L’irruzione dell’Intelligenza Artificiale nelle nostre vite e nel nostro lessico quotidiano sta alimentando, come in altri momenti di intenso cambiamento tecnologico, un dibattito su benefici e costi, tra i quali anche alcuni ipotizzati catastrofici per gli umani, nonché su vincenti e perdenti. In queste note esamineremo alcuni di questi previsti effetti ma sottolineeremo in particolare un punto e cioè che il loro manifestarsi e le loro conseguenze dipenderanno largamente dalle politiche adottate e, inoltre, che per tutelare molti dei potenziali perdenti e limitare i costi sociali sono indispensabili politiche diverse da quelle oggi prevalenti, politiche inclusive e non ispirate a modelli liberisti.
Prima di procedere è utile ricordare alcune caratteristiche dell’Intelligenza Artificiale. Definita come la tecnologia che teorizza e sviluppa sistemi computeristici capaci di svolgere attività che finora hanno richiesto l’intelligenza umana, la I.A. si caratterizza per essere un’altra di quelle general purpose technologies (come il motore a vapore, l’elettricità o Internet), che nel corso degli ultimi 250 anni hanno cambiato il modo di vivere e di produrre, proprio per la loro vasta gamma di applicazioni. Si può, comunque, affermare che è soprattutto l’area dell’ “apprendimento automatico” (machine learning) – un campo della statistica computazionale che si è sviluppato negli ultimi vent’anni – quella su cui si concentra maggiormente l’attenzione. Sfruttando la lettura di migliaia di miliardi di dati, quali quelli prodotti quotidianamente sulle varie piattaforme o raccolti dai vari motori di ricerca, l’apprendimento automatico individua regolarità, del tutto euristiche, tra variabili. Questa capacità ne fa uno strumento potente nel campo della previsione, con ovvie conseguenze economiche.
Più in generale, la I.A. generativa è in grado di produrre scritti, immagini, suoni o altre forme testuali in risposta a precisi “stimoli”. Ciò spiega perché è praticamente illimitato il campo delle possibili applicazioni: dal marketing (come ad esempio hanno sottolineato M.A. Ding e A. Goldfarb, “The economics of artificial intelligence: A marketing perspective”, Artificial Intelligence in Marketing, 2023), alla diagnostica medica (di cui hanno discusso D. Rodrik e S. Stantcheva, “Fixing capitalism’s good jobs problem”, Oxford Review of Economic Policy, 2021) e perfino all’innovazione di prodotti perché, come sottolineato nel libro The economics of artificial intelligence: an agenda, (curato da A. Agrawal, J. Gans e A. Goldfarb, University of Chicago Press 2019) la I.A. generativa sarebbe in grado di supplire alla scarsità di nuove idee, che sono il vero motore dell’innovazione e del profitto nel capitalismo avanzato.
Date queste potenzialità ascritte all’I.A., non sorprende che paesi come la Cina e gli Stati Uniti, ma anche il Giappone e l’Australia continuino ad investire in I.A., come evidenzia la Figura 1.
Figura 1: investimenti in IA (miliardi di dollari). USA, Cina, resto del mondo, 2010-2021
Allo stesso modo è facile comprendere, perché, già nel 2018 in un convegno tenutosi a Toronto, il Premio Nobel per l’economia, Daniel Kaheneman, abbia asserito – non essendo, peraltro, l’unico – che non vi è attività o lavoro che non potrà, in un prossimo futuro, essere svolta dall’ IA. Ma ‘potrà’ non vuol dire ‘sarà’. I fattori rilevanti per gli effettivi sviluppi futuri, e la velocità con cui si manifesteranno, sono numerosi. Contano le convenienze, contano le politiche e, in generale, il cambiamento tecnologico è un processo complesso, rischioso e incerto.
Rispetto alle convenienze, anche soltanto quelle private, è ad esempio significativo quanto riportano Rodrik e Stantcheva (2021): nel 2016, Elon Musk, di fronte al fallimento del suo piano di una linea di produzione interamente basata su robotica e I.A., ripristinò modelli di produzione con lavoratori riconoscendo che gli umani erano stati “sottovalutati”. Questa ed altre ragioni connesse al perdurante bisogno di umani forse contribuiscono a spiegare quanto emerge dalla rassegna globale della McKenzie & Company : sintetizzando alcuni degli aspetti dell’adozione di tecnologie IA negli ultimi 5-6 anni da parte delle imprese, la rassegna richiama l’attenzione sul fatto che il processo di diffusione dell’I.A. è rallentato negli ultimi anni fino a coinvolgere, nel 2022, solo il 50% delle aziende intervistate.
Tra le ragioni di questo rallentamento, sembra dominante la difficoltà di reclutamento di persone con le conoscenze ingegneristiche di cui l’applicazione di I.A. nell’industria necessita. Un caso di umani non (ancora?) sostituibili.
Ma saranno certamente decisive le politiche che si adotteranno, a vari livelli. Al livello di impresa – quindi in funzione dei sistemi di governance e dei loro obiettivi – e a livello di politiche (nazionali e sovranazionali). E, per quanto riguarda queste ultime, cruciale sarà l’attenzione prestata ai vari possibili costi e danni che l’I.A. può provocare, allo scopo sia di prevenirli sia di mitigarne gli effetti quando si manifestassero.
I prevedibili costi e danni saranno, come sempre, diversamente distribuiti sulla popolazione anche a livello globale. Vi sono, naturalmente, i rischi derivanti dalla sostituzione del lavoro umano che minacciano di aggravare una situazione globale già preoccupante per quello che riguarda disuguaglianza e occupazione. Ma è utile guardare anche a rischi più specifici e non scollegati da quelli appena indicati. Ne riferisco alcuni.
