E allora è necessario chiedersi se la vita in comune richieda o meno di starcene isolati, per lo più a casa propria, quando abbiamo una malattia contagiosa. Da bambini ogni volta che ci si ammalava restavamo a casa e non era assolutamente permesso rientrare a scuola se non con un certificato di fine malattia.
Rinunciare alla libertà di comportamento è sicuramente un atto che non è gradito e che deve essere quindi ridotto il più possibile. Ciò che non è vietato comunque deve considerarsi permesso, ma non è sempre detto che sia giusto. Oggi è permesso ai positivi al virus Sars-2-Cov di vivere liberi in società, ma dovremmo, credo, chiederci se oltre ad essere permesso sia anche giusto. Certo per alcuni non andare a lavorare può significare una perdita economica anche significativa e per altri non poter fare la vita sociale normale può creare forte disagio.
Ma il limite “giusto” alla libertà personale è chiaro, cioè è il limite indotto dal rispetto delle sfere altrui. Non posso tenere la televisione a tutto volume di notte non perché è immorale, ma perché toglie il sonno a qualcuno almeno che non lo si faccia in pieno deserto. Non posso vendere merce avariata, perdendo così del guadagno, e contravvenendo al diritto della libertà di commercio, perché rischio di indurre un danno a chi compra la mia merce.
Le motivazioni che vengono addotte alla libertà di circolazione dei contagiati sono diverse: si dice innanzitutto che ormai il virus è endemico e produce banali sintomi e quindi è bene che tutta la popolazione ne venga coinvolta così da ridurre la suscettibilità al contagio.
Questa però è la situazione nella settimana poco prima di Natale 2023 (dal 14 al 20 dicembre): 60.440 nuovi casi con una prevalenza di 234.090; dati che sappiamo molto sottostimati a causa delle autodiagnosi non notificate. Ma anche 7.360 ricoverati in ospedale positivi di cui 276 in terapia intensiva, e 425 decessi.
Si dice allora che costringere ad isolarsi può creare al contagiato un danno economico sociale troppo elevato in rapporto al danno che lui può produrre nella comunità. Però l’isolamento necessario non è così lungo e sembra che la contagiosità sia elevata solo nei primi giorni e comunque in presenza di sintomatologia respiratoria.
Chiediamoci allora se verso un qualsiasi altro comportamento che inducesse 425 decessi alla settimana nella popolazione, anche se decessi per lo più di soggetti anziani, non interverremmo? Non chiederemmo di interrompere quei comportamenti? In una relazione “costi-utilità”, l’evitare di incrementare la circolazione del virus nella società avrebbe meno valore di ciò cui si deve rinunciare rimanendo 4 o 5 giorni in casa propria? E l’uso della mascherina nei luoghi affollati, come ad esempio in metropolitana, crea un fastidio maggiore del vantaggio della riduzione delle occasioni di contagio?
Con l’isolamento dei positivi e l’uso delle mascherine nei luoghi affollati non riusciremmo di certo ad eradicare il virus dalla popolazione, ma di certo potremmo ridurne la velocità di circolazione.
Credo che dobbiamo renderci conto che oltre alle proprie e sacrosante libertà ci sono anche quelle degli altri, ed oltre a difendere i propri beni personali, come la salute, si deve difendere anche la salute altrui e non dobbiamo rubarla solo per difendere un nostro vantaggio. Riflettiamo quindi! e non si tratta di creare un sistema poliziesco di controllo dei contagiati come si è necessitato in passato. Dobbiamo lavorare sulla convinzione e sulla responsabilità.
Invito perciò le pubbliche autorità sanitarie, ed il Ministro innanzitutto, ad emanare un invito chiaro e motivato a restare isolati a casa propria se contagiati e ad usare comunque tutti una mascherina se siamo in un ambiente ad elevata frequentazione.
Evitiamo di diventare degli untori di manzoniana memoria …