Il benessere e la decrescita. di Andrea Ubiali

La crescita economica ha prodotto – nel corso della storia – enormi benefici in termini di qualità della vita e innovazione, seppure distribuiti in maniera fortemente disuguale. Oggi però l’inseguimento acritico di una crescita perpetua non è più sostenibile e rischia di portarci al collasso ecosistemico.

L’attuale dibattito sulla crisi climatica sta interessando sempre più la comunità medico-scientifica che, in misura crescente, si va interessando di tematiche e argomenti che tradizionalmente si potevano considerare marginali o addirittura esclusi dagli interessi del settore sanitario. È in questo contesto che Richard Smith, già editor del BMJ, pubblica un articolo incentrato sul tema della decrescita economica, presentata come l’unica soluzione (forse) in grado di salvarci (1).

Sebbene il tema dell’emergenza climatica sia diventato per certi versi mainstream, alcuni aspetti – tra cui quello della decrescita – rimangono ancora poco noti. Spesso infatti le argomentazioni sul cambiamento climatico prendono le mosse da un approccio riduzionistico che si focalizza su un singolo elemento – le emissioni di anidride carbonica (CO2) – lasciando nell’ombra il più ampio contesto socio-econonomico di riferimento (2). L’eccessiva focalizzazione sulle emissioni di CO2 tende a orientare il dibattito attorno al tema della produzione energetica e di conseguenza alla necessità di una transizione che porti a sostituire le fonti fossili con quelle rinnovabili, lasciando inalterato tutto il resto. La crisi che stiamo affrontando tuttavia non è esclusivamente una crisi climatica dovuta a eccessiva  produzione e accumulo di CO2, ma dovrebbe essere riconosciuta come una crisi ecologica multisfaccettata, in cui il cambiamento climatico rappresenta uno di molti problemi, tra cui: deforestazione, perdita di biodiversità, desertificazione e consumo di suolo, acidificazione degli oceani, inquinamento ambientale, povertà e disuguaglianze, conflitti e migrazioni. Questi elementi si intrecciano tra loro e sono influenzati dalle caratteristiche del nostro sistema economico.

Nel suo editoriale Smith cita esplicitamente il lavoro di Jason Hickel, studioso di antropologia economica e autore del libro Less Is More: How Degrowth Will Save the World (3), nel quale  Hickel descrive il sistema economico capitalistico, spiegando che l’elemento che lo caratterizza è la crescita. La crescita economica è condizione imprescindibile per la sopravvivenza del sistema. Essa ha prodotto – nel corso della storia – enormi benefici in termini di qualità della vita e innovazione, seppure distribuiti in maniera fortemente disuguale. Oggi però l’inseguimento acritico di una crescita perpetua non è più sostenibile e rischia di portarci al collasso ecosistemico. La crescita economica è infatti legata al consumo delle risorse materiali disponibili sul pianeta, e questo consumo è il principale responsabile dei danni ambientali ed ecosistemici. Una crescita economica infinita, come quella richiesta per mantenere in vita il sistema economico, non è compatibile con i limiti fisiologici di sopravvivenza del pianeta. Continuare a perseguire la crescita renderebbe più difficile, se non impossibile, il rispetto degli accordi di Parigi, e potrebbe rendere futile la transizione energetica. Poiché non è possibile disaccoppiare crescita economica e consumo di risorse materiali, Hickel descrive l’idea di una crescita green, ipoteticamente sostenuta dalle sole energie rinnovabili, come un miraggio, da cui i decisori politici dovrebbero allontanarsi rapidamente per cercare strategie alternative (4). L’alternativa sarebbe quella di abbandonare la crescita in favore di modelli di de-crescita o post-crescita. Scenari di questo tipo sono già stati descritti a livello teorico e in alcuni casi sperimentati a livello locale (5, 6). Le formule proposte per la decrescita possono variare a seconda del quadro teorico proposto, ma ciò che accomuna i diversi modelli è la tensione volta al raggiungimento del benessere economico contestualmente al benessere sociale e ambientale, piuttosto che a detrimento di essi. L’utilizzo di un indicatore unico e obsoleto come il PIL viene rifiutato, in favore dell’utilizzo di indicatori multipli che rendano conto in maniera più adeguata della complessità del reale e dei limiti planetari. L’idea di crescita inoltre viene sostituita con quella di una ridistribuzione equa e giusta delle risorse ed una loro gestione più democratica.

