L’impatto delle riforme liberiste in tre differenti contesti regionali europei basati sul modello Beveridge: macroregione scandinava, macroregione mediterranea e macroregione britannica. Contesti diversi e conseguenze molto diverse. Con un finale a sorpresa che riguarda la sanità inglese. Il libro di Guido Giarelli e Mike Saks.
L’anno 1978 rappresenta uno spartiacque della storia nel campo della sanità, con un «prima» e un «dopo» che investirà altri settori della società. Il «prima» è il periodo politico a cavallo tra la fine della Seconda guerra mondiale e gli anni ’70 appunto, in cui si registra l’espansione del welfare universalistico, noto anche “modello Beveridge” dal nome dell’economista inglese che progettò l’istituzione del National Health Service. Un modello basato sul principio che alcuni servizi fondamentali come sanità e istruzione dovessero essere sottratti ai meccanismi di mercato e quindi essere garantiti dallo Stato, attraverso adeguati finanziamenti pubblici.
Il «dopo» prende le mosse tra la fine degli anni ‘70 e inizi degli anni ’80, con l’elezione di leader neo-liberisti come Margaret Thatcher in Gran Bretagna (1979) e Ronald Reagan negli Stati Uniti (1980), protagonisti di una “rivoluzione conservatrice”, la cui essenza consiste nell’applicazione integrale delle regole del mercato, anche nel campo dell’istruzione e della salute, e nel progressivo svuotamento della funzione pubblica e del ruolo dello Stato (riduzione delle tasse dei più abbienti, attacco al welfare state e ai servizi pubblici, forte spinta verso le privatizzazioni, finanziarizzazione dell’economia) (1).
Dagli anni ‘80 in poi la “rivoluzione conservatrice” si mette rapidamente in moto anche nel campo della sanità. Rudolf Klein ha paragonato le trasformazioni dei sistemi sanitari avvenute dagli anni ’80 in poi in ogni parte del mondo a una sorta di epidemia planetaria (2).
Come descritto nel bel libro di Guido Giarelli e Mike Saks “National Health Services of Western Europe”, anche i servizi sanitari europei che si sono ispirati al modello Beveridge sono stati in diversa misura influenzati, in certi casi perfino travolti, dalle riforme liberiste innescate dalla “rivoluzione conservatrice”. Un modello che “was radically questioned by the new political rhetoric of deregulation, privatization, the efficiency of the free market and rolling back the frontiers of the state” (“è stato radicalmente messo in discussione dalla nuova retorica politica della deregolamentazione, della privatizzazione, dell’efficienza del libero mercato e della riduzione del ruolo dello stato”). La retorica neo-liberista in sanità – secondo Giarelli e Saks – si può riassumere in quattro parole d’ordine: marketisation, managerialism, empowerment of the consumer and welfare pluralism.
- Al primo posto il Mercato, ovvero spazio al settore privato e alla competizione per imporre nell’organizzazione sanitaria il modello aziendale, e il suo lessico manageriale. Mercato a ogni costo, e se non c’è una vera competizione per l’assenza di un consistente settore privato (come avvenne nella riforma Thatcher del 1991) si crea un “mercato interno” all’interno del sistema pubblico. L’importante è creare una separazione, uno split, tra purchasers (i committenti, chi acquista i servizi) e providers (i produttori dei servizi) e avere a disposizione un sistema contabile delle prestazioni semplificato (i DRGs), che eviti lungaggini burocratiche e contenziosi.
- Il Managerialismo è quindi la diretta conseguenza della Mercatizzazione. Si tratta di instaurare una nuova gerarchia all’interno dell’organizzazione soppiantando i sanitari nel governo e nella direzione con la figura del manager, equivalente all’amministratore delegato delle aziende: la figura adatta a presidiare l’efficienza, piuttosto che l’efficacia. La nuova “bibbia” si chiama New Public Management (NPM): un approccio che si concentra sull’applicazione dei principi e delle pratiche di gestione del settore privato per migliorare l’efficienza e l’efficacia delle organizzazioni del settore pubblico. L’NPM – nato dalla convinzione che le burocrazie governative tradizionali fossero lente, inefficienti e prive di responsabilità – punta a introdurre strategie e metodi di gestione orientati al mercato per rendere i servizi pubblici più reattivi, economicamente vantaggiosi e orientati al cliente.
- Poi c’è l’immancabile enfasi sull’empowerment of the consumer: l’attenzione si focalizza sulle preferenze del cliente (per lo più indotte dal mercato) piuttosto che sui bisogni sanitari e sociali della popolazione.
- Infine il pluralismo del welfare. Nella logica liberista non è ammissibile una situazione di monopolio assicurativo da parte dello Stato, come avviene nel modello Beveridge dove l’universalismo si basa sulla presenza di unico assicuratore pubblico (single payer) alimentato dalla fiscalità generale. L’ “welfare pluralistico” pretende che la competizione debba avvenire non solo tra produttori di servizi ma anche tra gli assicuratori (multiple payers). E dove c’è un assicuratore unico – il marchio di fabbrica dei modelli Beveridge -, questo deve essere indebolito a tal punto (vedi voce “tagli alla spesa pubblica”) da consentire la nascita di altri assicuratori, privati, scelti da una clientela disposta a pagare per ottenere servizi più comodi e tempestivi.
