Caro Marco Tarquinio*, è stata appena completata una ricognizione degli ambulatori solidali nelle Marche: 8 centri che da anni erogano sul territorio centinaia di prestazioni sanitarie gratuite (visite mediche generalistiche e specialistiche, diagnostica strumentale, prestazioni infermieristiche, distribuzione farmaci) a chiunque ne abbia necessità utilizzando professionisti che operano senza alcun compenso. Una realtà consolidata sul territorio nazionale con numeri eclatanti: il Poliambulatorio dell’Opera San Francesco di Milano, dove operano circa 230 sanitari, ha dichiarato nel 2022 oltre 27.000 visite mediche (circa 120 al giorno). A Roma, Salvatore Geraci responsabile del Poliambulatorio Caritas – alla Stazione Termini – ha registrato 9.500 prestazioni sanitarie solamente nel 2022. Una situazione quanto mai inquietante: sino a pochi anni fa nessuno si sarebbe immaginato di vedere in Italia progetti di questo tipo, caratteristici dei Paesi in via di sviluppo dove la sanità pubblica è fatiscente o peggio inesistente.
L’analisi di fondo di questo fenomeno – un inderogabile bisogno di salute da parte dei meno abbienti – non può prescindere dalla constatazione dell’enorme arretramento dello Stato nella gestione del Welfare e in particolare della quota destinata alla salute. Le prestazioni fornite dal Sistema sanitario nazionale (Ssn) si sono gradualmente ridotte – in particolare nel settore della diagnostica ambulatoriale – sino a creare enormi varchi che sono stati colmati da soggetti privati con prestazioni a pagamento (il cosiddetto out of pocket) a carico dei pazienti-utenti.
Negli ultimi anni la spesa per la salute dello Stato è cresciuta meno dell’inflazione – cioè è decresciuta – ed è fra le più basse fra i Paesi Ocse con un 6,1% del Pil previsto per il 2025. Di contro l’esborso dei cittadini è cresciuto molto rapidamente con un dato Istat di 36,6 miliardi nel 2021 a carico delle famiglie pari al 21,8% della spesa sanitaria complessiva (168 miliardi). Ma già nel 2017, in epoca pre-pandemia, il rapporto Oasi dell’Istituto Cergas Bocconi aveva sottolineato come il 7,9% degli italiani (circa 5 milioni di persone) era sotto-trattato perché la prestazione sanitaria di cui aveva necessità era troppo costosa, veniva erogata troppo lontano o il tempo di attesa era troppo lungo. Questo ha prodotto nella società civile un diffuso atteggiamento di scoramento spingendo il cittadino verso prestazioni a pagamento – all’interno o all’esterno delle strutture pubbliche – perché più efficienti e con minori tempi di attesa.
Da queste amare evidenze è scaturito il proliferare degli ambulatori solidali che, se da un lato possono essere considerati una meritoria iniziativa del volontariato, in realtà configurano una vera e propria sconfitta dello Stato. D’altra parte non è neanche possibile pensare che gli ambulatori solidali possano essere la soluzione strutturale del problema: il ruolo del Terzo settore è di supporto e non di supplenza dell’azione pubblica.
È necessario progettualizzare una soluzione organica che solo il Ssn può assicurare con una ricaduta globale sulle politiche territoriali e non con singoli spot a valenza locale.
E il cerchio si chiude se diamo un’occhiata al futuro: è indiscutibile che, se l’attuale trend non si invertirà, gli ambulatori solidali rischiano di diventare l’unica opportunità di cura per i meno abbienti. Lo scenario che ci aspetta sarà, insomma, costituito da una sanità a più velocità. Una per i ricchi, per chi può pagare, con ospedali gestiti dai privati, dalle assicurazioni, con grandi strutture e tecnologie avanzate con sanitari motivati e ben pagati. In alternativa ci sarà una sanità pubblica con personale sottopagato, che non avrà le capacità economiche e le risorse tecnologiche per sostenere le cure della popolazione; a questa verranno affidati i pazienti più difficili e “dispendiosi”, i cronici che nessuno vuole trattare, i malati oncologici, i terminali. Infine, malinconicamente, le strutture per i poveri.
Per bloccare questa deriva le istituzioni devono essere pressate in modo incisivo ben oltre il contributo che possono dare gli addetti ai lavori che spesso è inefficace o considerato di maniera. Per questo si devono incrementare la consapevolezza e la coscienza dei cittadini con progetti divulgativi soprattutto per i più giovani come quello della Fondazione Gimbe – “La salute tiene banco” – per la scuola. È il momento – prima che sia troppo tardi – di riappropriarci della nostra salute intesa come bene ineludibile per tutti se non vogliamo che gli ambulatori solidali divengano tristemente lo standard of care della salute per i poveri in Italia.
*Marco Tarquinio è il Direttore de L’Avvenire
L’articolo è stato pubblicato su “L’Avvenire” con il titolo “Dialogo con Marco Tarquinio. Benedetti gli Ambulatori solidali. Ma sono anche sconfitta” –