L’idea di decrescita rischia di essere impopolare e politicamente poco appetibile, soprattutto se presentata associandola a concetti come: sacrificio, rinuncia, deprivazione. La rinuncia è effettivamente una componente chiave della decrescita, ma a ben vedere sono eminentemente gli aspetti negativi e deleteri dell’attuale sistema economico a cui ci viene chiesto di rinunciare, in primis l’estremo grado di disuguaglianza che caratterizza l’attuale distribuzione delle ricchezze globali (7). Non è necessario crescere, quando le risorse necessarie a soddisfare i nostri bisogni esistono già. Il nostro problema non sta nella produzione della ricchezza, ma nella distribuzione e nell’accesso alle risorse.  Nella proposta di Hickel inoltre alcuni settori dell’economia dovrebbero essere considerati ecologicamente dannosi e andrebbero limitati. I settori a cui dovremmo almeno parzialmente rinunciare includono: l’industria bellica e quella dei combustibili fossili, la fast fashion, il settore alimentare del junk food, i prodotti a obsolescenza programmata, il settore delle automobili private, dei SUV e dell’aviazione, il marketing e la pubblicità. Il ridimensionamento di questi settori dovrebbe essere adeguatamente accompagnato da politiche sociali per il lavoro, che garantiscano tutele per i lavoratori dei settori che subiscono un ridimensionamento, con la possibilità di essere ri-orientati verso altri settori socialmente ed ecologicamente utili.

Mentre alcuni settori dell’economia vengono ridimensionati, altri necessitano di essere potenziati ed espansi. Questi settori coincidono con i principali servizi pubblici (8).

  • Sanità istruzione dovrebbero essere universali e gratuiti. Molti paesi europei seguono già questo modello, che dovrebbe essere potenziato e adottato ovunque.
  • Limitare il numero di unità abitative di cui un privato può disporre – con obbligo di vendere le proprietà in surplus – comporterebbe l’immissione di nuove unità abitative sul mercato, con effetto positivo sull’abbassamento dei prezzi e sulla possibilità di accesso alla casa. Sarebbe inoltre più facile per le istituzioni municipali ampliare il proprio stock di case popolari che potrebbero essere rapidamente efficientate dal punto di vista energetico e successivamente rese disponibili per affitti a prezzi popolari.
  • Il trasporto pubblico dovrebbe essere di alta qualità, efficiente, sostenibile e disponibile gratuitamente o al prezzo più basso possibile, per limitare al minimo la dipendenza dalle automobili private.
  • Il sistema alimentare, gravato da problemi come diffusione di alimenti ultra-processati e dannosi per la salute, catene di approvvigionamento dipendenti da imballaggi di plastica e trasporti a lunga distanza, sistemi produttivi ad alta intensità energetica, monocolture e allevamenti intensivi, potrebbe essere trasformato tramite programmi statali di giustizia alimentare in un sistema che garantisca l’accesso universale a cibo nutriente e prevalentemente vegetariano, basato su un’agricoltura rigenerativa, con produzione e consumo prevalentemente locali.
  • Acqua ed energia dovrebbero essere gestite come servizi di pubblica utilità, con un sistema di tariffazione a due livelli: una quota di energia e acqua dovrebbe essere gratuitamente a disposizione per il soddisfacimento dei bisogni primari. L’uso aggiuntivo oltre quota potrebbe essere addebitato a un tasso progressivo per disincentivare l’utilizzo in eccesso. Il sistema energetico pubblico può essere inoltre orientato alla rapida decarbonizzazione, mentre le norme che disciplinano il sistema idrico possono essere utilizzate per prevenire l’estrazione eccessiva da parte delle imprese private e garantire una fornitura stabile ed equa, anche durante i periodi di siccità.
  • L’accesso a internet è necessario per la vita quotidiana e dovrebbe essere considerato come un servizio di pubblica utilità. Un pacchetto mensile di base dovrebbe essere disponibile gratuitamente, con dati aggiuntivi e altri servizi disponibili a prezzi di mercato.

