi 11 giorni del 2024.

Ciò, chiaramente, indica una ulteriore grande diffusione della cosiddetta mindfulness oltre la “mindful revolution”, così denominata dalla rivista Time ormai 10 anni fa, nel 2014.

Questa ulteriore diffusione richiede riflessioni aggiuntive sullo stato delle applicazioni concrete dei vari programmi basati sulla mindfulness che sono andati via via creandosi ed espandendosi (MBIs, Mindfulness Based Interventions). Tuttavia, è utile ripartire dalla definizione di mindfulness, almeno nella formulazione storica di Jon Kabat Zinn, ideatore del primo programma mindfulness-based:

“Mindfulness è la consapevolezza che emerge portando attenzione al momento presente, con intenzione, in modo non giudicante”.

Si userà di seguito la parola mindfulness con l’articolo (quindi “la mindfulness”) solo per riferirsi ai modi con i quali questo termine viene utilizzato comunemente; infatti, dal significato proprio che si vedrà in seguito, si è passati a chiamare mindfulness tutto ciò che ha a che fare con i programmi che su di essa si fondano, finendo così per considerarla quasi come un vero e proprio oggetto esistente e coincidente con dei protocolli, e non tanto come qualcosa che si pratica e si approfondisce a partire dall’esperienza personale.

Cosa non è la mindfulness

Nei media oggi prevale il riferirsi alla mindfulness come una tecnica per stare meglio, vivere meglio, migliorare il benessere. È così? va chiarito anzitutto cosa non è “la mindfulness”.
La mindfulness-consapevolezza non è rilassamento, né un metodo per rilassarsi. Il rilassamento può essere un effetto benefico di alcune pratiche di consapevolezza, ma la mindfulness ha a che fare con il prestare attenzione ed essere consapevoli delle proprie esperienze, positive, negative o neutre che siano. Non serve a distaccarsi e anzi viene connotata come un risvegliarsi e farsi più vicini rispetto alle proprie esperienze e alla propria vita.

La mindfulness non è né una soluzione rapida né qualcosa di semplice: chiunque pratichi se ne rende conto molto presto e, quando ci fermiamo e la esploriamo, la mente ci presenta tutta la ricchezza, la profondità, la tessitura della nostra esperienza sia piacevole sia spiacevole. La mindfulness non ha a che fare con lo svuotare la mente, con il non pensare o con il voltare le spalle all’esperienza. È invece un volgersi verso l’esperienza, un essere accanto e con qualsiasi cosa accada.
La mindfulness non è un modo per smantellare l’io, al contrario mira a creare condizioni grazie alla quali possiamo comprendere qualcosa sulla nostra mente in modo vivo e direttamente dall’esperienza.
Infine, la mindfulness non è un addestramento dell’attenzione che possa essere usato per pratiche discutibili sul piano etico. Infatti, se un cecchino affina la sua capacità di attenzione per poter sparare meglio, questo è training attenzionale, non pratica di consapevolezza. L’autentica pratica della consapevolezza è intrinsecamente etica. Nei corsi di mindfulness, per esempio, questo si traduce in un’intenzione di sostenere le persone perché soffrano meno e possano trovare risorse e possibilità per condurre una vita più dotata di significato per sé e per gli altri.

Cos’è la mindfulness

Mindfulness quindi, che traduciamo con consapevolezza o piena presenza mentale, è una qualità della mente, quella che gli antichi testi buddisti chiamano Sati in lingua pali.

I programmi basati su questo modo di stare nella realtà hanno lo scopo generale di renderci più consapevoli, di andare oltre il “pilota automatico” che tante volte ci guida nella vita quotidiana, ossia quelle abitudini più o meno salutari che continuamente mettiamo in atto, spesso anche a prescindere o in contraddizione con le nostre stesse intenzioni. La mindfulness-consapevolezza è una capacità umana addestrabile, coltivabile, aiuta a portare attenzione a tutte le esperienze, è aperta a tutto ciò che accade in un certo momento, veicola curiosità, amichevolezza e compassione, è discernimento, è al servizio del soffrire meno per una vita con maggiore significato e ben-essere. Scrive DJ Siegel nel 2009:

La consapevolezza dell’esperienza che facciamo momento per momento ci dà la possibilità di sentire e accettare direttamente la nostra esperienza mentale. Questo stato di consapevolezza può coinvolgere in uno stato integrato varie regioni del cervello, incluse aree importanti della corteccia e le aree subcorticali del sistema limbico e del tronco encefalico. L’integrazione neurale, in parte condotta da queste regioni frontali, può essere essenziale per creare un equilibrio basato sull’autoregolazione. […] Questi percorsi di integrazione possono giocare un ruolo cruciale per il benessere.

