Dal Manifesto per la Ricerca Clinica promosso dalla FADOI emergono dati preoccupanti: la ricerca clinica no profit in Italia si è ridotta del 50% negli ultimi cinque anni e il 90% degli investimenti in questo campo sono di provenienza privata. Silvio Garattini rilancia l’allarme sulla grave carenza di fondi pubblici, che azzoppa la ricerca sui farmaci, lasciando scoperti aspetti cruciali che il settore industriale non ha alcun interesse a investigare.
Da una parte, a parole, l’enfasi sull’importanza della ricerca, un tema che, come fa notare il Manifesto per la Ricerca Clinica promosso dalla Società Scientifica di Medicina Interna FADOI ha attratto l’attenzione dei cittadini, oltre che degli addetti ai lavori, anche per l’evoluzione in atto, che tocca diversi aspetti: non solo quello scientifico, ma anche quello tecnologico, metodologico e regolatorio. Dall’altra, dati sulle sperimentazioni cliniche sui medicinali (quindi studi di intervento), che mostrano un preoccupante crollo della ricerca clinica no profit: il report FADOI, basandosi sui dati AIFA rendicontati attraverso l’Osservatorio sulle Sperimentazioni Cliniche, segnala che negli ultimi cinque anni, a fronte di un numero di studi stabile, con un picco nel 2021 probabilmente legato alla pandemia di Covid-19, si osserva una progressiva riduzione degli studi no profit, che hanno lasciato il campo a quelli promossi da entità industriali.
La riduzione se rapportata al decennio 2009-2019 risulta nell’ordine del 50% circa (da 309 a 156 studi) e si è confermata anche nell’ultimo triennio, fino al dato più preoccupante del 2022, che con soli 98 studi no profit è stato l’anno con il numero di studi no profit più basso dal 2000 a oggi.
Una possibile spiegazione, secondo FADOI, potrebbe essere almeno parzialmente legata a difficoltà indotte dalla pandemia e all’entrata in vigore del Regolamento Europeo 536/2014, che ha modificato le modalità di sottomissione degli studi, creando difficoltà che il sistema no profit ha minori risorse per affrontare. In ogni caso, FADOI invita a riflettere su questo dato, e soprattutto a difendere il valore degli studi no profit come elemento essenziale del progresso delle conoscenze, complementare alla ricerca industriale.
La ricerca condotta dalle aziende è il 90% del totale
Allargando il panorama a tutto il campo della ricerca clinica, i dati provenienti dai Comitati etici indicano che il 28,6% delle sperimentazioni interessano l’interventistica sul farmaco. Rispetto alle altre tipologie di studi, le più frequenti sarebbero le ricerche osservazionali non su farmaco (36,9%), mentre gli studi osservazionali su farmaco rappresentano una quota del 12,4% e le sperimentazioni interventistiche sui dispositivi pesano per il 4,8% delle valutazioni dei Comitati Etici (16,1% per “altri studi” e 1,2% per “valutazioni varie”).
Il Manifesto FADOI riporta anche altri dati, più noti, ma non per questo consolanti: come molte volte denunciato, l’Italia investe in ricerca e sviluppo una percentuale del PIL inferiore alla media europea (Scienza in rete ha da poco pubblicato un articolo sul piano Amaldi-Maiani per aumentare gli investimenti in ricerca pubblica), con un gap quantificabile in 11 miliardi di euro mancanti ogni anno, e una quota dedicata al settore “Protezione e promozione della salute” che tradizionalmente è inferiore al 10% degli investimenti totali.
Nello specifico settore della ricerca clinica, il Manifesto FADOI riporta poi dati derivati da Farmindustria e SDA Bocconi che mostrano che almeno il 90% degli investimenti in ricerca sono di provenienza privata, con spese che per le aziende Pharma ammontano a circa 750 milioni di euro all’anno. Salvare la ricerca no profit e incrementare la ricerca pubblica rappresenta quindi un’urgenza, che non può essere sottovalutata.
Si tratta di un argomento per cui Silvio Garattini, fondatore e presidente dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri, ha sempre combattuto, sottolineando come il ruolo della ricerca no profit, indipendente e scollegata dalle case farmaceutiche, sia di fondamentale importanza nella ricerca clinica sui farmaci.
«Stanno sparendo gli studi clinici indipendenti»
«Quanto denunciato nel Manifesto della FADOI è un problema grave e reale», commenta Garattini. «Stiamo abbandonando ormai completamente gli studi clinici indipendenti, la sperimentazione sul farmaco è fatta sostanzialmente dall’industria. Questo è legittimo, ma ovviamente la ricerca clinica condotta dalle aziende tende a mettere in maggiore evidenza i benefìci dei prodotti. La legislazione oggi è sbilanciata a favore dell’industria farmaceutica e consente di immettere un nuovo farmaco sul mercato senza fare un confronto con i farmaci già esistenti, ma soltanto con il placebo. Non sarà mai nell’interesse dell’industria fare confronti tra i farmaci esistenti con la stessa indicazione terapeutica. Oggi la legislazione europea prescrive che per approvare un farmaco si debba dimostrare che abbia qualità, efficacia e sicurezza, ma non richiede che dimostri di avere un valore terapeutico aggiunto rispetto ai farmaci con la medesima indicazione già presenti sul mercato. In assenza di ricerca clinica indipendente, questi dati restano sconosciuti: abbiamo sul mercato una molteplicità di farmaci con le stesse indicazioni, senza sapere che differenze abbiano».
