Ruggero Paladini interviene, con un articolo composto di due parti, sulla riforma fiscale del governo e sostiene che, malgrado il modo molto ambizioso in cui è stata presenta, essa non definisce un coerente insieme di indicazioni sul problema cruciale dell’equità orizzontale e verticale. In questa prima parte Paladini affronta in modo approfondito la questione della riduzione del numero di scaglioni. Nella seconda parte esaminerà il concordato preventivo e l’adempimento collaborativo.
Al momento dell’approvazione della Legge 9 agosto 2023, n.111, sulla riforma fiscale, il viceministro Maurizio Leo, con delega alle finanze, ha commentato con queste sobrie parole: “Io mi sono permesso di definire questo un provvedimento epocale. Consentitemi di dire che così è, perché questa è una riforma che era attesa da tantissimi anni, dagli anni Settanta, quando un provvedimento analogo fu messo a terra da studiosi del calibro di Bruno Visentini, di Cesare Cosciani, di Gino De Gennaro”.
Vediamo allora cosa ci sia di epocale. Le linee guida della riforma vengono presentate nel lungo art.1, di cui riportiamo solo una parte: a) fermi restando i principi della progressività e dell’equità del sistema tributario, stimolare la crescita economica e la natalità attraverso l’aumento dell’efficienza della struttura dei tributi e la riduzione del carico fiscale, soprattutto al fine di sostenere le famiglie, in particolare quelle in cui sia presente una persona con disabilità, i giovani che non hanno compiuto il trentesimo anno di età, i lavoratori e le imprese; b) prevenire, contrastare e ridurre l’evasione e l’elusione fiscale, anche attraverso: 1) la piena utilizzazione dei dati che affluiscono al sistema informativo dell’anagrafe tributaria, il potenziamento dell’analisi del rischio, il ricorso alle tecnologie digitali e alle soluzioni di intelligenza artificiale, nel rispetto della disciplina dell’Unione europea sulla tutela dei dati personali, nonché il rafforzamento del regime di adempimento collaborativo ovvero l’aggiornamento e l’introduzione di istituti, anche premiali, volti a favorire forme di collaborazione tra l’Amministrazione finanziaria e i contribuenti.
Come si può notare, i temi dell’equità orizzontale e verticale sono oggetto, nel punto a) di un fugace accenno, per poi indicare gli obiettivi della crescita economica, della natalità, della famiglia, e, in un crescendo, dei giovani, dei lavoratori e delle imprese. Il secondo obiettivo, punto b), è quello della lotta all’evasione ed elusione fiscale, utilizzando la mole di dati disponibili e le tecnologie più avanzate. Lo scopo sembra essere quello di realizzare una modalità di accordo tra Fisco e contribuenti (concordato preventivo biennale).
Seguono poi numerosi altri obiettivi di semplificazione, razionalizzazione ecc. messi un po’ alla rinfusa (la disabilità è citata tre volte); è più interessante passare all’art. 5, dove vi sono le indicazioni per quanto riguarda l’Irpef. Si ricorderà che la proposta di legge delega presentata dal governo Draghi indicava il sistema duale quale criterio di ri-organizzazione dell’imposizione diretta. Cioè tassazione dei redditi da lavoro (e pensione) in progressività e dei redditi da capitale con una uniforme imposta proporzionale. Ora invece viene indicata “la revisione e la graduale riduzione dell’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF)”; non è chiaro se ci si riferisce ad una diminuzione del gettito o del numero degli scaglioni o di tutte e due le cose. Si indica però la “prospettiva della transizione del sistema verso l’aliquota impositiva unica”.
Un’imposta con aliquota unica, volendo, potrebbe essere definita una svolta epocale. Si tratta cioè della nota e famigerata flat tax, cavallo di battaglia elettorale di Lega e Forza Italia (meno di Fratelli d’Italia), la quale evidentemente non rispetta il principio di progressività a meno che di flat tax non abbia che il nome. Una vera flat tax è infatti incompatibile con rilevanti deduzioni o detrazioni, in particolare se decrescenti rispetto al reddito. Peraltro la stessa terminologia usata indica come difficilmente possa un obiettivo realizzabile in questa legislatura. Si parla genericamente di riordino delle deduzioni, degli scaglioni, delle aliquote, delle detrazioni, cioè di ciò che costituisce la struttura dell’imposta. Tale riordino dovrebbe tenere conto di una panoplia di variabili: composizione del nucleo familiare, ovviamente prestando attenzione alle disabilità, proprietà o locazione della casa, salute, istruzione e previdenza complementare, efficienza energetica, riduzione rischio sismico, rigenerazione e rifunzionalizzazione edilizia e via elencando.
Interessante il punto 2.1): “la progressiva applicazione della medesima area di esenzione fiscale e del medesimo carico impositivo nell’ambito dell’IRPEF, indipendentemente dalla natura del reddito prodotto, con priorità per l’equiparazione tra i redditi di lavoro dipendente e i redditi di pensione”. Lavoratori dipendenti e pensionati sono in effetti trattati diversamente per tutti i redditi inferiori a 50.000 euro di imponibile; i lavoratori hanno aliquote medie più basse ed aliquote marginali più alte. Ma ciò non dovrebbe valere anche per i lavoratori autonomi? In particolare di quelli che hanno la possibilità di utilizzare l’imposta sostitutiva al 15% detta anche la flat tax delle partite Iva (regime forfettario).
