C’è un numero che caratterizza il 2023 penitenziario: 10.000. Sono almeno 10 mila le persone detenute in più rispetto alla capienza regolamentare delle carceri italiane. Numeri freddi che significano: condizioni igienico-sanitarie deteriorate, riduzione delle possibilità di contatto con gli operatori sociali, tensioni, stress, assenza di spazi vitali. Quando i tassi di sovraffollamento divengono così alti ogni detenuto perde la sua identità ed è ridimensionato a numero di matricola. Viene spersonalizzato, così compiendo quel processo di istituzionalizzazione coatta che costituisce, malgrado la buona volontà di molti operatori, l’essenza della risposta carceraria.
Il racconto dell’ultimo anno è all’insegna della frenesia punitiva e disciplinare del Governo che è tracimata oltre il sistema penale, andando a colpire anche altri mondi come quello della giustizia minorile, della scuola, dell’immigrazione. Sono finiti sotto il mirino della repressione: donne detenute in stato di gravidanza, minorenni che commettono reato, attivisti politici, detenuti che disobbediscono con forme di resistenza passiva, studenti, consumatori di sostanze. Dunque, ben si comprende quale è il target dell’azione repressiva: da un lato i soggetti socialmente vulnerabili, dall’altro i più giovani. Evidentemente si teme il sapere critico delle nuove generazioni.
Una foto, un detenuto che non c’è più, un poliziotto e un matematico sono le immagini del 2023.
La foto è quella del settimo reparto di Regina Coeli di Roma, così come l’ha descritta il garante della Regione Lazio Stefano Anastasia. Un luogo che dovrebbe essere immediatamente chiuso in quanto indecoroso. È un reparto utilizzato per ragioni disomogenee: dal transito all’isolamento disciplinare, sino al confinamento sanitario.
I detenuti non escono praticamente mai dalla cella. E come ha denunciato Anastasia i detenuti sono costretti a vivere in celle «prive di suppellettili, con una branda ancora parzialmente carbonizzata da un precedente incendio, la finestra che è stata forzata per poterla aprire, il bagno senza porta». Manca tutto, a volte anche le coperte. Si arriva a mangiare per terra. Si possono incontrare detenuti sopraffatti dall’uso di psicofarmaci. Quella sezione va chiusa. E non c’entra nulla con il glorioso passato di Regina Coeli, con il suo essere un bene architettonico. Quel luogo è un prodotto dell’uomo e non della storia o del Tevere. Invito le autorità ispettive dell’amministrazione penitenziaria, i parlamentari e i consiglieri regionali a visitarlo e a ottenerne la chiusura, la ristrutturazione, l’umanizzazione.
Il detenuto che non c’è più e Fakri Marouane. Morto per essersi dato fuoco nel carcere di Pescara dopo avere coraggiosamente testimoniato per le presunte torture subite in occasione delle brutalità commesse nel carcere di Santa Maria Capua Vetere nel 2020. Il suo nome va ricordato. La sua dignità preservata al pari del suo coraggio di denunciare le illegalità subite e viste. Sarebbe significativo se in sua memoria ci fosse un ricordo pubblico, nel nome della lotta alla tortura.
Il poliziotto Francesco Mondello è un grande uomo che da anni a suon di rock aiuta i detenuti di Bollate nel sogno di trasformarsi in una grande band musicale. Li accompagna fuori dal carcere ogni volta che ce ne è bisogno. Lui è l’emblema di quei tanti agenti, educatori, direttori che ogni giorno cercano di tradurre in fatti le parole scritte all’articolo 27 della Costituzione.
Il matematico è Mauro Palma. Per sette anni ha rivestito l’incarico di Garante nazionale delle persone private della libertà, esercitando con tenacia, rigore e qualità da tutti riconosciute (da ultimo anche dal Presidente della Repubblica che lo ha insignito Grande Ufficiale) una funzione difficile in anni complessi e a volte bui. Ha terminato il suo mandato. Ma siamo certi che non è finito il suo impegno per una società meno violenta e afflittiva.
fonte: il manifesto su Antigone