Pubblica amministrazione e transizione ecologica: a che punto siamo? di Carlo Mochi Sismondi

Intervista di Silvia Vaccaro Forum DD

Quali sono oggi i tre problemi più gravi della pubblica amministrazione italiana?

Il primo punto: la povertà quantitativa e qualitativa dell’amministrazione pubblica, come documentiamo nel docu-ForumDD. Non perché le persone che lavorano nella PA non abbiano competenze, ma perché quelli che sono adesso nei posti apicali li abbiamo assunti quaranta anni fa, quando fa ci serviva un’amministrazione diversa, fatta di adempimenti, dove un bravo amministratore pubblico era chi seguiva le regole in modo leale. Oggi ci servono project manager, tecnici, architetti di dati, negoziatori, urbanisti, ecc. Abbiamo assunto allora le persone che servivano per una pubblica amministrazione che era soprattutto autorizzativa. Oggi ci serve una PA promotrice di uno sviluppo equo e sostenibile. E non abbiamo le persone giuste. Per molti anni non abbiamo neanche pensato di assumerle, e oggi che vogliamo farlo è molto difficile trovarle per molte ragioni. Perché la PA cerca di trovarle a stipendi non comparabili con il mercato, perché quando gli stipendi sono adeguati le cerca a tempo determinato, e perché la visione della PA è quella di un posto polveroso dove non si fa carriera o si fa solo perché si è amici di qualcuno. Il secondo punto è che non c’è accompagnamento all’innovazione, soprattutto sui territori. Se escludiamo la pubblica amministrazione centrale, le regioni e le città metropolitane, tutto il resto, che governa la gran parte del territorio italiano e che ha un ruolo chiave nella transizione ecologica, è lasciato a sé stesso. Per questi comuni è ancora più difficile poter contare su pubblici dipendenti con le competenze giuste. Quindi possiamo dire che non hanno avuto la capacità e non sono stati aiutati a fare innovazione. Il terzo punto è che la trasformazione digitale nella PA è stata intesa al rovescio. Portiamo un po’ di digitale nell’amministrazione invece di trasferire l’organizzazione nel digitale. Quello che otteniamo è la rivoluzione del pdf: un fascicolo cartaceo diventa un fascicolo digitale con dentro dei pdf. Questi tre quindi sono i difetti principali della PA oggi. C’è consapevolezza di questi tre problemi e un movimento che cerca di superarli, ma ancora adesso ce li troviamo davanti e sono di intralcio per ogni politica.

Sul fronte dell’efficientamento energetico come sono messi i nostri edifici pubblici?

Saremmo messi bene nella teoria perché questo punto era nella programmazione 2014-2020, ed è tornato nella programmazione 2021-2027, ed è nel PNRR, dove ad esempio c’è un progetto sull’efficientamento energetico dei teatri pubblici. In pratica però ci si scontra con un problema importante di incapacità di attuazione. Molto spesso i nostri sono edifici storici, e in molti casi quindi ancora del tutto inefficienti. Su questo ci si è mossi con un cambiamento, che è ancora in itinere, che è di approccio al procurement: prima si compravano caldaie e condizionatori, ovvero oggetti, oggi si comprano risultati. Le migliori pubbliche amministrazioni comprano un servizio che garantisca 20 gradi stabili dentro l’edificio, e controllano che questi 20 gradi non consumino più di quanto stabilito: lo fanno con progetti di project financing e accordi con società che sviluppano questi progetti, spesso società pubblico-privato, o anche pubbliche, e con quello che risparmiano ripagano i costi di queste operazioni. Ci sono già diversi casi di questo tipo che funzionano, e fanno parte di quello che chiamiamo facility management. Anche questi progetti richiedono che dietro la scrivania della pubblica amministrazione ci siano persone altrettanto competenti come quelli delle aziende con cui la PA fa gli accordi. L’efficientamento energetico quindi si può fare e c’è consapevolezza di questo tra i dirigenti della PA. Quando questi progetti non raggiungono risultati è perché mancano i tecnici dentro le amministrazioni che sappiano come fare le gare d’appalto. Abbiamo bisogno di profili professionali nuovi e non sono semplici da trovare.

Come viene vissuta l’urgenza della transizione ecologica dalle amministrazioni pubbliche?

Quando parliamo di transizione ecologica e PA dobbiamo considerare la questione da due punti di vista. Intanto la pubblica amministrazione deve essa stessa essere sostenibile: 3 milioni e 200 mila dipendenti hanno una loro impronta ambientale enorme. L’analisi degli impatti attuali dei comportamenti di chi lavora nella PA, ma anche la stima di ciò che accadrebbe se solo – con questi numeri – si facessero scelte di sostenibilità parla chiaro.

