Nel marzo 2023 è entrata in vigore la Legge delega n.33/2023 che dovrebbe trasformare in profondità il sistema dei servizi sanitari e sociali per la non-autosufficienza. Tutto questo sforzo potrebbe rivelarsi una “rivoluzione” ma anche una “deflagrazione” di promesse non mantenute. E alla fine prevarranno gli interessi degli erogatori (es: i gestori delle RSA) a scapito dei diritti dei più deboli?
Il diritto alla salute è un “diritto individuale e sociale”, delle persone e della socialità. È una doppia chiave di lettura che attraversa il testo costituzionale in costante dialogo tra diritti e doveri e il “diritto di avere doveri”. Ma non vale per gli ultimi anni della vita, quando le cure necessarie sono in buona parte affidate alle capacità personali e familiari di comprarle. Nell’immaginario collettivo prevale un pensiero diverso, che la spesa pubblica per LTC (Long-Term Care – le cure di lungo periodo) sia eccessiva e che nel tempo diventerà insostenibile. È proprio così?
I dati 2020 ci offrono un quadro affidabile delle risorse pubbliche destinate alla non autosufficienza, prima della pandemia. Sono considerevoli e sostenibili, cioè circa 26,6 i miliardi di euro, composti dalla spesa sanitaria e dalla spesa per assistenza sociale per le persone ultra 65enni non autosufficienti. All’interno di questa spesa c’è una differenza sostanziale. Mentre le risorse sanitarie vengono trasformate in servizi (9,1 miliardi), la spesa per assistenza sociale (10,7 miliardi) è erogata con indennità di accompagnamento (a queste due voci si aggiunge qualche miliardo per altri servizi). Mentre cioè la spesa sanitaria remunera lavoro di cura, quella socioassistenziale è erogata in forma di trasferimenti monetari, con il risultato che le cure domiciliari raggiungono nel territorio italiano solo 400.000 persone.
Il target PNRR è molto più ambizioso, aiutare a casa 1.400.000 persone entro il 2027. Se sarà così, dopo il 2027 saremo in grado di raggiungere altrettanti ultra65enni senza i fondi del Pnrr? La risposta non riguarda, purtroppo, un target ancora più grande, perché le persone ultra75enni non autosufficienti in Italia sono circa 2.400.000, a cui vanno aggiunti i 65-74enni affetti da questi problemi. Chi immagina una crescita insostenibile della spesa per LTC pensa di avere buone ragioni, ma non conosce o non considera le previsioni della RGS (Ragioneria Generale dello Stato). Prevedono un incremento dall’1,9% del PIL attuale per LTC che nel 2070 raggiungerà il 2,6% del PIL, con un aumento distribuito in modo progressivo ed equilibrato nell’intero periodo di previsione. La RGS non descrive cioè uno scenario apocalittico ma governabile per due ragioni.
La prima: se gli assistiti a domicilio, con l’aiuto del PNRR, saranno un milione entro il 2027, servirà un aumento proporzionale di occupati di welfare per portare a casa tutto l’aiuto necessario. Dovrà cioè esserci una crescita significativa di lavoro e di lavoratrici che incrementeranno la capacità di cura, le entrate fiscali e quelle contributive. In Italia gli occupati in sanità pubblica e privata ogni 1000 abitanti sono 21,8 mentre in Germania sono 36,8, in Austria 32,6, in Francia 29,0, in Spagna 23,4 (Fondazione Zancan su dati Eurostat e Oms). Sono indici che descrivono il deficit occupazionale e le potenzialità che abbiamo disposizione.
La seconda ragione: i dati RGS non tengono conto della spesa privata, perché rendicontano il volume di spesa pubblica. La spesa privata, in nero e in chiaro, remunera anch’essa lavoro di cura, perché è una componente strutturale del sistema lavorativo per la non autosufficienza. Nel 2019, la spesa privata complessiva era stimata in 8 miliardi di euro: 3,8 miliardi per lavoro regolare e 4,2 per lavoro irregolare (osservatorio Domina). Le stime della Fondazione Zancan dicevano che il campo di variazione poteva raggiungere i 12 miliardi di spesa privata (regolare il 45% e irregolare il 55%).
È una buona o una cattiva notizia? La vera notizia è un’altra: il volume di risorse è considerevole, ma merita incentivazioni fiscali visto che crea lavoro. Va infatti evitata la doppia tassazione per chi paga le tasse per finanziare il diritto alla salute e paga le tasse sul lavoro di cura regolare, sostitutivo dei Lea/Leps non garantiti dalle istituzioni. La cattiva notizia è che durante la pandemia, soprattutto le persone anziane non autosufficienti hanno pagato con la vita l’incapacità del nostro welfare di garantire protezioni necessarie per tutelare il loro diritto alla vita. Anche per questo, la minor spesa previdenziale dopo quelle morti, stimata in circa 1 miliardo, avrebbe dovuto essere destinata al potenziamento delle cure domiciliari, per dare un forte segnale politico e simbolico alle persone anziane. Ma le narrazioni catastrofiste sulla non autosufficienza hanno continuato a prefigurare la progressiva recessione di welfare “causata dai più deboli”, che destabilizzerebbero la sostenibilità e la fiducia nel nostro welfare, costruita con tanti anni di investimenti in salute pubblica, assecondando di fatto l’istituzionalizzazione delle persone anziane.
