Azione per il clima: i piani vanno piano. di Riccardo Lo Bue

Secondo l’ultimo report UNFCCC, pubblicato il 14 novembre, i piani nazionali di azione per il clima rimangono insufficienti per limitare l’aumento della temperatura globale a 1,5 gradi Celsius e raggiungere gli obiettivi dell’accordo di Parigi.

Nonostante i maggiori sforzi da parte di alcuni paesi, il rapporto mostra che ora sono necessarie molte più azioni per piegare ulteriormente la traiettoria delle emissioni mondiali. Gli ultimi dati del Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite indicano che le emissioni di gas serra devono essere ridotte del 43% entro il 2030, rispetto ai livelli del 2019. Ciò è fondamentale per limitare l’aumento della temperatura a 1,5 gradi Celsius entro la fine di questo secolo ed evitare gli impatti peggiori del cambiamento climatico, tra cui siccità, ondate di caldo e precipitazioni più frequenti e intense.

Il report ha analizzato i Nationally Determined Contributions (NDC), i piani nazionali non vincolanti di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra, di 195 Paesi che hanno aderito all’accordo di Parigi, rilevando che, sebbene le emissioni non aumenteranno più dopo il 2030, non stanno ancora dimostrando la rapida tendenza al ribasso che sarebbe necessaria in questo decennio. Inoltre, anche se venissero rispettati tutti gli impegni attualmente presi, le emissioni di gas serra aumenterebbero comunque di circa l’8,8% rispetto ai livelli del 2010. Si tratta di un miglioramento marginale rispetto alla valutazione dello scorso anno, secondo il quale i paesi stavano aumentando le emissioni del 10,6% entro il 2030 rispetto sempre al 2010.

piani nazionali di azione per il clima - Intervallo previsto e progressione dei livelli di emissione in base ai contributi determinati a livello nazionale.

Figura 1 Intervallo previsto e progressione dei livelli di emissione in base ai contributi determinati a livello nazionale. Si stima che le emissioni globali totali di gas serra (senza LULUCF), tenendo conto dell’attuazione degli ultimi NDC, siano circa 53,2 Gt CO2 eq nel 2025 e 51,6 Gt CO2 eq nel 2030. Fonte Nationally determined contributions under the Paris Agreement UNFCCC.

Per raggiungere il picco delle emissioni prima del 2030, afferma il rapporto, è necessario implementare gli elementi condizionali degli NDC, che dipendono principalmente dall’accesso a maggiori risorse finanziarie, dal trasferimento di tecnologia, dalla cooperazione tecnica e dalla disponibilità di meccanismi basati sul mercato.

piani nazionali di azione per il clima - Emissioni globali totali storiche e previste in base ai contributi determinati a livello nazionale

Figura 2 Fonte Nationally determined contributions under the Paris Agreement UNFCCC.

Le stime sull’aumento delle temperature medie globali previste per la fine del secolo sono soggette a una notevole incertezza a causa dei dubbi sui livelli di attuazione degli NDC; si va da un aumento 2,1 e 2,3 °C, se si attuano integralmente gli NDC inclusi gli elementi condizionali, a 2,4-2,8°C se non si implementa nessuno degli elementi condizionali. Dunque, anche con la piena attuazione degli attuali NDC si andrebbe ben al di sopra dell’1,5°C, massimo 2°C, previsti dall’accordo di Parigi.

Il budget carbonico disponibile, ovvero la quantità massima di CO2 che può essere ancora emessa mantenendo comunque l’incremento della temperatura entra gli 1,5°C, è attualmente stimato in 500 Gt di CO2. Sulla base degli ultimi NDC le emissioni cumulative di CO2 previste per il decennio 2020-2030 utilizzerebbero probabilmente l’87% del budget di carbonio, lasciando un budget di carbonio post-2030 di circa 70 Gt di CO2, che equivale a circa due anni di emissioni globali totali di CO2.

Allo stesso modo, nello scenario in cui si vuole mantenere il riscaldamento al di sotto dei 2°C, il budget carbonico a disposizione dal 2020 in poi è stimato in 1.150 Gt di CO2. Le emissioni cumulative di CO2 nel 2020-2030 sulla base degli ultimi NDC utilizzerebbero probabilmente circa il 38% del budget carbonico.

Il report UNFCCC è solo il più recente di una serie di report pubblicati negli ultimi mesi che fotografano un generale rallentamento sia sul fronte dei piani nazionali per l’energia e il clima europei sia per i piani per l’adattamento climatico dei paesi in via di sviluppo.

