Cari politici, chi vive il disturbo mentale non è uno scarto. di Peppe Dell’Acqua

Lettera aperta al ministro della salute, ai presidenti delle regioni, ai direttori generali, ai sindaci.

Da tempo avrei voluto scrivervi. Non certo per parlarvi ancora delle risorse, della fuga e della carenza di personale, della miseria delle politiche regionali, degli ultimi posti che occupa in Europa il nostro paese in ordine agli stanziamenti per la salute mentale; e certamente non voglio dirvi dello spoil system e dell’oscuro impianto degli atti aziendali. Di tutto questo già sapete.

Voglio parlarvi – perché da tempo se ne discute nei nostri numerosi e affollati incontri – delle quotidiane fatiche che fanno le persone, i cittadini, gli individui per curare la loro salute vivendo senza timori superflui la minaccia della malattia. Non so con quanta consapevolezza si parla di medicina territoriale, di distretti, di medici di famiglia, di infermieri di comunità, di cure domiciliari in un momento come questo dove non possiamo non cogliere il bisogno di una singolare vicinanza, di una cura sollecita a un capitale prezioso che è la comunità partecipante. È della cura che bisogna ricominciare a parlare.

Mi occupo di matti da ormai troppo tempo e ho avuto modo di incontrare, in momenti e in regioni diverse, amministratori, assessori, accademici. I più facevano e fanno fatica a comprendere che salute mentale non è psichiatria e che curare una persona che vive l’avventura del disturbo mentale, non è predisporre letti, sistemi di controllo e di sicurezza; e di servizi di salute mentale aperti 24h/7g neanche a parlarne. Nei tanti anni di lavoro, più di 50, ho trovato pochi parlamentari e amministratori disposti a mettere in crisi le loro certezze per cercare di comprendere. Molti amministratori, anche nella mia regione, purtroppo, il Friuli Venezia Giulia, continuano a pensare che un centro di salute mentale nella comunità sia poco più di un servizio ambulatoriale specialistico di psichiatria dove uno psichiatra, in camice bianco, impegna le sue ore di servizio per fare diagnosi, per prescrivere farmaci, per inviare lontano, in “strutture”, quelli che sono di peso, di fastidio, poveri e perciò inguaribili. Gli scarti, direbbe Papa Francesco. Ma anche per ricoverare in ospedale quelli più recalcitranti, “violenti”, riottosi dove possono essere sedati, legati, impediti; e perché no, scomparire nelle cliniche private e in luoghi misteriosi “ad alta protezione”.

E pure fino a qualche anno fa i nostri amministratori, “di destra e di sinistra” si sforzavano di comprendere che un servizio di salute mentale non può che essere un luogo attraversabile, un passaggio, uno spazio di accoglienza e di ristoro. Un luogo familiare dove le persone del rione possono andare per dire, per far sentire il proprio male e trovare qualcuno che si prendesse cura di loro. Cercavano quanto meno di cogliere il significato di servizi aperti e accessibili 24h. Ventiquattro ore perché il servizio può disporre di ospitalità notturna e le persone possono essere accolte per periodi di tempo estremamente variabili.

Nei luoghi dove organizzazioni e dispositivi di questa natura sono stati attivati i buoni risultati non si sono fatti attendere e sono evidenti. Le organizzazioni di servizi disposti a essere attraversati in tutto l’arco delle 24 ore sono diventati, là dove in funzione, gli strumenti più efficaci di risposta alla crisi, per periodi in cui c’è la necessità di dare protezione o tutela, per offrire aiuto e distanza, talvolta necessaria, sia al paziente che alla sua famiglia e dove senza ricorrere a violenze e mortificazioni si possa negoziare il Trattamento sanitario obbligatorio (Tso); si possa finalmente abolire e dimenticare la inumana pratica della contenzione e delle porte chiuse. Programmi di questa natura restano tuttavia pochi e a rischio di essere devastati da politiche regionali attente ad altre scelte di campo e che, tra pubblico e privato, non mostrano più alcun dubbio. Si dice sempre dei riconoscimenti internazionali per questi dispositivi e per la legge italiana. Ma più che le medaglie, la soddisfazione che esprimono prima di tutto le persone che vivono l’esperienza, la loro rimonta, i familiari, le associazioni dovrebbero confortare, spingere ad andare avanti e sostenere nuove sperimentazioni. Altro che ambulatori!

