Uno dei problemi più seri ed insopportabili dell’attuale servizio sanitario è costituito dalle lunghe e spesso inaccettabili liste di attesa per ottenere una prestazione. Sono state fatti vari tentativi per cercarne una soluzione ma il problema perdura e forse si sta aggravando. È utile forse anche ragionare il perché si creano liste d’attesa. Le ragioni sono molteplici e val la pena esaminarle.
Ci sono ragioni di crescita della domanda dovuta sia all’invecchiamento della popolazione che alle cresciute capacità diagnostiche e terapeutiche, ed anche alla diminuzione dell’assistenza ospedaliera e l’aumento di quella ambulatoriale e domiciliare. Ma ci sono anche ragioni legate all’appropriatezza delle prescrizioni ed alla produttività dei servizi. Il tutto condizionato dalla carenza di personale, dall’aumento dei costi e dalla scarsità delle disponibilità economiche.
Banalmente la ragione è la differenza tra domanda espressa e domanda soddisfatta: se sono di più gli utenti che chiedono rispetto a quelli che i servizi riescono a soddisfare è evidente che i rimanenti rimangono in attesa.
Però se fosse solo così la crescita delle liste di attesa dovrebbe crescere di volume sempre di più in quanto ovviamente gli insoddisfatti dovrebbero sempre più accumularsi, ma questo non avviene e raggiunto un tempo elevato delle attese questo rimane pressoché costante.
La ragione della non crescita esponenziale della durata delle attese è perché parte della domanda rinuncia o trova altre alternative e così la durata dell’attesa trova un equilibrio, seppur su valori che risultano spesso esagerati.
La soluzione che solitamente si pensa possa risolvere il problema, ed una norma lo indica, è quella di dare dei livelli di priorità alle domande di prestazioni, e precisamente:
U = urgente – da erogare entro 72 ore;
B = breve – da erogare entro 10 gg;
D = differibile – da erogare entro 30 gg per le visite ed entro 60 gg per le prestazioni strumentali;
P = programmabile – da erogare entro 120 giorni.
Ma questo sistema, a regime, quando applicato sembra non del tutto funzionare perché il volume globale delle prestazioni comunque rimane costante e le prestazioni dilazionate continuano ad accumularsi e incominciano a soffrine prima le programmabili, poi le differibili e magari anche le brevi.
Allora la soluzione “radicale” potrebbe essere quella di aumentare la capacità di soddisfare la domanda aumentando i volumi dell’offerta. Ma questa soluzione, in parte certamente auspicabile, comporta un aumento di risorse, di strutture, di personale, provvedimenti non sempre attualmente attuabili: mancano operatori da assumere, mancano risorse da destinare.
Sarebbe forse però possibile cercare di lavorare sull’efficienza dei servizi agendo sulla migliore organizzazione e programmazione ma ancor più sulla motivazione degli operatori.
In effetti se molte delle domande che non vengono soddisfatte lo sono in regime di intramoenia all’interno delle strutture pubbliche, significa allora che la capacità di ampliare i volumi dell’offerta ci sono già e gli unici problemi sono di carattere economico: per aumentare l’efficienza si richiedono risorse e gli operatori vogliono incentivi.
Quindi, il sistema trova un equilibrio precario tra rinuncia alle cure e ricorso alla sanità privata.
Ci si dovrebbe chiedere se invece che far pagare ai malati che possono permetterselo, non sarebbe meglio prevedere, oltre all’attuale tassazione generale, un versamento di un contributo sanitario proporzionale al reddito da parte di tutti, cioè una sorta di polizza assicurativa pubblica obbligatoria, magari da chiedere solo ai sani benestanti! Si raccontava di un paese dove il medico passava di casa in casa e se trovava nell’apposita cassetta una moneta significava che quel giorno tutti in famiglia stavano bene e incassava, altrimenti entrava per vedere che doveva fare per curare. A parte questa leggenda, però il problema è se si vuole far pagare di più ai malati o ai sani! L’intramoenia e le prestazioni out of pocket sono in fin dei conti delle tasse per i soli malati. Se tutti gli utenti, in quote proporzionali alle capacità economiche, versassero un contributo annuo di iscrizione dim cento €uro, ci sarebbero sei miliardi di €uro in più per la sanità.
Ci si deve però anche chiedere se la domanda espressa sia sempre una domanda appropriata.
E le ragioni della inappropriatezza sono molteplici: insistenze dei pazienti, medicina difensiva, incapacità diagnostiche, duplicazione di prescrizioni, ecc. È probabile che una quota delle rinunce alle prestazioni sia anche dovuta alla consapevolezza dell’inappropriatezza e quindi che il sistema utilizzi, maldestramente, le lunghe liste d’attesa come strumento per scremare l’inappropriatezza. Il controllo dell’attività prescrittiva dei singoli medici di base, attuata in modo corretto e rispettoso dell’autonomia professionale, potrebbe aiutare a ridurre l’inappropriatezza così come la miglior organizzazione dei percorsi diagnostici.