Secondo l’analisi dell’organizzazione ambientalista no-profit Clean Air Task Force, pubblicato a settembre, i piani nazionali per l’energia e il clima (PNEC) elaborati dagli Stati membri dell’UE nel 2019 sono obsoleti, mancano di dettagli chiave e non sono in linea con strategie a lungo termine. Anche la Corte dei conti europea e la Commissione europea hanno riscontrato che i PNEC del 2019 non ha fornito sufficiente chiarezza, coerenza e dettaglio in termini di politiche e investimenti e non erano abbastanza ambiziosi per facilitare la neutralità climatica. La Corte dei conti europea è tornata a ribadire il concetto anche recentemente; se infatti gli obiettivi climatici ed energetici fissati per il 2020 sono stati raggiunti, per quanto riguarda il 2030 parla di “poche indicazioni sul fatto che le azioni per raggiungere gli obiettivi climatici ed energetici del 2030 saranno sufficienti”.

Obiettivi emissioni 2020 raggiunti anche grazie a fattori esterni

Il 18 ottobre 2022 la Commissione ha comunicato che l’UE aveva raggiunto i tre obiettivi per il 2020 in materia di energia e di clima. Tuttavia, una parte del rapporto della Corte dei conti europea analizza le cause che hanno permesso il raggiungimento di tali obiettivi, evidenziando come questi siano stati raggiunti anche “grazie” alla delocalizzazione delle industrie con elevati livelli di emissioni di gas serra al di fuori dell’UE al fine di evitare proprio le stringenti normative europee sul clima. La contabilizzazione delle emissioni di gas a effetto serra dell’UE, infatti, non includeva le emissioni risultanti dagli scambi commerciali, prodotte dalla rilocalizzazione delle emissioni di carbonio, che, se incluse, si stima avrebbero comportato un aumento di circa l’8 %, e del trasporto aereo e marittimo internazionale, con un amento delle emissioni rispettivamente 3,4% e 3,6%. Inoltre, la Corte evidenzia come il “successo” del 2020 era in parte ascrivibile anche al contributo di fattori esterni, come la crisi economica del 2009 e la pandemia del 2020. La Commissione europea non ha esaminato in che misura questi fattori abbiano contribuito al raggiungimento degli obiettivi.

piani nazionali di azione per il clima - Evoluzione delle emissioni di gas a effetto serra prodotte dai settori dell’UE rientranti nell’ETS e dai settori che non vi rientrano

Figura 3 Evoluzione delle emissioni di gas a effetto serra prodotte dai settori dell’UE rientranti nell’ETS e dai settori che non vi rientrano. Fonte: Obiettivi dell’UE in materia di energia e di clima Corte dei conti europea

Un altro punto messo in luce dalla Corte riguarda gli investimenti: l’UE si è impegnata a destinare all’azione per il clima almeno il 20% della dotazione del bilancio 2014-2020 e almeno il 30% per il bilancio 2021-2027, ossia circa 87 miliardi di euro all’anno. Tale importo equivale a meno del 10% degli investimenti totali necessari per raggiungere gli obiettivi per il 2030, stimati approssimativamente a 1000 miliardi di euro all’anno. La parte restante degli investimenti dovrebbe provenire da fondi privati e nazionali.

Tuttavia, la Commissione dispone solo di una panoramica parziale delle azioni che si sono rivelate efficaci per il raggiungimento degli obiettivi per il 2020. Essa ha individuato i settori che hanno prodotto risultati positivi, ossia quelli che rientravano nel sistema di scambio di quote di emissione, il cosiddetto emissions trading system (ETS) dell’UE, ma non dispone di informazioni sui costi e sugli effetti delle azioni. Non dispone nemmeno di dati sui costi che il conseguimento di tali obiettivi dell’UE comporta per il bilancio dell’UE, i bilanci nazionali e il settore privato. Neanche i Piani nazionali per l’energia e il clima (PNEC) forniscono dati sul fabbisogno di investimenti e sulle fonti di finanziamento, che consentano di valutare se tali piani costituiscano una base valida per conseguire gli obiettivi per il 2030.

Revisione dei PNEC 2024: una nuova opportunità

Dato il riassetto del sistema energetico, causato dal mutamento dello scenario geopolitico, e gli obiettivi climatici sempre più ambiziosi che si è data l’Europa, l’UE richiede agli Stati membri di aggiornare i propri PNEC entro giugno 2024, con le bozze iniziali che erano previste per giugno 2023.

A ottobre 2023, tre mesi dopo la scadenza di giugno, ne mancano ancora 11: quelli di Germania, Francia, Polonia, Austria, Belgio, Bulgaria, Repubblica Ceca, Irlanda, Grecia, Lettonia e Romania. Delle 16 bozze di PNEC inviate, secondo il gruppo no-profit Coalition for Energy Savings, nessuno è pienamente conforme alla direttiva aggiornata sull’efficienza energetica. Solo quattro paesi, Italia, Lituania, Lussemburgo e Spagna, hanno piani che sono quasi in linea con i requisiti della direttiva aggiornata; mentre, Danimarca, Finlandia, Paesi Bassi e Svezia, non riflettono affatto i requisiti della direttiva nei loro piani.