Giarelli e Saks analizzano gli effetti dell’ondata neoliberista sui sistemi sanitari con modello Beveridge – basati cioè su Servizi sanitari nazionali – in tre differenti contesti regionali europei: 1. La macroregione scandinava, 2. La macroregione mediterranea e 3. La macroregione britannica.
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La macroregione scandinava.
Tra i paesi scandinavi la Svezia è stata la prima ad adottare forme di New public management all’interno del sistema sanitario. Alla fine degli anni 80 fu adottato lo split tra purchasers (le regioni) e providers (gli ospedali) e furono introdotti i DRGs. Ma è una stagione che è durata abbastanza poco: agli inizi del 2000 il sistema DRGs fu abbandonato per tornare al tradizionale finanziamento degli ospedali basato sul “budget globale”. La Svezia negli anni è rimasta fedele al suo sistema multilivello: Stato (governo e programmazione centrale del sistema), 21 Regioni (gestione dei servizi sanitari ospedalieri e di cure primarie, incentrate sui Primary Care Centre – PCC, dove lavorano medici di famiglia, infermieri, ostetriche e fisioterapisti) e 290 municipalità (gestione della long-term care e dell’assistenza socio-sanitaria agli anziani). Tuttavia qualche variazione significativa in direzione del settore privato c’è stata soprattutto nell’area di Stoccolma e in particolare nel settore delle cure primarie, dove circa il 40% dei PCC sono in mano a privati, convenzionati con la regione (il 68% a Stoccolma). Nel settore ospedaliero sui 100 ospedali presenti, solo 10 sono privati (concentrati prevalentemente a Stoccolma). C’è stata anche una tendenza all’aumento delle assicurazioni private (per lo più integrative-aziendali) che attualmente interessano il 6,5% della popolazione (ma solo lo 0.5% della spesa sanitaria totale).
Complessivamente i paesi scandinavi sono stati solo sfiorati dall’ondata neoliberista: non solo in Svezia il sistema sanitario è saldamente in mano al potere pubblico e la spesa sanitaria privata è tra le più basse al mondo, tra il 15-16% della spesa sanitaria totale (vedi Tabella 1).
Tabella 1. Spesa sanitaria pubblica e privata (pro-capite, in $PPP) nei paesi delle 3 Macroregioni. Anno 2022.
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La macroregione mediterranea
Italia, Portogallo, Grecia e Spagna hanno adottato il modello Beveridge rispettivamente negli anni 1978, 1979, 1983 e 1986, seguendo però diverse modalità di riforma. In Italia e Spagna la transizione dal precedente modello Bismarck (basato sulle Assicurazioni sociali obbligatorie, Casse mutue basate sull’appartenenza occupazionale) al modello Beveridge è stata completa, mentre ciò non è avvenuto per Grecia e Portogallo dove – pur con l’avvento di un Servizio sanitario nazionale finanziato con la fiscalità generale – continuavano a esistere in forma limitata (Portogallo) o dominante (Grecia) le “vecchie” casse mutue. Tutto ciò avrà degli effetti quando questi quattro paesi di troveranno ad affrontare la crisi del secondo decennio degli anni 2000. Ma gli effetti delle riforme liberiste si era già fatte sentire in precedenza. In Italia, ad esempio, nella legge 502/92 che – col ministro De Lorenzo – introdusse l’aziendalizzazione nel sistema sanitario si trovano ben riconoscibili i quattro sopra-citati attributi della retorica neoliberista in sanità. Non fosse stato per il cambio del governo dovuto anche all’emergere di episodi di corruzione (che coinvolsero lo stesso De Lorenzo) la voce “welfare pluralisme” si sarebbe tradotta in Italia con la ri-nascita delle casse mutue, in via sperimentale alternative al SSN (art. 9 della L. 502). Ci volle il governo Ciampi, ministro della salute Garavaglia, per depennare il contenuto del famigerato articolo 9. Ciò comportò l’approvazione di una nuova legge di Riordino , la 517 del 1993.
Ma l’ondata liberista si abbatté violentemente sui sistemi Beveridge mediterranei con la crisi economica globale del 2008-2009. La recessione mise in ginocchio i quattro paesi già fiaccati dalla sfavorevole competizione globale e anche per questo fortemente indebitati. La ricetta confezionata dalle istituzioni internazionali (Banca centrale europea, Fondo monetario internazionale, Unione Europea) per affrontare la crisi fu molto simile a quella adottata due decenni prima dalla Banca Mondiale nei confronti dei paesi in via di sviluppo: politiche di austerità, riduzione della spesa pubblica, tagli alla sanità e all’istruzione, privatizzazione dei beni pubblici. I costi della ricetta – come prevedibile – sono stati altissimi per la tenuta di sistemi sulla carta universalistici: i blocchi nell’assunzione del personale, la conseguente riduzione dell’offerta sanitaria pubblica e l’aumento dei ticket hanno provocato il crescente ricorso a un sempre più dilagante settore sanitario privato, anche in campo assicurativo (con conseguente crescita della componente privata della spesa sanitaria, Tab. 1).