Il valore aggiunto di avere servizi pubblici universali ed efficienti consiste nel fatto che con essi si può garantire l’accesso ai beni essenziali per tutta la popolazione, con un sistema di produzione e approvvigionamento che richiede minor consumo aggregato di energia e di risorse materiali, e che risponde a un maggior controllo democratico.

Ma come è possibile finanziare questi servizi? La risposta tradizionale è che per pagare i servizi pubblici sia necessaria prima una maggiore crescita del PIL: aumentare la produzione di beni o servizi (non necessari, o potenzialmente dannosi), quindi tassare i ricavi di quella produzione per finanziare la produzione pubblica di beni essenziali.

In realtà – afferma Hickel – non c’è motivo per cui la produzione pubblica debba fare affidamento sui finanziamenti della precedente produzione privata. Qualsiasi governo che abbia sufficiente sovranità monetaria può mobilitare direttamente la produzione pubblica, semplicemente emettendo finanziamenti pubblici per farlo. Come ha sottolineato Keynes: qualsiasi cosa possiamo effettivamente fare, in termini di capacità produttiva, possiamo pagarla (9). E quando si tratta di capacità produttiva, le economie ad alto reddito hanno già molto più del necessario. Il dispiegamento della finanza pubblica sposta semplicemente l’uso di questa capacità dalle imprese al pubblico, dove può essere utilizzata per obiettivi sociali ed ecologici democraticamente ratificati, piuttosto che per l’accumulazione di capitale.

Hickel conclude affermando che il movimento ecologista globale dovrebbe fare proprie queste rivendicazioni che hanno il vantaggio di tenere contemporaneamente in considerazione i bisogni del pianeta e i bisogni concreti delle persone. Questo elemento  potrebbe rappresentare la chiave per una proficua alleanza tra movimento ecologista,  sindacati e classe lavoratrice, cosa che darebbe maggior forza alle richieste di tutti. Il settore sanitario, dal canto suo, non può non riconoscere il fatto che queste rivendicazioni ricalcano molto da vicino le raccomandazioni formulate ormai molto tempo fa – sebbene mai realmente realizzate – dalla commissione sui determinanti sociali di salute dell’OMS (10), mirate a ripianare le disuguaglianze in salute attraverso un’azione trasversale su tutti i principali determinanti di salute e un’equa ridistribuzione di denaro, risorse e potere. In questo senso il settore sanitario dovrebbe schierarsi a sua volta a fianco di questa alleanza, per sottoscrivere e sostenere le stesse identiche rivendicazioni.

Andrea Ubiali, specialista in sanità pubblica, Bologna

Bibliografia

  • Smith R. Perhaps only degrowth can save us. BMJ 2023; 382 :p1545 doi:10.1136/bmj.p1545
  • Deivanayagam TA, Osborne RE. Breaking free from tunnel vision for climate change and health. PLOS Glob Public Health. 2023 Mar 9;3(3):e0001684. doi: 10.1371/journal.pgph.0001684. PMID: 36963098; PMCID: PMC10021701.
  • Hickel J. Less Is More: How Degrowth Will Save the World (2020). ISBN: 9781786091215
  • Hickel, Jason & Kallis, Giorgos. (2019). Is Green Growth Possible?. New Political Economy. 25. 1-18. 10.1080/13563467.2019.1598964.
  • Raworth, Kate (2017). Doughnut Economics: Seven Ways to Think Like a 21st Century Economist. Vermont: White River Junction. p. 254. ISBN 9781603586740
  • Velotti L. Ecosocialismo e decrescita: parliamone. Jacobin Italia. https://jacobinitalia.it/ecosocialismo-e-decrescita-parliamone/
  • La disuguaglianza non conosce crisi. 2023 https://www.oxfamitalia.org/wp-content/uploads/2023/01/Report-OXFAM_La-disuguaglianza-non-conosce-crisi_final.pdf
  • Hickel J. Universal public services: the power of decommodifying survivalhttps://www.jasonhickel.org/blog/2023/3/18/universal-public-services
  • John Maynard Keynes: How Much Does Finance Matter, 1942.
  • World Health Organization. Closing the gap in a generation: health equity through action on the social determinants of health – Final report of the commission on social determinants of health. 2008. https://www.who.int/publications/i/item/WHO-IER-CSDH-08.1

fonte: https://www.saluteinternazionale.info/2023/09/il-benessere-e-la-decrescita/

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