Di fatto, i programmi basati sulla mindfulness sono un’introduzione alle pratiche meditative, antiche di oltre 2000 anni, nella tradizione del buddismo Theravada. Nonostante Kabat-Zinn avesse grande esperienza personale di pratica meditativa, la volontà di introdurre la meditazione di consapevolezza in contesti come gli ospedali, le cliniche e i centri sanitari imponeva un’operazione di adattamento delle pratiche tradizionali. Innanzitutto, occorreva che la pratica fosse accessibile alle possibilità psicologiche e fisiche dei pazienti, o comunque facilmente adattabile a condizioni mediche particolari. Questo significava, per esempio, proporre tempi, concentrazione e movimenti compatibili con condizioni di sofferenza di varia natura dei partecipanti. Si è inoltre ritenuto importante evitare pratiche dissonanti rispetto alla cultura e allo stile di vita occidentale, poiché questo avrebbe probabilmente ridotto la volontà di partecipare agli incontri e soprattutto di praticare individualmente tra un incontro e l’altro. Infine, poiché il protocollo, in questa prima fase, riguardava la realtà ospedaliera, era indispensabile che seguisse degli standard condivisi dalla medicina occidentale e ne rispettasse alcuni principi fondamentali (Giommi, 2014). Proprio gli standard seguiti nel primo protocollo hanno portato ai possibili numerosi studi scientifici citati sopra, tanto che molteplici ricerche ormai dimostrano le potenzialità benefiche della meditazione, non solo secondo questa tradizione, ma anche secondo altre, come quella yoga o zen o ancora della meditazione cristiana. (Bormolini 2022). La dimostrazione dei benefici dal punto di vista scientifico e l’approccio laico hanno fatto sì che questo metodo di sviluppo della consapevolezza si diffondesse in tutto il mondo e in innumerevoli contesti.

Se la si considera in generale, indipendentemente dal tipo di protocollo e dal contesto di applicazione, la pratica meditativa permette di sviluppare una consapevolezza piena (Sati-mindfulness) e ha quattro fondamenti:

  1. consapevolezza del corpo: buona parte dell’apprendimento esperienziale della mindfulness ha la base nella consapevolezza del corpo. Siamo incoraggiati a conoscere il corpo dove tutto accade, e accade nel momento presente, poiché il corpo non ha la possibilità di “viaggiare nel tempo” come la mente e, anche se porta in sé segni e ricordi di ciò che è passato, vive solo nell’adesso. Si tratta di riuscire a conoscere il corpo com’è, al di là dal desiderio che sia diverso o siano diverse le sensazioni che lo popolano, anche nel suo divenire. Portando questo tipo di attenzione al corpo, è possibile anche scoprire cosa si è fermato nella memoria fisica, come malattie o traumi pregressi e, a volte, grazie alla prospettiva gentile della pratica, poter sviluppare una relazione diversa con questi aspetti.
  2. consapevolezza delle tonalità edoniche, cioè la qualità delle sensazioni, piacevoli, spiacevoli o neutre. Questo è il modo abituale con il quale classifichiamo istintivamente le nostre esperienze sensoriali. Cerchiamo di allontanare lo spiacevole e siamo attratti dal piacevole. Esserne consapevoli ci può aiutare a non essere semplicemente reattivi di fronte a quanto ci accade.
  3. consapevolezza degli stati mentali (cognitivi e affettivi). Si tratta di imparare a riconoscere le emozioni fondamentali come tristezza, rabbia, felicità, disgusto, rabbia, vergogna. Ma anche senso di colpa o invidia o soddisfazione. Possiamo vedere come la mente sia attiva o distratta o confusa o lucida. Possiamo notare come lo stato della mente cambi continuamente anche in una sola giornata: attraverso una qualità della mente possiamo conoscere come funziona la mente stessa e dunque essere più liberi di scegliere.
  4. consapevolezza di come facciamo esperienza del mondo. Vorremmo la pace e la felicità, ma ci sfuggono costantemente. Questo accade attraverso meccanismi che iniziamo a riconoscere: cerchiamo sempre di sostituire lo spiacevole con il piacevole (ma non sempre è possibile e soffriamo), cerchiamo di sopprimere o combattere le esperienze negative o dissociarci da esse, se non possiamo risolvere le difficoltà ci allontaniamo e fuggiamo, dubitiamo delle nostre possibilità di cambiamento per vivere la vita che come vorremmo, e così via. La pratica ci porta a rivolgerci verso ciò che è difficile e ottenere più resilienza senza essere oppressi.

Tutto questo costituisce quello che chiamiamo mindfulness.