3. La macroregione britannica.
L’attacco al National Health Service (NHS) – il prototipo di sistema sanitario universalistico, ideato da William Beveridge nel 1942 e introdotto nel Regno Unito nel 1948 – inizia alla fine degli anni ottanta del secolo scorso. Nel 1987 Margaret Thatcher, premier dei conservatori, chiede a un gruppo d’esperti, guidato dal consulente USA Alain Enthoven (teorico della managed care), di confezionare per il Regno Unito un modello di sanità simile a quello americano. Ma la proposta non decolla per l’ostilità dello stesso partito conservatore: un sondaggio tra gli elettori Tory rileva che il 70% non vuole rinunciare al NHS e non accetta lo smantellamento del sistema di welfare che esso garantisce. M. Thatcher non rinuncia tuttavia all’idea di riformare nel sistema sanitario britannico iniettandovi sostanziose dosi di aziendalismo e di mercato. La riforma, del 1991, si scontra con la durissima opposizione di tutto il mondo sanitario e costerà al partito conservatore la perdita delle elezioni nel 1997. Ma le idee della Signora Thatcher troveranno una qualche continuità col governo laburista di Tony Blair e si affermeranno decisamente quando il partito conservatore tornerà al potere nel 2010 ed emanerà nel 2012 una radicale legge di riforma sanitaria (Health and Social Care Act) dove ben poco rimane del modello originario di NHS. La riforma infatti smantella l’intera infrastruttura pubblica del NHS, sia in termini di governo (vengono abolite le strutture equivalenti alle nostre ASL) che di programmazione. Tutto il sistema dell’offerta dei servizi viene privatizzato e regolato dai meccanismi di mercato (leggi qui, qui, qui). Rimane in piedi il finanziamento pubblico del NHS, quindi in linea di principio dovrebbe essere garantita la gratuità dei servizi, ma a causa delle crescenti liste di attesa è sempre più frequente il ricorso al settore privato a pagamento, e anche a forme di assicurazione privata (a cui si affidano oltre 8 milioni di cittadini, il 13% della popolazione) Vedi L’anima smarrita del NHS.
L’introduzione di queste riforme ha avuto effetti distruttivi sull’unitarietà del NHS. Infatti tre delle quattro nazioni del Regno Unito – Scozia, Galles e Irlanda del Nord – in virtù della loro autonomia decisero di non applicarle, rifiutando i radicali meccanismi di mercato che a quel punto valsero solo per l’Inghilterra. La ricetta scozzese è, ad esempio, in piena controtendenza rispetto alla riforma inglese: allo split tra purchasers e providers, alla competizione di tutti contro tutti e all’inevitabile frammentazione del sistema si risponde con sistemi regionali integrati, basati sulla collaborazione tra i vari elementi del sistema. Le parole d’ordine sono: partnership, co-ownership, mutuality, con un occhio di riguardo nei confronti del settore sociale e del volontariato (integration of health and social care).
Ma c’è un finale a sorpresa. Dal Mercato all’Integrazione socio-sanitaria.
La sanità inglese è uscita a pezzi dall’esperienza del COVID 19 non solo a causa della pessima gestione della pandemia, ma anche per la deriva mercantile della sua organizzazione che metteva in secondo piano i bisogni sanitari della popolazione. Così, inaspettatamente, il governo conservatore nel 2022 emana una nuova riforma “Health and Care Act”, che appare chiaramente ispirata da quella scozzese. Infatti il suo obiettivo è “to establish a legislative framework that supports collaboration and partnership-working to integrate services for patients. Among a wide range of other measures, the Act also includes targeted changes to public health, social care and the oversight of quality and safety” (“fornire una cornice che favorisca la collaborazione e il lavoro di partenariato per integrare i servizi per i pazienti. Tra la varia gamma di altre misure, la legge prevede anche modifiche mirate alla sanità pubblica, all’assistenza sociale e al controllo della qualità e della sicurezza”). (leggi KingsFund). La misura più significativa è la ricostituzione dell’infrastruttura pubblica di governo della sanità con l’istituzione di 42 Integrated Care Systems (ICS), partenariati locali che riuniscono le organizzazioni sanitarie e assistenziali per sviluppare piani condivisi e servizi socio-sanitari integrati (Figura 1).
Figura 1. Integrated Care Systems in England. (Fonte NHS England).
fonte: https://www.saluteinternazionale.info/2024/01/londata-liberista-sui-sistemi-beveridge/