Per contrastare questo andamento, a fine marzo 2023, è entrata in vigore la legge delega n. 33/2023. L’ha descritta così la Ministra del lavoro e delle Politiche Sociali, Marina Calderone: “All’interno della cornice della legge delega vogliamo costruire un diverso approccio alla terza età, promuovendo dignità e autonomia delle persone anziane attraverso una nuova governance dei servizi e degli strumenti a disposizione. In un Paese che invecchia è necessario delineare modi per un tempo di vita di qualità, anche in condizioni di non autosufficienza. Non solo per gli anziani; ne beneficeranno anche le famiglie e il personale chiamato ad assisterli“.
In questi mesi il dibattito per realizzare il passaggio ai decreti attuativi non è stato trasparente. Le intenzioni sono molte: promuovere il valore umano, sociale, culturale, economico del curare e prendersi cura, promuovere la partecipazione e la solidarietà delle persone anziane nell’associazionismo e nelle famiglie, promuovere il contrasto della (Ambito Territoriale Sociale) e della deprivazione relazionale, promuovere il diritto alle cure a domicilio, garantire valutazioni multidimensionali nel continuum dei servizi, tutelare i diritti delle persone con pregresse disabilità, garantire l’interoperabilità tra sistemi informativi. Tutto questo sforzo potrebbe rivelarsi una “rivoluzione” ma anche una “deflagrazione” di promesse non mantenute.
Le promesse sono prefigurate nelle tre deleghe:
- delega al Governo in materia di invecchiamento attivo, promozione dell’inclusione sociale e prevenzione della fragilità (art. 3);
- delega al Governo in materia di assistenza sociale, sanitaria e sociosanitaria per le persone anziane non autosufficienti (art. 4);
- delega al Governo in materia di politiche per la sostenibilità economica e la flessibilità dei servizi di cura e assistenza a lungo termine per le persone anziane non autosufficienti (art. 5).
Se consideriamo le deleghe descritte negli articoli 4 e 5, i problemi da affrontare sono molto impegnativi: la definizione di popolazione anziana non Autosufficiente, la definizione del SNAA (sistema nazionale per la popolazione anziana non autosufficiente), le modalità di programmazione, valutazione e monitoraggio, l’adeguatezza dei Lea e dei Leps, lo sviluppo degli Ats (Ambito territoriale sociale) integrati con i Distretti, la valutazione multidimensionale, il budget di cura e assistenza, la semplificazione dell’ accesso, la revisione dei criteri di autorizzazione e accreditamento dei soggetti erogatori pubblici e privati, la portabilità dei diritti delle persone con pregresse disabilità, la “prestazione universale” che potrebbe sostituire l’indennità di accompagnamento, il fondo relativo, il riordino delle agevolazioni contributive per regolarizzare il lavoro di cura a domicilio, la formazione del personale addetto all’assistenza, le sue tutele previdenziali, la formazione dei caregiver familiari, il sostegno psicologico e la loro partecipazione alle scelte di cura.
È un insieme di traguardi che può essere sintetizzato con l’espressione “Facciamo tutto nuovo”. Non è la prima volta che nel nostro Paese si pensa così, per poi ammettere che i cambiamenti per decreto possono rivelarsi la tomba delle innovazioni necessarie. Infatti, le “decretazioni” senza collaudi preventivi sono ad alto rischio di “naufragazioni”. Il perché è spiegato dalla Costituzione quando parla di sussidiarietà. Il rapporto tra sussidiarietà e non autosufficienza ha una lunga storia, soprattutto quando è stato socialmente necessario prefigurare soluzioni lavorative per aiutare ad aiutarsi.
Nel 2021 i lavoratori domestici registrati (comprensivi delle collaboratrici domestiche che non effettuano lavoro di cura agli anziani) erano circa 961.358, di cui 451.371 per lavoro di cura (47% circa). Di queste, 410.476 erano donne (91% circa). Nelle stime Istat la percentuale di irregolarità era del 57%, pari a circa 548.000 persone. Applicando la medesima percentuale dei regolari, circa 257.600 sarebbero persone impegnate in lavori di cura (47%). Quelle non regolari, pari a 234.500, sarebbero donne (91%). Sono dati che misurano quanto gli aventi diritto a cure domiciliari sono costretti a comprare tutte quelle non garantite dai Lea/Leps. È anche una misura di quanto gli aventi diritto sono disposti a pagare per integrare lo scarso aiuto istituzionale con capacità personali e familiari. Conoscono bene la differenza tra prestazioni e soluzioni. Le prime sono farraginose e costose, le seconde sono gestioni “in concorso al risultato”, cioè componendo le capacità, le risorse e gli esiti di salute, contrastando l’istituzionalizzazione da abbandono residenziale, domiciliare e anche professionale.
I decreti attuativi sapranno interpretare questo salto di paradigma? È una sfida affidata a due culture: quella che ha predisposto la legge (Governo Draghi) e quella che l’approvata (Governo Meloni). Potrà cioè avere interpretazioni da destra e da sinistra, tenendo conto che la Costituzione non prevede discrezionalità nel tutelare i diritti fondamentali. Sarà prioritario bilanciare il potere discrezionale di chi aiuta e i diritti umani di chi è aiutato. Chi aiuta non potrà essere prestazionista, perché gli aiutati gli diranno “Non puoi aiutarmi senza di me, senza le mie capacità, senza le mie risorse”, in sostanza non ce la faremo, se prevarranno gli interessi degli erogatori a scapito dei diritti dei più deboli.
fonte: https://www.saluteinternazionale.info/2023/10/la-non-autosufficienza-sara-una-priorita/
Tiziano Vecchiato, Fondazione Zancan.