Le diseguaglianze nel sonno. di Ambra Chessa

Nel corso dell’ultimo secolo, sembra che l’umanità abbia perso preziose ore di sonno notturno, riducendo la sua quota di riposo di circa una-due ore per notte. Con la pandemia la situazione si è ulteriormente degradata. Negli Stati Uniti i disturbi del sonno colpiscono in modo sproporzionato la comunità afroamericana, con circa il 46% di quest’ultimi che non riesce a ottenere la quantità raccomandata di riposo.

Nella coinvolgente novella di Karen Russell, intitolata “Sleep Donation,” gli Stati Uniti sono flagellati da un’epidemia di insonnia fatale. Le cause dell’epidemia restano oscure e, in questo scenario distopico, il sonno si trasforma in una preziosa merce di scambio, negoziata dalle grandi corporazioni internazionali. A coloro che possiedono ancora il privilegio di un sonno sano, viene richiesto di “donare” il loro sonno a coloro meno fortunati, da cui il titolo “Sleep Donation,” ovvero “La Donazione del Sonno.”  La narrazione di K. Russell introduce il pubblico a un mondo in cui la scarsità del sonno minaccia la fragile esistenza umana, ma dovremmo interrogarci se sia davvero fantasia.

Nel corso dell’ultimo secolo, sembra che l’umanità abbia perso preziose ore di sonno notturno, riducendo la sua quota di riposo di circa una-due ore per notte. Questo preoccupante cambiamento ha attirato l’attenzione del Center for Disease Control and Prevention (CDC) negli Stati Uniti, che ha classificato l’insufficienza di sonno come un vero e proprio “problema di salute pubblica”(1). Già prima della pandemia, numerosi studi evidenziavano come i disturbi legati al sonno fossero largamente diffusi ed in aumento esponenziale (2). In un’indagine condotta su un campione di 10.000 individui, è emerso che la prevalenza dei disturbi del sonno raggiungeva il 31% nell’Europa Occidentale. Negli Stati Uniti, più di un terzo della popolazione aveva difficoltà a ottenere sonno sufficiente (1). In Cina, i disturbi del sonno colpivano piu del 35% della popolazione studiata (3). E la lista potrebbe continuare.

Con la pandemia da COVID-19, la situazione si è ulteriormente degradata. La frammentazione del riposo, gli incubi, l’ansia e la depressione sono diventati fenomeni talmente diffusi nel contesto pandemico, da motivare alcuni autori a coniare termini come “coronasomnia” o “COVID-somnia” per dare un nome alla nuova realtà (4). C’è un’ombra di scetticismo quando si cerca di immaginare un miglioramento delle tendenze, nel futuro. Il cambiamento climatico si profila all’orizzonte come una potenziale nuova minaccia per il nostro sonno. Dalle ansie indotte dalle catastrofi climatiche, alla scarsa qualità dell’aria che provoca ed aggrava i problemi respiratori legati al sonno, fino alle temperature previste in aumento, rispettare le linee guida sul riposo diventerà un’impresa sempre più ardua.

Il sonno costituisce una funzione vitale per l’essere umano, e le sue carenze o la sua qualità compromessa sono state collegate a impatti significativi sulla salute. Si sono delineate connessioni tra una gestione inadeguata del sonno e una minore longevità, disturbi cardiovascolari, sovrappeso e obesità, squilibri metabolici e malattie neuropsichiatriche. In tempi più recenti, è emerso anche un legame con l’Alzheimer e con problematiche legate alle dipendenze. Infatti, il sonno svolge un ruolo di fondamentale importanza nella rigenerazione e riparazione del nostro cervello. In particolare, contribuisce anche alla pulizia dei prodotti di scarto come il beta amiloide e altre proteine che si accumulano nelle menti di coloro che soffrono di demenza(5).

Le ramificazioni della privazione del sonno si estendono ben oltre la salute, influenzando in modo tangibile sia il tessuto sociale che quello economico. Nel dettagliato rapporto “Why Sleep Matters,” redatto da Hafner e colleghi, emerge un quadro allarmante. Ogni anno, nei cinque paesi dell’OCSE oggetto di studio, si stima una perdita che potrebbe sfiorare i 680 miliardi di dollari a causa della carenza di sonno. Questo avviene per tre ragioni principali. In primo luogo, a causa della mancanza di sonno, le persone hanno maggiori probabilità di morire rispetto a chi dorme sette-nove ore a notte, riducendo così la dimensione della popolazione lavorativa attiva. In secondo luogo, i lavoratori privati del sonno mostrano una maggiore tendenza all’assenteismo a causa di malattie e/o una ridotta performance durante l’orario lavorativo. In terzo luogo, una performance scolastica sub-ottimale nei primi anni di vita, a causa della mancanza di sonno, ostacola lo sviluppo delle competenze di un individuo, influenzandone la capacità di contribuire pienamente all’economia del proprio paese una volta diventato adulto.

Tutto ciò dipinge un quadro complesso, in cui il sonno non è più solo una questione di salute personale, ma un tassello fondamentale nel mosaico dell’efficienza sociale e dell’equilibrio economico.

Tuttavia, è inevitabile riconoscere che per anni il sonno è stato oggetto di stigma, poiché come ha affermato R. Sanna sul New York Times, “il sonno è un nemico del capitalismo”. Dormendo, non si può produrre né consumare, ed è proprio per questo motivo che il sonno è stato a lungo considerato un ostacolo e declassato a forma di debolezza. Mentre riconosciamo il bisogno imprescindibile dei neonati e bambini di un sonno rigenerante, smettiamo di considerarlo imprescindibile o utile con l’avanzare dell’età. Ci spiega M.Walker, professore di neuroscienze a Berkley, in un’intervista su Internazionale, che la razza umana “è l’unica che deliberatamente si priva del sonno senza alcuna ragione apparente”. Ancora più enigmatica la metamorfosi di come e quando il non dormire sia diventato sinonimo di “successo”. Celebri le parole di Margaret Tatcher, ex primo ministro inglese, ‘sleep is for wimps’ – Il sonno è per rammolliti. Come se il sonno fosse un pedaggio da pagare per guadagnare una vita professionalmente ed economicamente appagante. Siamo inchiodati a un dogma che ci costringe a mostrare un’incessante frenesia, e quale modo migliore per dimostrarlo se non ridurre le ore di sonno?

