Le malattie cardiovascolari sono la più importante causa di morte a livello globale e sebbene ci sia stata una recente diminuzione dei decessi, sono aumentati i ricoveri ospedalieri per eventi cardiovascolari acuti quali insufficienza cardiaca e ictus. Essere sedentari e inattivi accresce il rischio, ma non è facile persuadere le persone ad essere fisicamente attive, soprattutto chi per varie ragioni (età, stile di vita, …), ha maggiore probabilità di incorrere in disturbi cardiovascolari.
Gli studi di ricerca e gli interventi realizzati in ambito clinico e di salute pubblica hanno preso in esame, in modo privilegiato, ogni tipo di attività fisica e sportiva che implica esercizi e allenamento, e tempo dedicato, opzione non per tutti interessante e fattibile. L’alternativa per molti adulti potrebbe invece prevedere, durante le normali attività della vita quotidiana e lavorativa di una giornata, brevi e saltuari momenti di attività fisica da moderata a vigorosa (in inglese si parla di Moderate to Vigorous Intermittent Lifestyle Physical Activity, MV-ILPA e questo acronimo verrà utilizzato per brevità), che non superino 10 minuti. La natura casuale, non pianificata e non strutturata di questo tipo di attività non richiede impegno di tempo o una preparazione specifica, attrezzi o strutture ad hoc e come tale potrebbe essere di più facile realizzazione e accesso rispetto a lunghi periodi di movimento ritagliati nel tempo libero. Lo sarebbe certamente per adulti fisicamente non attivi oltre i 40 anni di età, fuori forma e che non hanno voglia, tempo, energie per dedicare i loro momenti di svago a sport, camminate, pedalate e quant’altro.
Questo approccio, alternativo all’attività fisica tradizionale reca benefici per la salute? Lo studio di coorte prospettico Ahmadi 2023 pubblicato sulla rivista Lancet Public Health ha esaminato l’associazione che esiste tra queste brevi frazioni attive compiute durante la quotidianità, la mortalità e gli eventi cardiovascolari acuti (Major Adverse Cardiovascular Events – MACE, acronimo che verrà utilizzato per brevità).
Nel dettaglio, tra il 1° giugno 2013 e il 23 dicembre 2015, 103.684 partecipanti sono stati reclutati tramite invito postale e hanno accettato di indossare un accelerometro al polso 24 ore al giorno per 7 giorni la settimana. Il campione di popolazione di interesse erano adulti inattivi e ad eventuale rischio di disturbi cardiovascolari: dal totale dei partecipanti sono stati esclusi coloro che hanno dichiarato di avere svolto allenamento o attività sportive nel tempo libero o di avere camminato per svago più di una volta alla settimana, così come coloro che avevano avuto malattie cardiovascolari autodichiarate o risultanti da ricoveri ospedalieri.
Sono 25.241 i partecipanti inclusi nell’analisi della mortalità per tutte le cause, con un’età media di circa 62 anni, di cui 14.178 (56.2%) erano donne e 9114 (8.7%) erano in possesso di un titolo di studio di scuola superiore o università. I partecipanti sono stati seguiti fino a novembre 2022 e durante il follow up di oltre 7 anni si sono verificati 1111 decessi. Sono invece 22.446 i partecipanti inclusi nell’analisi di eventi cardiovascolari maggiori e 824 gli eventi occorsi durante il follow-up.
Gli intervalli attivi (MV-ILPA) sono stati classificati in base alla lunghezza temporale in brevi (< 1 minuto), medi (1 a < 3 minuti, ≥ 3 minuti a < 5 minuti), lunghi (da 5 a
Dallo studio emerge in media, un totale di quasi 27 minuti al giorno dedicati a MV-ILPA, per la maggior parte prevalgono frazioni temporali inferiori al minuto (59,7%) e tra 1 e 3 minuti (27,5%), seguiti da 3-5 minuti (5,7%) e 5-10 minuti (4,4%). In sintesi, per oltre il 47 % dei partecipanti ogni singola sessione di MV-ILPA non superava i 5 minuti di tempo.
Per quel che concerne il rischio di mortalità calcolata a 5 anni di distanza, è pari a 4,28% per periodi attivi inferiori al minuto di MV-ILPA, 2,83 % da 1 a meno di 3 minuti, 2,43% da 3 a meno di 5 minuti, 2,09% da 5 a meno di 10 minuti. Medesimo discorso per il rischio di eventi cardiovascolari maggiori: 3,50% meno di un minuto, 2,27% da 1 meno di 3 minuti, 2,07% da 3-meno di 5 minuti e 2.06% da 5-meno di 10 minuti.
In sintesi il rischio di mortalità e di MACE calcolato dopo 5 anni, è più elevato per brevissimi momenti attivi inferiori al minuto e si riduce progressivamente con l’aumentare dei minuti dedicati.
Lo studio Ahmadi è il primo che prende in esame i potenziali benefici che intervalli attivi di brevissima durata svolti nel contesto della quotidianità possono avere sulla salute, in particolare sulla salute cardiovascolare. Che si tratti di frazioni da 1 a 5 minuti di tempo o da 5 a meno di 10 minuti incidono comunque sulla mortalità e sui MACE, riducendone il rischio del 29-44%, rispetto a frazioni sotto il minuto. Tuttavia collezionare nella giornata più frazioni attive inferiori al minuto comporta benefici rispetto al rischio di mortalità e di MACE solo se è prevista in media almeno il 15% di attività vigorosa per intensità e l’aumento percentuale dell’attività vigorosa, anche nei periodi temporali superiori al minuto, rafforza ulteriormente i benefici, secondo un rapporto dose risposta.