Il numero degli scaglioni. Sorvolando su molti altri temi tra cui quelli riguardanti i principi del diritto tributario nazionale e il contenzioso tributario, soffermiamoci sulla riduzione del numero degli scaglioni. Di per sé stabilire se sia preferibile il sistema a cinque (fino al 2022), quello a quattro (valido per il 2023, legge di bilancio Draghi), o quello a tre (varato con molta enfasi dalla legge di bilancio Meloni a valere dal 2024), non ci dice molto in tema di equità verticale. In Olanda vige un sistema a tre scaglioni: 9,28-36,93-49,5 per cento. Una certa differenza col nostro: 23-35-43 per cento.
Ma non si tratta solo di questo. Possono esserci ragioni diverse per effettuare la riduzione di uno scaglione; ad esempio l’intervento dell’allora ministro dell’economia Daniele Franco mirava a sistemare una situazione per cui il terzo scaglione, quello da 28.000 a 55.000, si trovava in realtà diviso in tre scaglioni di fatto (per via delle detrazioni decrescenti), con aliquote effettive tutte sopra il 40 e una (da 35.000 a 40.000) addirittura al 60,82% come ho già argomentato sul Menabò. A questo scopo venivano ridotte le aliquote del secondo scaglione (da 27 a 25 per cento) e del terzo (da 38 a 35 per cento) e ristrutturate le detrazioni; inoltre veniva eliminato il quarto scaglione (quello da 55.000 a 75.000) portando il limite inferiore a 50.000 con aliquota del 43; poiché lo scaglione eliminato aveva l’aliquota al 41 si ottiene il risultato di ridurre il vantaggio (per i redditieri di più di 50.000 euro) derivante dalle diminuzioni delle aliquote del secondo e terzo scaglione.
Volendo dare un segnale in direzione della flat tax lo scaglione da eliminare non poteva che essere quello da 15.000 a 28.000, riducendo di due punti l’aliquota del 25%. Questo per limitare il costo del provvedimento, che sarebbe stato contenuto in poco più di quattro miliardi; inoltre da 28.000 in su i contribuenti avrebbero usufruito di 260 euro di minor imposta. Il che avrebbe portato un piccolo sgravio anche ai lavoratori dipendenti con redditi maggiori di 35.000, esclusi dalle riduzioni, a partire dal luglio 2022, dei contributi a carico dei lavoratori; il taglio infatti (7% fino a 25.000 e 6% fino a 35.000) cessa bruscamente senza nessuna gradualità, determinando un effetto di re-ranking.
Il problema, analogo a quello affrontato da Franco, è che i 260 euro sarebbero andati anche a tutti coloro che percepiscono redditi più alti senza limiti. La soluzione di portare l’aliquota al 43,2% è proibita dai tabù radicati nei partiti di destra; pertanto la soluzione alla fine è stata quella di introdurre una franchigia di 260 euro dalle detrazioni al 19% a partire dai redditi superiori a 50.000, con esclusione delle detrazioni sanitarie, cioè di quelle nettamente più importanti. Per inciso non è chiaro perché un redditiere con 50.001 venga considerato ricco ed uno con 49.999 no; si determinerebbe un effetto di re-ranking, non l’unico nella nostra imposta personale. Comunque vi saranno alla fine redditieri che, non avendo detrazioni al 19% o avendo solo quelle sanitarie, beneficeranno dei 260 euro (in particolare i pensionati), altri che ne perderanno una parte ed altri ancora, una minoranza, che li perderanno del tutto.
Per la prossima legge di bilancio la possibilità di ridurre l’Irpef a due soli scaglioni si presenta a dir poco problematica. Già ci saranno da confermare i tagli ai contributi e l’eliminazione del secondo scaglione, per ora limitati al 2024; per passare a due scaglioni la prima ipotesi sarebbe quella di eliminare il secondo scaglione, estendendo a 50.000 il primo scaglione al 23% (e lasciando per i redditi maggiori l’aliquota al 43 per cento). I costi sarebbero proibitivi, perché a 50.000 il risparmio d’imposta arriverebbe a 2.640 euro, di cui usufruirebbero poi anche i redditi più alti. I tagli alle detrazioni dovrebbero diventare massicci, fino all’azzeramento (e le spese sanitarie sempre esenti?).
In un’intervista al Corriere della Sera del 30 dicembre il viceministro Leo indica invece che potrebbe essere eliminato, “se possibile”, l’ultimo scaglione, quello dei contribuenti con più di 50.000 euro. In questo caso l’estensione sarebbe dell’aliquota al 35 per cento; avremmo quindi un primo scaglione fino a 28.000, al 23 per cento, ed un secondo da 28.001 in poi al 35. Il costo sarebbe inferiore rispetto alla prima ipotesi, perché riguarderebbe solo i 2,5 milioni di contribuenti oltre i 50.000, e non il quadruplo, cioè quelli oltre i 28.000. Ma sarebbe un autogol micidiale a metà legislatura: gli sgravi crescerebbero non solo in valore assoluto (2.000 euro a 75.000 di reddito, 4.000 a 100.000 e 12.000 a 200.0), ma anche in percentuale ,rispettivamente del 3, 4 e 6 per cento. E sarebbe molto difficile poter ridurre l’impatto con tagli alle tax expenditures di qualunque tipo, anche alla luce della panoplia di variabili, citate all’inizio, di cui dicono di voler tenere conto. La strada per la flat tax è più lunga di quella per Tipperary.
* L’articolo è diviso in due parti. Questa prima parte è dedicata al problema degli scaglioni. La seconda, che sarà pubblicata sul prossimo numero del Menabò, riguarderà il concordato preventivo e l’adempimento collaborativo.
fonte: https://eticaeconomia.it/la-pseudo-riforma-fiscale-prima-parte/