Silvio Garattini ha sempre lavorato per sostenere la ricerca no profit e ricorda quando riuscì a far approvare una legge (l. 326/2003) per cui il 5% delle spese in promozione ai medici dell’industria farmaceutica fu destinato a un fondo comune destinato alla ricerca clinica indipendente. «Per qualche anno questo fruttò circa 30 milioni all’anno, e sostenne in effetti ricerche cliniche indipendenti: poi progressivamente questi fondi sono stati destinati ad altro e la ricerca indipendente non è stata più sostenuta, fino ad assottigliarsi e quasi rischiare di sparire».
Come sottolinea il professore, le caratteristiche delle ricerca clinica no profit sul farmaco sono importanti perché legate ad aspetti che la ricerca sostenuta dall’industria farmaceutica non considera: «In primo luogo, la ricerca clinica indipendente si occupa delle differenze tra farmaci, il che potrebbe portare a eliminare farmaci che non presentano vantaggi dall’elenco di quelli rimborsati dal Servizio sanitario, realizzando così una riduzione della spesa pubblica per farmaci, che invece oggi aumenta ogni anno; ma ci sono altri tipi di ricerca indipendente che sono necessari e di cui l’industria non si occupa. Un campo importantissimo è quello dell’eccesso di prescrizioni negli anziani, che arrivano ad assumere 15 farmaci senza che sia mai stato dimostrato che siano realmente utili. In questo campo la ricerca è urgente, per studiare e ridurre questo eccesso di prescrizioni. Un altro campo importante è quello dei differenti effetti dei farmaci tra uomini e donne: le donne oggi ricevono farmaci studiati prevalentemente sugli uomini, ci dovrebbero essere protocolli separati. Manca la ricerca pubblica, per assoluta insufficienza di fondi. Bisognerebbe investire in ricerca pubblica l’1 per cento della spesa annuale totale del Servizio sanitario nazionale per farmaci: e questo alla fine porterebbe a risparmi legati a un uso più razionale dei medicinali».
La ricerca non è soltanto una spesa
Anche il Manifesto FADOI sottolinea che la ricerca in termini economici è quasi sempre assimilata al concetto di spesa, mentre non si considera il suo valore come motore di sviluppo sociale ed economico. Recenti studi indicano che ogni euro investito in sperimentazione clinica dell’industria genera tra 1,95 e 2,50 euro di valore aggiunto per l’economia nel complesso e che l’attività di ricerca clinica conduce un effetto positivo in termini occupazionali, con l’impegno di profili professionali ad elevata specializzazione e un effetto leva occupazionale stimato a 1,66.
Inoltre un elemento fino a qualche anno fa non molto noto riguarda gli averted cost, cioè i costi evitati dal Servizio sanitario nazionale in quanto coperti dalle industrie che promuovono le sperimentazioni cliniche, in particolare i costi per il farmaco e per indagini diagnostiche. Una stima del 2022 riporta che per ogni euro investito ed erogato dalle aziende sponsor per le sperimentazioni cliniche il Servizio sanitario realizza un vantaggio complessivo di quasi 3 euro.
Il tutto senza tenere conto dei benefici che in genere derivano ai pazienti, stimati in circa 40.000 ogni anno, che partecipano alle sperimentazioni cliniche e successivamente alla popolazione generale dall’accesso a trattamenti innovativi, ciò che comporta miglioramenti di esito e qualità di vita, con vantaggi conseguenti anche sotto il profilo economico.
Nel Manifesto sono presentate una serie di proposte, molto articolate, per sostenere la ricerca clinica in Italia, che vanno dalla riforma della formazione universitaria, alla sburocratizzazione, al coordinamento maggiore tra i diversi enti e a una razionalizzazione del quadro normativo. Per quanto riguarda il sostegno alla ricerca pubblica, è raccomandata una maggiore disponibilità di fondi in termini assoluti, con attenzione al fatto che siano erogati con regolarità e rapidità. Per limitare la parcellizzazione degli investimenti, e favorirne l’ottimizzazione, è raccomandato inoltre un maggior coordinamento fra le istituzioni che rendono disponibili fondi per la ricerca. Una proposta possibile è quella di creare un’Agenzia Nazionale della Ricerca, che proponga linee di indirizzo strategico, coordini le attività di ricerca, promuova l’organizzazione di reti, abbia la responsabilità dei contenuti degli interventi normativi, si occupi di finanziamento della ricerca e monitoraggio dei risultati.
«Riorganizzare, coordinare, anche creare una nuova Agenzia possono essere proposte utili: tuttavia bisogna iniziare con urgenza dall’erogare maggiori risorse, perché finché non si investono maggiori fondi in ricerca nessuna riorganizzazione sarà sufficiente», conclude Silvio Garattini.
Natalia Milazzo, giornalista, è specializzata in informazione del consumatore e divulgazione tecnico-scientifica. Lavora da molti anni nell’ambito dell’informazione indipendente, in particolare nel campo della salute, dell’alimentazione, dell’ambiente e dei diritti del consumatore. Ha collaborato con il ministero della Salute e con molti istituti ed enti di divulgazione e ricerca scientifica. Prima di tutto ciò si è laureata in Lettere classiche all’Università degli Studi di Milano.