Il progetto “L’equità nel diritto alla salute: il contrasto alle disuguaglianze nella città di Bologna” ha adottato un approccio di ricerca-azione a carattere interdisciplinare e multi metodologico e si è articolato in tre fasi, temporalmente sovrapposte e tra loro interdipendenti, dandosi 4 obiettivi:
1. Descrivere le differenze negli esiti di salute (mortalità, morbosità) e nell’accesso ai servizi sociali e sanitari nelle diverse aree del Comune di Bologna, mettendole in relazione con gli indici territoriali di svantaggio demografico, sociale ed economico.
2. Realizzare, nelle aree a maggiore svantaggio e peggiori condizioni di salute, un approfondimento mediante un’analisi quali-quantitativa volta a identificare gli specifici determinanti che agiscono a livello territoriale nello sviluppo delle disuguaglianze di salute.
3. Individuare, di concerto con chi ha ruoli decisionali e la popolazione, proposte di politiche e interventi di contrasto alle disuguaglianze e di promozione dell’equità.
4. Verificare la fattibilità, in termini di analisi costi-benefici, della raccolta e valutazione sistematica dei dati nell’ipotesi di attivare un monitoraggio nel tempo delle disuguaglianze a livello cittadino sia per valutare l’eventuale impatto delle politiche nazionali e locali sull’equità nella salute che per valutare gli esiti di specifici interventi, in particolari aree e gruppi di popolazione.
Di seguito l’intervista a Chiara Bodini (1)
- Mi è sembrato molto interessante l’approccio adottato nella vostra ricerca, ovvero il passaggio dalla fase del conoscere (obiettivo 1) a quella del comprendere (obiettivo 2) Può spiegare brevemente questo passaggio? E soprattutto quali sono state le opportunità e le barriere che avete incontrato
Il passaggio da ‘conoscere‘ a ‘comprendere‘ implica uno spostamento da una descrizione della distribuzione geografica degli indicatori di malattia e di accesso ai servizi nelle aree della città a un’analisi dei fattori e dei meccanismi che ri/producono le disuguaglianze identificate.
Per accompagnare questo passaggio, alle metodologie quantitative tipiche dell’epidemiologia sociale adottate nella prima fase di progetto sono state affiancate metodologie qualitative inserite in un approccio di campo di stampo etnografico, che ha portato diversi team multidisciplinari di ricerca a conoscere in modo approfondito sei aree della città, selezionate d’accordo con i decisori locali. Questo ha consentito la raccolta di informazioni, esperienze e visioni da una pluralità di attori che abitano e lavorano nei territori, e ancora di più ha permesso la loro continua ri-condivisione e la generazione di spazi collettivi, integrati tra diversi servizi, dove ricostruire uno sguardo sul territorio, sui fattori che influenzano positivamente e negativamente la salute, sui gruppi di persone maggiormente a rischio e/o meno viste dai servizi, sulle risorse e le priorità per l’azione.
Il principale ostacolo è stato, soprattutto nelle fasi iniziali, far comprendere che l’utilizzo di diverse metodologie (quanti e qualitative) è una prassi consolidata nella ricerca scientifica che ne rafforza anziché sminuirne la validità, e vincere una sorta di diffidenza verso gli approcci qualitativi che ancora appartiene a una larga fetta del mondo sanitario. Una seconda significativa sfida è stata lo sforzo continuo di avvicinare e mantenere ‘agganciati’ i mondi del sociale e del sanitario i quali, soprattutto a livello locale, mancano di snodi strutturati di incontro e scambio che vadano oltre la gestione di singole persone prese in carico. D’altro canto, proprio da operatori/rici coinvolti/e, e in modo trasversale ai servizi, sono venuti riscontri positivi e incoraggianti rispetto al metodo di lavoro adottato, con richieste di ulteriore supporto per strutturare momenti integrati e condivisi di analisi dei dati territoriali e ripensamento o riorientamento delle pratiche in corso.
- Dopo aver compreso quali sono le aree più svantaggiate e esplorato i meccanismi che generano le disuguaglianze nella salute, come siete passati all’azione? Anche in questo caso quali sono state le barriere e quali le opportunità?
