Il 9 gennaio il mondo è stato raggiunto dalla notizia che una banda armata aveva preso d’assalto una TV dell’Ecuador. Dopo l’intervento di una squadra speciale, il presidente Daniel Noboa ha dichiarato lo stato di “conflitto armato interno” affidando all’esercito i compiti della polizia. Nel giro di poche ore centinaia di persone sono state arrestate e una decina uccise a sangue freddo.
L’attacco dell’inizio dell’anno rappresenta il punto di massima sfida al neopresidente che a seguito dell’evasione di due boss del narcotraffico aveva aumentato le misure di sicurezza in tutto il paese. Dall’inizio dell’anno ci sono state esplosioni, saccheggi, spari e veicoli in fiamme oltre che rivolte in molte carceri. Lo stato di emergenza prevede coprifuoco a livello nazionale, pattuglie militari specie nelle zone costiere con migliaia di agenti di polizia e personale militare per cercare il leader evaso Adolfo Macías. Dovrebbe finire agli inizi di marzo.
Fino a qualche anno fa l’Ecuador era rimasto fuori dall’enorme traffico di cocaina che dalla Colombia, e in quantità minori da Perù e Bolivia, partiva per gli USA e l’Europa. La devastante guerra alla droga del Plan Colombia, costata ai contribuenti USA oltre 10 miliardi di dollari in aiuti militari tra il 2001 e il 2016 ha individuato nuove vie di uscita della polvere bianca.
L’Ecuador è incastrato tra Colombia e Perù ed è il più grande esportatore mondiale di banane, oltre 7,2 tonnellate all’anno (il 30% della produzione mondiale), un primato logistico ottimale per esportazioni illecite. L’infiltrazione dei trafficanti in Ecuador ha contribuito a una violenza senza precedenti in un paese una volta pacifico. Sparatorie, omicidi, rapimenti ed estorsioni, in particolare nella città portuale del Pacifico e hub delle spedizioni delle banane di Guayaquil, avvengono quotidianamente.
I gruppi di narcotrafficanti sono una trentina ma nessuno è potente come los Choneros, un cartello che è anche un’organizzazione terroristica originario di Chone nella provincia costiera di Manabí. Composto dall’alleanza di due bande criminali i Fatales (guidate da Adolfo Macias alias “Fito”) e gli Águilas (guidate da Junior Roldán assassinato in Colombia a maggio 2023) ha come core business estorsioni, omicidi oltre al traffico di droga. I due gruppi sono presenti in buona parte del paese e per la polizia sono complici nel traffico di cocaina in combutta coi cartelli messicani, in particolare quello di Sinaloa, e in alleanza con la mafia albanese, la ‘Ndrangheta italiana e Cosa nostra. La diaspora ecuadoriana è principalmente presente in Spagna e in Italia del nord. Secondo chi li studia da tempo, los Choneros sono in grado di infiltrarsi negli ambienti della politica, decidere chi eleggere, comprare voti, corrompere polizia e magistratura e ammazzare senza pietà quei politici che gli si frappongono, come accaduto alla vigilia delle elezioni presidenziali a Fernando Villavicencio e Pedro Briones. Due attentati che confermano le capacità di destabilizzare lo Stato.
L’Ecuador di oggi è purtroppo il sottoprodotto del Plan Colombia di ieri, un accordo bilaterale raggiunto nel 1999 tra i presidenti Andrés Pastrana Arango e Bill Clinton per “generare rivitalizzazione sociale ed economica, porre fine al conflitto armato interno in Colombia e creare una strategia antidroga”. Oltre ad aver fallito nell’evitare che la Colombia restasse la principale produttrice di cocaina del mondo, ha fatto diventare l’Ecuador un luogo di trasformazione della pianta in prodotto finito e della sua distribuzione mondiale. Una lezione da tenere ben presente mentre si organizza la risposta alle violenze di questi giorni con parole d’ordine, e alleanze, da anni Novanta.
Marco Perduca scrive sulla situazione in Ecuador per la rubrica di Fuoriluogo su il manifesto del 14 febbraio 2024.