Alcune domande…

Sorgono tuttavia alcune domande alla luce degli oltre 40 anni di diffusione dei programmi mindfulness-based e della situazione generale nella quale viviamo: è davvero possibile separare “la mindfulness” dal Dharma, cioè l’insieme degli insegnamenti del Buddha? La consapevolezza (mindfulness) da sola conduce a una vita migliore e più libera? E la motivazione per iniziare a meditare può essere solo il benessere psicofisico personale? Infine, sviluppare un benessere personale è sufficiente per affrontare le sfide di oggi quali le diseguaglianze, il cambiamento climatico, il moltiplicarsi delle guerre?

Le risposte a queste domande sono intercorrelate.

La prima viene dallo stesso Kabat Zinn (2011): “l’intenzione e la prospettiva dietro l’MBSR (Mindfulness Based Stress Reduction) non hanno mai inteso sfruttare, frammentare o decontestualizzare il Dharma, ma al contrario ri-contestualizzarlo all’interno delle cornici della scienza, della medicina (incluse psichiatria e psicologia) e della sanità, affinché ciò potesse risultare di massima utilità per coloro che non avrebbero mai potuto entrarvi in contatto attraverso le tradizionali porte di accesso del Dharma.”

Ma nel Dharma la consapevolezza non è separata dall’etica, descritta come “retto pensiero, retta parola, retta intenzione”. Per esemplificare: se un ladro entra in casa vostra, sarà del tutto attento, concentrato e consapevole dei suoi passi, ma quello che fa sarà di beneficio alla sua vita o alla vostra? Senza etica, senza la consapevolezza delle conseguenze delle proprie azioni, non si può vivere una vita migliore e più libera. Quindi dedicarsi al cammino della consapevolezza (mindfulness) è solo il primo passo, rispondendo anche alla seconda domanda sopracitata a proposito della libertà.

Il terzo aspetto: di fatto gli interventi MBIs si sono sviluppati nel contesto occidentale, dove la tendenza individualistica nell’organizzazione della società ne ha in qualche modo permeato il senso. Insegnanti e ricercatori hanno promosso i programmi puntando al benessere individuale come modo per affrontare lo stress e le sofferenze nella vita, trascurando le cause sociali, intergenerazionali, politiche e sistemiche della sofferenza. Se ci troviamo in una condizione lavorativa carica di ingiustizia, sottopagati, in condizioni di rischio, abbiamo la necessità di cambiare le condizioni esterne e non solo il nostro modo di relazionarci alla situazione personale di stress per renderla sopportabile.

In altri termini esiste una responsabilità sociale nell’essere consapevoli. Certamente la pratica di mindfulness ci potrà sostenere in questo per trovare modi più efficaci, saggi e consapevoli per rispondere alle situazioni, riconoscendo la interrelazione tra noi, gli altri, la società in cui viviamo, la natura e il mondo.

Molte persone si avvicinano ai programmi di mindfulness spinti da qualche disagio o sofferenza, sia fisica sia psichica. Questo è normale, giusto e anche saggio. Se è possibile, è bene prendersi cura di sé, anche il miglioramento del nostro benessere sarà di beneficio a chi ci sta vicino. Ma si aprirà forse uno scenario più ampio: se guardiamo al funzionamento della nostra mente, se diventiamo più consapevoli dei pensieri, delle sensazioni, degli stati emotivi forse sorgeranno delle nuove domande, a volte scomode per le risposte che ne potrebbero derivare. Potremmo, per esempio, finire col chiederci cosa è davvero importante per noi, quali siano le intenzioni che stanno orientando la nostra vita, come stiamo e ci comportiamo nelle nostre relazioni più importanti…

In altri termini la pratica di consapevolezza può aprire una porta sulla nostra interiorità. Ma se è così, allora, la domanda fondamentale diventa perché iniziare un cammino interiore?

Senza la pretesa di rispondere in poche righe a una domanda che richiederebbe invece una trattazione approfondita e articolata, possiamo almeno ricordare che non siamo solo soma (corpo), non siamo solo bios, non seguiamo solo la spinta biologica della vita a nutrirsi e riprodursi, siamo anche psichenous (intelletto) e pneuma (spirito). Per vivere pienamente abbiamo bisogno non solo di nutrire il corpo, ma di nutrire anche tutte le altre dimensioni dell’essere. In questo senso, essere più consapevoli è uno degli aspetti fondamentali per vivere una vita piena, nella presenza a noi stessi, agli altri, al mondo.

Citando il Sommo Poeta “fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza” (Divina Commedia, Inferno, 119, XXVI).

DORS: Ringraziamo il dr. Claudio Ritossa per aver accolto l’invito ad aggiornare l’articolo sulla mindfulness scritto nel 2016, che in questi anni è stato molto apprezzato dai lettori del nostro sito.

fonte: https://www.dors.it/2024/02/mindfulness-oggi-quale-presente-e-quale-futuro/

 

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