La rotta sarà difficile da invertire senza considerare che il sonno non è distribuito in modo equo all’interno della popolazione.  Proprio come lo stato di salute è strettamente intrecciato al contesto socioeconomico – con coloro che si trovano in posizioni sociali e culturali svantaggiate più suscettibili a malattie e ad un percorso di vita più breve- anche il sonno si dispiega come un segno distintivo di classe. Emergono nette differenze sia nella qualità che nella durata del sonno tra persone appartenenti a diverse fasce socioeconomiche, con una netta disparità a sfavore di chi si colloca nelle posizioni più basse. Le ragioni possono essere molteplici. Le persone che vivono in condizioni di povertà spesso si trovano a fronteggiare contesti di vita estremamente difficili: ambienti lavorativi gravosi, alloggi affollati e rumorosi, mancanza di accesso ad una adeguata areazione, tutti fattori che giocano un ruolo cruciale nella durata e qualità del sonno.

Negli Stati Uniti i disturbi del sonno colpiscono in modo sproporzionato la comunità afroamericana, con circa il 46% di quest’ultimi che non riesce a ottenere la quantità raccomandata di riposo(6). Questo dato potrebbe addirittura essere all’origine di altre storiche disparità di salute. La Dr. D. Johnson dell’Emory University, nei suoi studi esamina come la coesione sociale del quartiere e l’ambiente influenzino il sonno. Ha riscontrato che nei quartieri insicuri, rumorosi e densamente popolati, tutti, indipendentemente dall’etnia, tendono a dormire male. Tuttavia, da una prospettiva ravvicinata sembra che gli adulti afroamericani siano i più impattati dalla vita in ambienti sfavorevoli. Ci si potrebbe aspettare di vedere un effetto protettivo man mano che si sale la scala verso una maggiore ricchezza e quartieri migliori, ma, sempre dalle sue ricerche, questo non sembra accadere per gli afroamericani. Anzi, si può osservare esattamene l’opposto. Dai suoi studi, il sonno migliorava per i bianchi man mano che scalavano la scala socio-professionale – i deficit di sonno erano riportati dal 35% degli operai, dal 26% degli impiegati e dal 25% dei dirigenti. Le persone di colore seguivano un percorso opposto: il 35% degli operai, il 37% degli impiegati e il 40% dei dirigenti avevano deficit di sonno(6). Alcune ipotesi possono spiegare questa traiettoria. Un individuo afroamericano, in un quartiere a maggioranza bianca, potrebbe essere più esposto a fattori stressanti come la discriminazione. Potrebbe rispondere lavorando costantemente più duramente per dimostrare il suo valore, con conseguente accumulo di stress.

Mentre ci impegniamo ad affrontare le sfide di un mondo sempre più instabile e in rapida evoluzione, il riposo adeguato si configura come non soltanto un bene prezioso, ma vitale. In un commento pubblicato su The Lancet Longevity compare un appello urgente formulato da Golombek e il suo gruppo: è giunto il momento di rivalutare il sonno come un elemento fondante del nostro benessere, un fattore di primaria importanza per un processo di invecchiamento sano.

Il sonno è il terzo pilastro della salute, insieme allo sport e alla nutrizione. Questo concetto non costituisce solo una proposta audace, ma piuttosto una pressante richiesta ai nostri politici ed alle autorità sanitarie. Per realizzarlo, sarà necessario considerare il sonno come un diritto universale, accessibile a tutti, e affrontare le diseguaglianze di salute legate ad esso. Solo così potremo intraprendere il cammino verso un mondo più sano e giusto, a vantaggio di tutti e tutte.

Ambra Chessa – Specializzanda all’Ospedale Universitario di Ginevra – Hôpitaux Universitaires de Genève (HUG).

Bibliografia

  1. Hafner M, Stepanek M, Taylor J, Troxel W, Stolk C. Why sleep matters — the economic costs of insufficient sleep: A cross-country comparative analysis. Why sleep matters — Econ costs insufficient sleep A cross-country Comp Anal. 2017;
  2. D.Léger, B.Pousain DN& MU. An International survey of sleeping problems in the general population. Curr Med Res Opin. 2008;24(1).
  3. Lu L, Wang SB, Rao W, Zhang Q, Ungvari GS, Ng CH, Kou C, Jia FJ XYT. The Prevalence of Sleep Disturbances and Sleep Quality in Older Chinese Adults: A Comprehensive Meta-Analysis. Behav Sleep Med. 2019;
  4. Alrasheed MM, Fekih-romdhane F, Jahrami H, Natan G, Saif Z, Alenezi AF, et al. The prevalence and severity of insomnia symptoms during COVID-19 : A global systematic review and individual participant data meta- analysis. 2020;(January).
  5. Product GD. Comment Sleep diplomacy : an approach to boosting global brain health. 2023;7568(23):4–6.
  6. Emory’s Rollins School of Public Health. Sleep inequality Why do African Americans suffer greater sleep deficits? [Internet]. Available from: https://news.emory.edu/features/2020/10/sleep-inequality/

fonte: https://www.saluteinternazionale.info/2023/09/le-diseguaglianze-nel-sonno/

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