Non credo che esageri chi ha definito come “storica” o “rivoluzionaria” la sentenza con cui, pochi giorni fa, la Consulta ha dichiarato incostituzionali i controlli visivi durante i colloqui in carcere, senza concrete ragioni di sicurezza che li giustifichino. La pronuncia 10/2024 lo è davvero.
I motivi sono tanti. Proviamo a riassumerli. Il primo. La Corte ha finalmente allineato il nostro paese alla stragrande maggioranza degli ordinamenti europei, dove il diritto alle visite intime è garantito da anni. Il secondo. I giudici costituzionali hanno “bollato” come irragionevole e lesiva della dignità della persona, ogni restrizione di un diritto o di una libertà senza un limite o una giustificazione. La libertà non può essere annullata da una prescrizione generale ed astratta; serve un “limite concreto”. Come a dire che, una volta varcata la soglia del carcere, non si è privati di tutti i propri diritti per essere sottoposti ad un “generale assoggettamento all’organizzazione penitenziaria” dello Stato. Occorre una ragione per la loro limitazione. La Corte ha così applicato quel principio fondamentale della storica sentenza n.26 del 1999, secondo la quale “i diritti inviolabili dell’uomo…trovano …nella restrizione della libertà personale i limiti a essa inerenti.. ma non sono affatto annullati da tale condizione”. Il terzo. La pena, con questa sentenza, riacquista il suo “volto costituzionale”: la sofferenza è legittima solo se inflitta “nella misura minima necessaria”.
Il diritto all’intimità, prima ancora che alla sessualità, da “esigenza reale e fortemente avvertita” diventa un diritto esigibile; da “problema che merita ogni attenzione” si tramuta in libertà.
Finalmente, dopo anni di latitanza legislativa, di riforme frustrate, di progetti pilota rimasti tali le persone ristrette, anche nel nostro Paese, potranno riappropriarsi di quello che, sempre la Corte, aveva definito come uno “degli essenziali modi di espressione della persona umana”. Tutto questo è stato possibile anche grazie ad un’ordinanza di remissione, quella del Magistrato di Sorveglianza di Spoleto, inattaccabile.
Oltre ad essere “storica”, la pronuncia 10/2024 è coraggiosa. Anziché utilizzare un meccanismo di rinvio, per consentire al legislatore di adeguarsi, con una sentenza additiva di principio, dichiara l’art. 18, nella parte sanzionata, come norma irragionevole e lesiva della dignità delle persone e, pertanto, illegittima. Senza ulteriori dilazioni. Ai giudici non sfugge, di certo, l’ “impatto che l’odierna sentenza è destinata a produrre sulla gestione degli istituti penitenziari” e dello “sforzo organizzativo che sarà necessario”; ma tant’è. Troppo è stato il tempo trascorso dal monito del 2012 a cercare un punto di equilibrio tra sicurezza e diritti. E proprio per questo la Consulta richiama, ora come allora, il legislatore alle sue responsabilità. Occorre normare i tempi, gli spazi, le modalità. I giudici costituzionali indicano i principi ai quali il legislatore dovrà ispirarsi.
La Società della Ragione, festeggia quella che è una grande vittoria, dopo anni di ricerche e proposte di legge E con noi si rallegreranno gli oltre 200 giuristi e personalità che si sono spesi a fianco del prof. Andrea Pugiotto, estensore e primo firmatario dell’appello Il corpo recluso e il diritto all’intimità.
Alla Magistratura di sorveglianza e all’amministrazione penitenziaria non resta che adeguarsi; perché, anche grazie al sapiente lavoro di avvocati tenaci, le istanze di “visite intime” arriveranno. E tante. Dopo anni di “castrazione generalizzata”, di sguardi continui, di controllo incessante, dove anche solo un gesto di affetto poteva essere sanzionato, saranno tante/i le detenute/i che reclameranno il loro diritto a rapporti familiari “normali”, come raccomandato dalle Regole penitenziarie europee.
Sarah Grieco commenta la decisione della Corte costituzionale sull’affettività in carcere per la rubrica di Fuoriluogo su il manifesto del 31 gennaio 2024.