Alcuni dati: se ciascuno degli oltre 3 milioni di dipendenti pubblici non consumasse 500 fogli in un anno potremmo ridurre il consumo complessivo di 8.142 tonnellate di carta. Il che vorrebbe dire anche: non abbattere 122 mila alberi, risparmiare oltre 3 miliardi e mezzo di litri di acqua, ridurre il consumo energetico nazionale di 62 milioni di KWh e non emettere in atmosfera 19.491 tonnellate di CO2. Se solo chi oggi va in macchina da solo ogni mattina si mettesse d’accordo con un collega si avrebbero 632 mila veicoli in meno ogni giorno sulle strade, 370 mila tonnellate in meno di CO2 emesse ogni anno e 720 milioni di litri di carburante in meno consumati. Se chi beve acqua minerale (57,6%) evitasse di bere con bottigliette e bicchieri di plastica monouso si avrebbero 410 milioni di bottigliette di plastica in meno gettate ogni anno e oltre 27mila tonnellate in meno di CO2 emesse ogni anno. Se il totale dei dipendenti adottasse dei comportamenti attenti al consumo energetico (ricordandosi di spegnere PC, luci e climatizzatori, non sprecando carta, differenziando i nostri rifiuti, ecc.) potremmo avere una riduzione di almeno il 5% sul consumo annuale della PA 4661 GWh (più di 1400 KWh per ogni dipendente) ed evitare di emettere in atmosfera oltre 70 mila tonnellate di CO2. Uso della carta, uso del pc, riscaldare e raffreddare correttamente la propria stanza, spegnere la luce quando la si lascia: tutto questo riguarda i comportamenti individuali, e sensibilizzare i dipendenti pubblici su questo è una delle azioni previste dal PNRR, che da quello che so non è ancora partita. La PA verde è anche quella che acquista in un modo sostenibile (parliamo di oltre 160 miliardi di euro di spesa pubblica per acquisti di servizi, prodotti e forniture): il green public procurement è qualcosa di cui parliamo da circa 20 anni e ha degli obblighi piuttosto stringenti. Tuttavia, da una ricerca di ForumPA di due anni fa, abbiamo mostrato che solo il 46% delle amministrazioni si sono poste il problema della sostenibilità ambientale nel momento di fare bandi, quindi c’è ancora moltissimo da fare sulla sensibilità ambientale sia a livello di centrali di acquisto sia a livello delle singole amministrazioni. Il terzo punto è quello dell’efficienza energetica che abbiamo nominato prima. Sono pochi gli edifici che si alimentano con i pannelli solari. Accanto la PA green, c’è l’altra faccia che è la pubblica amministrazione come protagonista delle politiche per la transizione ecologica. Pensiamo a quelle rivolte ai cittadini (bonus per l’efficientamento energetico, incentivi per le auto a minori emissioni, le politiche di mobilità cittadina, ecc..): la PA nel suo ruolo chiave per incentivare la transizione ecologica e regolarla deve lavorare a livello di regole nazionali, regionali e comunali, perché la transizione sia giusta. Accanto a questo ci sono ad esempio le comunità energetiche, e quindi tutto quello che può fare la PA per promuovere una diffusione di produzione di energia dove ciascuno può diventare prosumer, produttore e consumatore, in una situazione di reti intelligenti. Non è realizzabile ovunque, ma già adesso ci sono comunità energetiche locali che si stanno muovendo, che però possono funzionare se la mano pubblica le riconosce: sia attraverso delle reti intelligenti che capiscano questo flusso di energia in entrata e in uscita, sia attraverso una legislazione che permetta di remunerare sufficientemente la produzione di energia in proprio. Da questo punto di vista la PA è fondamentale. Peraltro questo modo di produrre e consumare energia ha bisogno a sua volta di educazione e formazione capillare della cittadinanza, che ancora una volta dipende dalla PA. La PA quindi ha due sfide: diventare essa stessa verde e sostenibile e giocare un ruolo chiave nelle politiche per una transizione giusta, quindi per un maggiore giustizia sociale e ambientale.

Mi parlavi di un premio per le amministrazioni green. Ci racconti qualcosa di più?

Da un po’ di anni insieme ad ASviS, organizziamo un premio che si chiama “PA sostenibile”, dove la sostenibilità è considerata dal punto sociale, ambientale ed economica, quindi una PA promotrice degli SDG’s. Il primo anno abbiamo avuto progetti marcatamente legati alla sostenibilità ambientale. Dopo la pandemia e la crisi in Ucraina, si candidano molti progetti sulla non discriminazione, che attengono alla sostenibilità in senso lato, ma non sono legati all’ambiente nello specifico. La mia sensazione è che questa sensibilità iniziale si sia un po’ affievolita. Anche alcune scelte di governo in chiave europea di rallentare gli obiettivi di sostenibilità, in cui la posizione italiana è stata di protezione dell’esistente – il caso delle automobili quello più eclatante – ha contribuito a creare un clima in cui sembra che di questi temi non ci si possa più occupare perché bisogna fare sviluppo. Credo che l’affievolirsi di questa tensione sia percepibile anche a livello internazionale. Vedremo cosa viene fuori da questa COP28.

Come reagiscono i livelli territoriali delle amministrazioni pubbliche alla sfida in corso?

A livello locale ci sono delle differenze gigantesche. In Emilia Romagna rilevo una sensibilità enorme, bene anche in Toscana e in Veneto, mentre in altre regioni ce n’è molto poca. L’impressione è che le regioni meno sviluppate dal punto di vista economico, pensino che questa politica per la transizione ecologica non se la possono permettere. Anche tra i comuni grandi differenze: dal comune di Firenze che sta investendo sul ferro a città come Roma dove c’è pochissimo da questo punto di vista. Questa grande differenza mi sembra che sia il riflesso di una spinta politica forte. Questa sensibilità, sul fatto che la transizione ecologica e la lotta alle disuguaglianze siano le due cose su cui è più importante investire, non la vedo a livello nazionale, né regionale né comunale, se non in importanti e significative belle eccezioni che però rimangono tali. Bisogna fare tanta formazione e sensibilizzazione, ma bisogna anche che la politica abbia le idee chiare su cosa vuole fare. Se con la mano sinistra dice “facciamo l’efficientamento energetico” ma con la mano destra dice “non devo toccare nulla dello status quo industriale” le due cose non vanno d’accordo e la pubblica amministrazione non fa nulla: il non fare della PA è molto spesso figlio di una politica incerta o schizofrenica.

fonte: https://www.forumdisuguaglianzediversita.org/pubblica-amministrazione-e-transizione-ecologica-a-che-punto-siamo-intervista-a-carlo-mochi-sismondi/

Carlo Mochi Sismondi è Presidente di ForumPA -FPA

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