Fin dall’inizio, come Centro di Salute Internazionale e Interculturale (CSI) abbiamo portato una prospettiva di ‘urgenza’ etica e deontologica volta a ricucire un divario sempre più scomodo, ovvero quello tra le crescenti conoscenze sull’esistenza e i determinanti delle disuguaglianze in salute, e la crescita delle disuguaglianze stesse.
In letteratura si parla di “know-do gap” per sottolineare proprio questo divario che, rispetto al tema delle disuguaglianze sociali in salute (per loro natura evitabili, dunque ingiuste), assume anche una connotazione morale. Per questo, per noi era importante non soltanto realizzare un’analisi della distribuzione spaziale delle disuguaglianze di salute e accesso ai servizi nel territorio di Bologna, ma disegnare un’architettura progettuale che potesse sostenere dinamiche, politiche e azioni di contrasto.
In base alle nostre precedenti esperienze, abbiamo valutato che la metodologia della ricerca-azione potesse essere la più idonea a tenere molto vicini il processo di generazione e condivisione della conoscenza e la sua applicazione nelle pratiche delle istituzioni, dei servizi e delle realtà sociali. Una serie di altre scelte metodologiche ha sostenuto questa visione. Tra queste, il coinvolgimento molto precoce e molto profondo delle principali istituzioni locali coinvolte nel potenziale contrasto alle disuguaglianze, quali l’AUSL e il Comune, e la scelta di utilizzare la rappresentazione tramite mappe come canale di più immediato riconoscimento e lettura, capace di coinvolgere – sullo ‘spunto’ della visione epidemiologica – tanti altri saperi stratificati nelle esperienze di chi lavora sul territorio.
La metodologia adottata prevede che il progetto si strutturi per cicli progressivi di riflessione-azione-valutazione. La conoscenza viene dunque man mano generata non solo da specifiche attività di ricerca (per esempio, analisi dei dati epidemiologici, interviste, ecc.), ma anche da azioni e pratiche (riunioni organizzative, incontri tra servizi, attività nella e con la comunità, ecc.), e viene continuamente ricondivisa.
In questo senso, generazione di conoscenza e azione sono andate di pari passo in tutte le fasi del progetto. Un impulso determinante che ha favorito il coinvolgimento di più attori e, dunque, un aumento del ‘potenziale di azione’, è stato l’ingresso del Comune di Bologna e la partecipazione delle articolazioni istituzionali dei Quartieri. In particolare, in tre dei sei Quartieri (quelli in cui si è lavorato su due annualità, consolidando quindi maggiormente conoscenza del territorio e relazioni), si è arrivati a sviluppare vere e proprie sperimentazioni di promozione dell’equità in salute. In alcuni casi, queste sono proseguite oltre il termine del progetto, grazie all’iniziativa dei Quartieri stessi. In senso più ampio, l’amministrazione comunale si è impegnata a traslare le buone pratiche sperimentate e le linee di indirizzo generate dal progetto su scala cittadina, grazie all’investimento di nuovi finanziamenti europei tramite il programma PON Metro.
Chiara Bodini: Centro Studi e Ricerche in Salute Internazionale e interculturale dell’Università di Bologna.
Il progetto “L’equità nel diritto alla salute: il contrasto alle disuguaglianze nella città di Bologna” è nato nel 2019 grazie a una collaborazione tra Università, Azienda USL, Comune e Azienda Ospedaliero-Universitaria S. Orsola-Malpighi di Bologna, formalizzata in seno al Tavolo di Promozione della Salute tramite un’apposita convenzione e relativo cofinanziamento tra i quattro enti. Tale iniziativa di collaborazione è avvenuta in seno al Protocollo di Intesa per la
Promozione della Salute siglato nel 2018 e recentemente rinnovato fra: Ufficio scolastico regionale, Università, Azienda USL, Comune e Azienda Ospedaliero-Universitaria S. Orsola-Malpighi di Bologna.
fonte: DORS – A cura di Luisella Gilardi – Centro di Documentazione per la Promozione della Salute – DoRS