Natale è un rituale depositato sul sovrapporsi degli ultimi venti secoli di storia per infittirsi nella manciata di giorni dell’ultimo evento a venire. Il valore spirituale, quello emotivo, quello economico quello ludico e ogni altro autoproclamato valore rivendica il suo posto all’imperiosa cerimonia dicembrina. Festeggiando beatamente insieme, odio e ipocrisia, perbenismo e finzione, In quel cosiddetto Occidente che quando fa festa va bene per tutti. E se fa la guerra fa comodo a ognuno.
Il mio Natale è la mia famiglia. No, non quella allargata, che nell’infanzia era normale, con parenti e amici in convivio al tavolo della tradizione. Oggi ognuno ha le sue cose e le cose di ognuno difficilmente coincidono con quelle degli altri. Se coincidono stridono e allora è meglio evitare. Lasciamo il Natale tradizionale a quelli che ancora ci credono e a quelli che, con ammirazione, ancor di più ci riescono. Sono tanti, non noi. È per quel che mi riguarda meglio così. Ringrazio il buon cugino Daniele rimastoci accanto.
In famiglia siamo in tre: mamma, papà e io. Mia madre è stata decisamente male negli ultimi tempi, dunque deambula a fatica; mio padre, 87 anni suonati, suonati loro non lui, che si prende cura di lei e di me. E io che un certo momento mi sveglio in rianimazione senza sapere come e perché. Nulla, vuoto assoluto. Erano gli inizi di dicembre, avevo fatto un paio di flebo a casa. Cose che capitano.
In rianimazione ho qualche allucinazione, ma comprendo che mi trovo lì per una estesa diffusione infettiva che ha pervaso il mio corpo. Non bello. Mi tranquillizzano: le cose stanno andando meglio, si tratta delle piaghe da decubito che vanno sistemate. Ma se la rianimazione si chiama così ci sarà un perché. Se deve rianimare, qualcuno da rianimare ci sarà.
Ricordo chiaramente una notte in cui mi trovo letteralmente in fin di vita. Mi ero già trovato in una condizione simile anni fa: siamo di nuovo qui, a fronteggiarci. Il cuore batte forte, le cose non vanno, non si sa bene cosa fare. Ricordo il nome di un farmaco preso all’epoca e me lo ridanno: la situazione inizia a sistemarsi.
Cos’è la morte? Non lo so. Ma so benissimo che cosa la precede. Non bello. Non bello. Ne ho tante versioni.
Mi sistemano e torno a casa in una decina di giorni. A ogni cambio di farmaco è una tragedia perché il corpo si deve abituare e mentre si abitua soffre. Se sei a casa, poi, ogni deviazione dalla normalità che si sta ricostruendo intorno a te accende una spia rossa, come se stesse per scatenarsi un attacco nucleare. Ti senti debole e spaventato. La psiche ha paura, anche se tu sei la roccia che tutti pensano che sia.
A casa, appunto, i ritmi sono diversi ma all’inizio non si capisce la differenza fra ospedale e casa. Il faccione tranquillizzante di tuo padre è un toccasana. La voce di tua madre, che per alzarsi dal letto deve essere aiutata, scatena un’emozione enorme. Piango. E sono contento perché erano anni che non piangevo e mi pesava moltissimo.
Cos’è il Natale? Il Natale, in fondo, non è che sacrosanta, pura, vera umanità.
Un sorriso,