Clean Air Task Force, nel suo report, evidenzia come i paesi europei debbano colmare il vasto “gap di pianificazione” tra i loro obiettivi climatici e i piani d’azione. Per farlo devono sfruttare la finestra di revisione del PNEC 2023-2024, un’occasione per allineare piani e azioni con le politiche industriali ed economiche europee aggiornate e gli obiettivi di sicurezza energetica.

Al di là di questa revisione, sostiene il report, è necessario riformare la governance europea dell’energia, attualmente affidata alla cooperazione volontaria tra gli Stati membri. Ciò rappresenta un grave limite all’efficacia delle sue politiche. Secondo l’organizzazione occorre andare verso un modello di governance “più solido, responsabile e coordinato” per raggiungere gli impegni dell’UE in materia di clima ed energia.

Il rapporto invita gli Stati membri a utilizzare i loro piani d’azione per sostenere una gamma più ampia di tecnologie pulite, inviare segnali più chiari agli investitori su dove investire e pianificare infrastrutture transfrontaliere come elettrodotti e gasdotti per l’idrogeno.

Richiede inoltre una maggiore attenzione alla risoluzione di problemi pratici come la formazione di un numero sufficiente di lavoratori e la semplificazione dell’ottenimento dei permessi per progetti di energia pulita. Infine, invita i governi a “unire i punti” oltre il 2030, al 2040 e al 2050, e a monitorare meglio i progressi per raggiungere gli obiettivi prefissati. L’UE non ha ancora fissato un obiettivo per l’inquinamento da gas serra nel 2040, ma prevede di farlo prima delle elezioni del maggio 2024.

L’obiettivo intermedio del 2040

Con l’adozione della Legge europea sul clima nel 2021, l’UE si è impegnata giuridicamente ad azzerare le emissioni nette entro il 2050 e a puntare a raggiungere successivamente emissioni negative, nel perseguimento dell’obiettivo stabilito nell’accordo di Parigi, ossia mantenere il riscaldamento globale ben al di sotto dei 2°C, cercando di limitarlo a 1,5°C. La legge fissa, inoltre, l’obiettivo intermedio di ridurre le emissioni nette di gas serra di almeno il 55% entro il 2030 rispetto ai livelli di emissione del 1990.

Per il periodo tra il 2030 e il 2050, la Legge europea sul clima impone all’UE di stabilire un obiettivo fondamentale per il 2040 per guidare la transizione verso un’economia climaticamente neutra e dà mandato alla Commissione europea di proporre questo obiettivo intermedio per il 2040 nella prima metà del 2024. La proposta terrà conto dei contributi provenienti dal Comitato scientifico consultivo europeo sui cambiamenti climatici, istituito per fungere da punto di riferimento per l’UE sulle conoscenze scientifiche relative ai cambiamenti climatici.

Il Comitato consultivo ha raccolto e analizzato oltre 1.000 scenari di emissione dell’UE e ne ha identificato tra questi 36 che:

  • sono coerenti con l’obiettivo di limitare del riscaldamento globale a 1,5°C senza alcun superamento o con un superamento limitato;
  • sono coerenti con gli obiettivi di riduzione delle emissioni dell’UE per il 2030 e il 2050;
  • non presentano dubbi per quanto riguarda la loro fattibilità.

Dall’analisi di questi scenari è emerso che l’UE può ridurre le proprie emissioni di almeno l’88% e fino al 92%, pari a 16-14 Gt di CO2 equivalente per il periodo 2030-2050, tenendo conto dei rischi ambientali e delle sfide legate ai progressi tecnologici. Inoltre, sempre secondo il Comitato, è possibile ottenere riduzioni fino al 95%, pari ad altri 11 Gt CO2 equivalente per il periodo 2030-2050, se si riescono a superare le sfide legate alla maturazione delle tecnologie delle energie rinnovabili.

Gli obiettivi per la riduzione delle emissioni di gas serra dell’UE post-2030 devono tenere in considerazione anche della situazione politica, sociale ed economica oltre che dell’equità e della condivisione degli sforzi internazionali. Tenendo conto di tutti questi fattori, il Comitato consultivo raccomanda di mantenere le emissioni di gas serra dell’UE al di sotto di 11-14 Gt CO2 tra il 2030 e il 2050 e di ridurre le emissioni di gas serra dell’UE del 90-95% entro il 2040, rispetto al 1990.