Ridurre le liste di attesa, insomma, non è così semplice e non ci si deve illudere che basti aumentare il budget della sanità per risolvere il problema. Ci si renda conto anche che la domanda di prestazioni sembra sia potenzialmente senza limiti e quindi un aumento di offerta potrebbe paradossalmente innescare un aumento della domanda e addirittura un aumento della durata delle liste di attesa. Bisogna quindi impegnarsi innanzituttro sui livelli di efficienza e di produttività dell’offerta e di appropriatezza della domanda e forse sarebbe più conveniente non utilizzare il freno dei costi sui malati, come le tariffe dell’intramoenia o i ticket, ma prevedere un contributo su chi sta in salute. L’elemento condivisibile della logica assicurativa è che sia meglio pagare tutti poco da sani, che pagare molto quando quando invece ci si ammala. Forse questa logica potrebbe trovare qualche nuova forma di applicazione anche nel Servizio Sanitario Nazionale. E probabilmente la “non totale gratuità” del servizio, pur nella compatibilità del suo costo, porterebbe l’utenza ad esigere maggiore correttezza da parte degli erogatori.
Insomma, se rischiamo in prospettiva di dover necessariamente pagare una assicurazione privata, globale o integrativa, meglio sarebbe che questa fosse una assicurazione pubblica con un premio proporzionale alle capacità contributiva delle famiglie; cioè in realtà una tassa con il nome di premio assicurativo. Ma questa sempre meglio sarebbe di una “finta flat tax sanitaria” pagata a un assicuratore privato e uguale dfi importo per tutti, poveri e ricchi, e che risulterebbe non gravosa per i ricchi ma insostenibile per i poveri.
Ma l’elemento comunque più importante è sicuramente quello motivazionale da parte di tutti gli operatori che però deve trovare anche maggiore rispetto e considerazione da parte degli utenti che invece oggi trattano il personale sanitario con arroganza quasi fosse il colpevole dei loro mali. Insomma, forse non è tutto solo questione di soldi! Una riflessione finale è quella di valutare l’opportunità di introdurre anche nel nostro SSN una Care Quality Commission come quella inglese che possa valutare i servizi non tanto a livello centrale tramite indicatori ma valutandone l’attività direttamente sul campo.
Appendice
Di seguito, solo a titolo di spunto, alcuni esempi di analisi che avevo fatto quando dirigevo l’Osservatorio di Economia Sanitaria dell’Agenzia Regionale Toscana.
Appropriatezza – La variabilità delle prescrizioni dei MMG
La spesa pro capite indotta dai MMG, corretta per età e genere dei propri assistiti, risultava molto variabile lasciando sospettare problemi di appropriatezza. Certamente sui valori incideva la casistica delle patologie ma analizzando i percentili delle distribuzioni ordinate per valore di spesa si evidenziavano MMG con forte variabilità tra i pazienti con molte prescrizioni, probabilmente con patologie più complesse, e medici invece con variabilità elevata proprio tra i pazienti con meno prestazioni.
Analizzando il livello medio della spesa pro assistito e la loro concentrazione è possibile costruire un nomogramma in cui evidenziare i medici con probabile eccesso prescrittivo ed i medici con probabile difetto.
Questo tipo di analisi non deve assolutamente avere uno scopo “punitivo”, ma esclusivamente conoscitivo e riservato agli stessi MMG che così possono riconoscersi nei loro comportamenti prescrittivi e valutandone la correttezza. Lo stesso approccio può essere usato anche per settori particolari, come ad esempio per la sola diagnostica per immagine, e analizzato anche in funzione dei tempi intercorsi tra data di prescrizione e data di erogazione.
Efficienza e produttività – possibili incentivi.
L’analisi dei risultati, in termini di produzione, può essere analizzata in funzione dei costi. Ogni unità produttiva non dovrebbe avere un’efficacia inferiore ad un determinata soglia e l’efficienza dimostrata potrebbe essere premiata da incentivi, possibilmente non solo monetari.
In ogni unità erogativa deve essere analizzato il volume della produzione, separando possibilmente le prestazioni in intramoenia, e associandole ai tempi delle liste di attesa. La produttività, per essere accettabile deve anche superare la percentuale di prestazioni erogate rispetto a quelle tecnicamente erogabili in funzione della durata delle le liste d’attesa.
Questi sono solo spunti per indicare delle possibilità di analisi dell’appropriatezza e della produttività. Analisi che devono essere svolte dagli stessi erogatori a scopo di auto valutazione e miglioramento.
Dati del portale statistico Agenas
I dati delle prestazioni erogate dal 2019 al primo semestre 2023 si possono trovare sul portale statistico Agenas. Qui riportiamo solo alcuni dati sintetici. Per il 2023 si hanno solo i dati del primo semestre e qui grossolanamente si sono raddoppiati come stima della spesa dell’intero anno.
Come si vede c’è stata una forte diminuzione nel 2020 dovuta ai problemi di accesso ai servizi causati dalla pandemia Covid. Poi ogni anno le prestazioni sono aumentate ma se confrontate con il 2019 si vede un vero aumento solo per le prestazioni di laboratorio.
Indagine Istat 2021 sui consumi delle famiglie
L’indagine Istat 2021 sui consumi delle famiglie, eseguita sun un campione di 45.597 soggetti, contiene informazioni sul ricorso alle visite specialistiche e agli accertamenti diagnostici.
Entrambie le prestazioni sono utilizzate in funzione dell’età e da meno della metà della popolazione.
Dai dati dell’indagine risulterebbe che quasi la meta dei rispondenti dei più giovani dice di aver pagato il prezzo intero della visita, mantre i più anziani dicono di non aver pagato nulla.
Ci sono però un certo numero di rispondenti che lamentano di aver dovuto rinunciare ad una visita o ad un accertamento e le rinunce sono maggiori tra gli anziani.
Le ragioni delle rinunce sono innanzitutto le lunghe liste di attesa e i costi da sostenere.
fonte: https://epiprev.it/blog/come-sta-la-sanita/perche-le-infinite-liste-d-attesa