Con l’età aumenta il rischio di disturbi cardiovascolari, per un invecchiamento sano svolgere attività fisica in modalità strutturata e duratura non è sempre un’opzione, può essere invece molto più facile e altrettanto efficace per la salute del cuore integrare nella propria vita di ogni giorno pochi minuti di attività fisica e soprattutto, ciò che conta ed è di maggiore beneficio, non è tanto la durata del singolo momento attivo, quanto il ripetere più volte brevissime sessioni attive in modo da accumulare nella giornata un certo numero di minuti complessivi.
Questo risultato è stato già suggerito in passato da alcuni studi, che tuttavia, consideravano periodi temporali inferiori a 10 minuti o di 15 minuti come fossero equivalenti, senza differenziare nelle loro valutazioni, sebbene i benefici di momenti attivi inferiori a 10 minuti o di 15 minuti potevano non essere costanti. Ne è conseguita la difficoltà di tradurre in messaggi utili e chiari per la salute pubblica della popolazione.
In effetti, le evidenze utilizzate per informare le ultime linee guida sull’attività fisica degli Stati Uniti e dell’OMS hanno sintetizzato revisioni di studi osservazionali utilizzando dati basati su strumenti e questionari privi della capacità di avere un livello di dettaglio temporale nella valutazione di brevi periodi attivi, limite che è stato evidenziato dai decisori politici.
Lo studio Ahmadi, che ha invece valutato brevi frazioni attive con un finissimo livello di dettaglio, suggerisce che la durata del periodo attivo potrebbe essere una caratteristica importante in relazione alla longevità e alla salute cardiovascolare.
Poiché meno di un adulto di mezza età su cinque si impegna in un regolare esercizio fisico, i cosiddetti micropattern dell’attività fisica (brevi periodi di attività durante la vita quotidiana) potrebbero essere complementari alle tradizionali strategie di esercizio e accessibili a tutti. Accumularne nel corso della giornata, innanzitutto nell’ambito domestico e lavorativo, ma anche dei trasporti. potrebbe migliorare la salute, soprattutto cardiovascolare, (rischio di mortalità inferiore del 30% per intervalli inferiori a 10 minuti) e nel contempo superare le resistenze di chi è poco attivo e sedentario.
Inserire inoltre, in quei pochi minuti di attività fisica a cui ci invitano gli impegni quotidiani, alcuni brevi istanti di attività vigorosa (dal 12% al 15% sul totale di minuti), riduce ulteriormente il rischio di eventi cardiaci acuti. Quest’ultima affermazione sembra apparentemente in contraddizione con alcuni risultati riportati in letteratura, secondo cui l’attività vigorosa aumenterebbe gli eventi cardiovascolari. Nello studio Ahmadi invece l’aumento dell’attività vigorosa diminuisce il rischio di eventi cardiovascolari. Ma si fa riferimento ad un’attività vigorosa di brevissima durata, anche solo alcune decine di secondi, laddove gli studi precedenti avevano valutato periodi prolungati, di 10-15 minuti. Alcuni istanti attivi di maggiore intensità non creano una condizione di sforzo che accentua gli eventi cardiovascolari.
Se confermati da ulteriori studi di ricerca, i risultati dello studio Ahmadi potrebbero in futuro informare i messaggi di salute pubblica indirizzati alla popolazione generale, aumentando la consapevolezza sui potenziali benefici per la salute di pochi minuti di attività fisica integrati nelle faccende quotidiane, in particolare per gli adulti che non praticano o non possono praticare sessioni con esercizi e allenamenti. Queste nuove indicazioni e suggerimenti, potrebbero integrare i programmi di sanità pubblica già esistenti, come ad esempio Active 10 nel Regno Unito e la campagna Go4Life negli USA, in cui viene promossa l’attitudine a rendere l’attività fisica parte della vita quotidiana. Infine essere attivi nella quotidianità, senza pianificare ore di palestra o praticare sport potrebbe diffondersi a livello di comunità e di quartiere.
Gli interventi per la promozione dell’attività fisica sono uno degli interventi evidence-based suggeriti per la riduzione delle disuguaglianze di salute, tuttavia come spesso accade per quel che concerne gli interventi di promozione della salute, sono le classi sociali più abbienti che vi partecipano più numerose, maggiormente sensibilizzate e alfabetizzate su problemi inerenti la salute, con stili di vita più salutari, maggiore disponibilità di tempo e di danaro, ambiente sociale e infrastrutture favorevoli. La possibilità di dedicare pochi minuti all’attività fisica mentre si è sul posto di lavoro, o durante gli spostamenti obbligati o nella quotidianità, con effetti positivi per la salute è davvero alla portata di tutti, in una prospettiva di equità e di inclusività.
Riferimenti bibliografici
Bull FC, Al-Ansari SS, Biddle S, et al. World Health Organization 2020 guidelines on physical activity and sedentary behaviour. Br J Sports Med 2020; 54: 1451–62.
Brannan MGT, Foster CE, Timpson CM, et al. Active 10–a new approach to increase physical activity in inactive people in England. Prog Cardiovasc Dis 2019; 62: 135–39.
FONTE: Dors – a cura di Paola Capra