Per illustrare le diverse strategie che l’UE potrebbe intraprendere per raggiungere tale obiettivo, il comitato consultivo ha selezionato tre “percorsi iconici” dai 36 scenari analizzati. I tre percorsi hanno caratteristiche chiave diverse:

  1. Il percorso focalizzato sulla domanda (linea gialla nella figura sotto) che si concentra su stili di vita a minore consumo di risorse è, fra i tre percorsi, quello che presenta la domanda di energia finale più bassa entro il 2040;
  2. Il percorso che è caratterizzato da una diffusione relativamente elevata di energia rinnovabile (linea rossa nella figura sotto), tra i tre percorsi, è quello che nel 2040 avrà la quota più elevata di elettricità prodotta da fonti rinnovabili non derivante da biomassa.
  3. Il percorso con opzioni mixate (linea blu nella figura sotto) presenta un maggiore dispiegamento dei sistemi di rimozione di carbonio, un aumento del contributo dell’energia nucleare rispetto agli altri percorsi e le emissioni nette più basse tra i tre percorsi nel periodo 2030-2050.

piani nazionali di azione per il clima - Range raccomandato di riduzioni delle emissioni di gas serra entro il 2040 rispetto al 1990 e percorsi iconici che illustrano possibili strategie per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050

Figura 4 L’analisi dei tre “percorsi iconici” evidenzia che l’azione per il clima può contribuire a molteplici miglioramenti della salute e della protezione ambientale e che può anche comportare alcuni compromessi in questi stessi ambiti. Fonte: European Scientific Advisory Board on Climate Change

Un aspetto importante che emerge dall’analisi è che gli scenari focalizzati sulla riduzione della domanda e su un minor sfruttamento delle risorse, insieme agli scenari che fanno ampio uso delle energie rinnovabili, hanno maggiori possibilità di massimizzare i benefici, in particolare legati alla salute e all’accessibilità economica dell’energia, attraverso la loro attenzione all’efficienza energetica. Allo stesso tempo, utilizzando meno i sistemi di cattura e stoccaggio del carbonio ed energia nucleare, questi scenari riducono alcuni compromessi legati ai rischi ambientali.

Il Comitato conclude che l’implementazione di questi scenari ridurrebbe i futuri rischi climatici, riducendo così sia i futuri costi necessari per gli eventuali danni provocati dai cambiamenti climatici, sia i costi per l’adattamento.

Anche sul fronte dell’adattamento si registrano rallentamenti

Come spiega l’Adaptation Gap Report 2023 del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP), nonostante i chiari segnali di accelerazione dei rischi e degli impatti climatici in tutto il mondo, il divario finanziario fra gli investimenti necessari per l’adattamento nei paesi in via di sviluppo e i flussi finanziari internazionali necessari per affrontare tali esigenze si sta ampliando e ora si attesta tra 194 e 366 miliardi di dollari all’anno. Il fabbisogno di finanziamenti per l’adattamento nei paesi in via di sviluppo è da 10 a 18 volte superiore agli attuali finanziamenti pubblici internazionali, almeno il 50% in più rispetto a quanto precedentemente stimato.

Anche raggiungendo l’obiettivo di raddoppiare i finanziamenti per l’adattamento entro il 2025 il divario si ridurrebbe solo tra il 5% e il 10%.

Ciononostante, osserva il rapporto, maggiori finanziamenti pubblici internazionali per l’adattamento potrebbero comunque ridurre efficacemente i rischi climatici e offrire elevati benefici. Ad esempio, gli studi indicano che 16 miliardi di dollari investiti in agricoltura ogni anno eviterebbero che circa 78 milioni di persone muoiano di fame o di fame cronica a causa degli impatti dei cambiamenti climatici. Allo stesso modo, ogni miliardo di dollari investito nell’adattamento contro le inondazioni costiere porta a una riduzione dei danni economici di 14 miliardi di dollari.

Il rapporto fornisce inoltre aggiornamenti sulla pianificazione e attuazione dell’adattamento e conclude che i progressi globali sull’adattamento stanno rallentando anziché mostrare l’accelerazione urgentemente necessaria.

fonte: https://www.scienzainrete.it/articolo/azione-clima-piani-vanno-piano/riccardo-lo-bue/2023-11-22


Nato a Palermo, Riccardo Lo Bue si laurea con lode in Scienze Biologiche. Contestualmente alla formazione scientifica matura una pluriennale esperienza in vari ambiti della comunicazione digital, collaborando con web agency, magazine online e web radio. Nel 2018 ha pubblicato “Tutte le facce di Facebook”, un saggio umoristico che racconta aneddoti e statistiche su come Facebook ha influenzato la cultura e il costume. Nel 2021 si è iscritto al Master in Comunicazione della Scienza e dell’Innovazione Sostenibile (MaCSIS) dell’Università Bicocca di Milano.

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