Un servizio territoriale è un dispositivo che pretende la presenza di diverse figure professionali e di attenzione consapevole degli amministratori, dei sindaci, degli assessori, e della presenza di un governo centrale. Un servizio di salute mentale non può sfuggire a una scelta di campo ruvida e rischiosa se vuole rispondere a domande, talvolta drammatiche, di persone, in specie giovani, che vivono o hanno superato non senza cicatrici problemi di disturbo mentale, anche molto severo, e che hanno bisogno di infinite e umane attenzioni. E vuole farsi carico insieme ai familiari del peso talora insopportabile di un figlio o di una figlia che sembra fatalmente perduta.

Sembra che le nostre amministrazioni, oggi, in assenza di un governo centrale e in una sorte di ostilità ideologica, non sappiano più che chi ha vissuto la sofferenza mentale, chi per un momento della sua vita ha perduto il contatto con la realtà, chi si è sentito irrimediabilmente sconfitto o al contrario onnipotente vincitore, chi ha sentito il mondo ostile e nemico, chi si è visto costretto a rinunciare per questa e per altre ragioni ai suoi sogni, ai suoi progetti e ha dovuto imparare a soffocare la sua inquietudine, ad annullare la sua curiosità, a cancellare la sua creatività, a rinunciare alle relazioni ha bisogno di ogni cosa per rimontare, per riprendersi la vita. Dopo esperienze di tal genere si trova il vuoto intorno. Gli strumenti culturali si sono impoveriti. Si fa fatica a leggere la realtà. Si è distanti dai luoghi dello scambio e delle relazioni. Il linguaggio, le capacità comunicative, le abilità lavorative si sono ristrette o non sono più adeguate. E malgrado queste evidenze, molte psichiatrie delle accademie, “della distanza e della pericolosità”, che abbiamo cercato di tenere lontano con fatiche indicibili, sembrano ora gradite e attraenti per riformulare servizi distanti, posti letto privati, ambulatori specialistici.

Parlare, abitare, ritornare nelle relazioni. riprendere con curiosità diversa i libri abbandonati, lavorare ma anche scrivere, cantare, fare teatro, giocare a calcio, riprendere in mano il violino o la fisarmonica. Osare persino di innamorarsi. E di guarire. I programmi di un servizio di salute mentale vogliono prestare attenzione a questi momenti intensi e singolari e cercano di dare valore alla fatica del vivere quotidiano, si impegnano a non tradire le aspettative, le attese che ancora e sempre resistono. Programmi che servono a scoprire strumenti sempre singolari per leggere la realtà intorno, costruire opinioni proprie, cercare assieme agli altri il coraggio per schierarsi. Sopportare le ferite del conflitto che è nelle cose, nelle relazioni, nel rischio mortale dell’incontro. Avere consapevolezza della propria realtà, della propria storia, dei propri limiti è di per sé un elemento che genera capacità nuove, risorse utili per raggiungere la propria indipendenza, identificare un proprio stile di vita e il piacere della comunicazione.

E infine signor ministro, una cosa che non si può più tacere ed è la più grave di tutte: la condizione di lavoro degli operatori che, non più coinvolti in una progettazione comune, lontani dalla dimensione etica del loro lavoro, costretti all’indifferenza, fanno fatica a resistere, perdono entusiasmo e appartenenza. Giovani operatori e operatrici scelgono i mestieri della cura con entusiasmo e aspettative, per essere poi delusi e trascurati tanto da desiderare di andar via. Ormai ridotti al silenzio in un clima di censura che colpisce tutto il sistema sanitario.

Signor Ministro, signori Presidenti, signori Direttori generali, signori Sindaci, forse voi non sapete che lo scorso giugno l’associazione Forum Salute Mentale Nazionale ha voluto riproporre, per la terza volta, il disegno di legge “Disposizioni in materia di tutela della salute mentale volte all’attuazione e allo sviluppo dei princìpi di cui alla legge 13 maggio 1978, n. 180 (1113)”. Il testo è stato presentato alla Camera e al Senato dagli onorevoli Serracchiani, Sensi e dall’on. Magni. Non si tratta dell’ennesima proposta di riforma della legge 180. Il disegno di legge vuole riaffermare il valore del cambiamento che comunque ha realizzato il nostro paese e riaccendere attenzione e parole sensate a sostegno delle persone che vivono l’esperienza del disturbo mentale e indicare percorsi e modalità organizzative capaci di indicare vie d’uscita dalla dannosa confusione e miseria cui sono ridotti i servizi di salute mentale oggi.

Peppe Dell’Acqua

Trieste, gennaio 2024

fonte: https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2024/01/18/cari-politici-chi-vive-il-disturbo-mentale-non-e-uno-scarto/

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