Il primo riguarda la possibilità che imprese leader nell’innovazione da I.A. diventino (sempre più) imprese superstar in grado di dominare i mercati con l’esito di affievolire se non anche, in alcuni casi, eliminare la competizione tra imprese (D. Autor et al., “The fall of the labor share and the rise of superstar firms”, The Quarterly Journal of Economics, 2020). La rassegna della McKenzie illustra come l’applicazione della I.A. nell’industria sia dominata da poche aziende leader, quelle che più si concentrano sul miglioramento della performance d’impresa in settori quali quello finanziario, del marketing o della gestione delle risorse umane. Contrastare queste tendenze non sarà facile, come ha di recente sostenuto Kaushik Basu, noto economista dello sviluppo ed ex-presidente della Banca Mondiale (K. Basu, “The ground beneath our feet”, Oxford Review of Economic Policy, 2021), ma qualcosa almeno contro le manifestazioni più estreme del fenomeno può essere fatta. .
Il secondo riguarda gli effetti che l’I.A. potrà avere sui paesi più poveri riproponendo, in forma più grave, il problema di come conciliare i modelli di cambiamento tecnologico ideati in paesi ricchi con lo sviluppo dei paesi poveri, tenendo anche conto di significative differenze demografiche: la popolazione è più anziana nei paesi ricchi e più giovane nei paesi poveri. Secondo il Department of Economic and Social Affairs delle Nazioni Uniti, in meno di due decenni la popolazione globale si avvicinerà ai 10 miliardi di persone di cui 6 in età lavorativa, concentrati per lo più nei paesi in via di sviluppo, cioè nei paesi che hanno più da perdere da cambiamenti tecnologici diretti a far risparmiare alle aziende dei paesi sviluppati parte dei costi del lavoro.
Oltre mezzo secolo fa, H. Pack e M. Todaro (“Technological Transfer, Labour Absorption, and Economic Development”, Oxford Economic Papers, 1969) scrivevano delle sfide che la diffusione di tecnologie labour-saving, prodotte da e per i paesi industrializzati, ponevano a paesi con strutture economiche e demografiche ben diverse. Quelle sfide sembrano ancora attuali.
Compito delle politiche dovrebbe essere di farsi carico di questi problemi sia cercando di prevenirli sia cercando di mitigarne le conseguenze. Tra queste ultime potrebbe esserci anche quella di occuparsi, eventualmente, della qualità del tempo libero dei lavoratori oltre che, naturalmente, delle loro fonti di reddito. Le politiche oggi prevalenti non sono certo in grado di affrontare adeguatamente questi problemi. Ad esempio non lo sono quelle riguardanti la concorrenza che possono, in una logica preventiva, limitare l’affermarsi di imprese superstar e non lo sono, in generale, le politiche di welfare di carattere compensativo.
Occorre, quindi, un cambiamento significativo che dovrebbe mirare anche a favorire l’impiego dell’I.A. in un modo che ne valorizzi le potenzialità di miglioramento delle condizioni di vita per la più gran parte delle persone. Al riguardo, Rodrik e Stantcheva (2021) invitano, appunto, a pensare a come utilizzare la I.A. per far fronte ai grandi nodi delle società contemporanee. Ne menziono alcuni.
Secondo D. Acemoglu e P. Restrepo (“Artificial intelligence, automation, and work” in The economics of artificial intelligence: An agenda, University of Chicago Press, 2018), l’I.A. può contribuire alla creazione di buoni lavori, anziché alla loro distruzione, e citano esplicitamente alcuni ambiti. Quello dell’istruzione dove può avere un ruolo labour-augmenting sopperendo alla scarsità di insegnanti, specialmente in campi specializzati e in paesi a basso reddito, e a sostenere programmi scolastici in regioni svantaggiate.
Un altro ambito in cui l’I.A. può valorizzare e migliorare il lavoro umano è quello medico e sanitario, dove può contribuire a migliorare le capacità previsive e diagnostiche degli operatori del settore, superando la scarsità di lavoro qualificato e di macchinari sofisticati.
Inoltre, come spiega Junhua Li del Department of Economic and Social Affairs (DESA) delle Nazioni Unite in un recente rapporto (Li, UN-DESA, 2023), l’I.A. e soprattutto le sue applicazioni a scopo di previsione possono svolgere un ruolo importante nell’ambito del cambiamento climatico. In campi come la riduzione degli scarti o la gestione della distribuzione di risorse fondamentali per la sicurezza alimentare, come il consumo di acqua, e la riduzione dell’impatto ambientale della produzione alimentare, l’I.A. può avere effetti rilevanti, soprattutto nel Sud Globale e laddove il sistema produttivo è dominato da piccole e medie imprese.
Questi esempi mettono in luce, tra l’altro, che affinché i benefici potenziali dell’I.A. si concretizzino occorre garantire l’accessibilità ad essa, a questo bene pubblico che è tale per la sua caratteristica di general purpose technology. Ciò non fa che enfatizzare la necessità di politiche economiche che socializzino i vantaggi e limitino gli svantaggi della sua applicazione. Da questo punto di vista si può affermare che l’I.A. sfida visioni liberiste del tipo “laissez faire” del cambiamento tecnologico e dei suoi effetti sulla struttura produttiva e il lavoro. In realtà, la grande sfida non è tanto l’I.A. di per sé quanto, e soprattutto, la sua gestione, tutta umana, che speriamo intelligente. Il dibattito dovrebbe misurarsi con queste sfide e sul modo in cui la società si prepara ad affrontarle.
fonte: https://eticaeconomia.it/per-una-gestione-intelligente-della-sfida-dellintelligenza-artificiale/