Migrazioni forzate e sostituzione etnica. di Gavino Maciocco

“Finora pare non si riesca a inventare nulla di meglio che finanziare regimi arabi mediterranei perché sbarrino la loro frontiera terrestre con l’Africa profonda, facendo leva sul diffuso disprezzo per i neri. Il caso tunisino è modello. Morire pugnalati nel Sahara come alternativa ad affogare nel Mediterraneo?”

Le migrazioni fanno da sempre parte della storia dell’umanità. Le persone migrano da un paese all’altro per diverse ragioni e la loro mobilità segue il suo corso e le norme, più o meno restrittive, applicate alle frontiere o all’interno degli spazi sovraregionali o nazionali.  Secondo l’International Migration Report 2022 nel 2020 le migrazioni internazionali hanno interessato 281 milioni di persone (il 3,6% della popolazione mondiale) – rispetto ai 173 milioni del 2000 (2.8%) -. Stiamo parlando di migrazioni “volontarie” per lo più legate a motivi di lavoro, che nel 2020 hanno generato un volume di “rimesse” (trasferimenti di denaro da lavoratori migranti verso i paesi di origine) pari a 702 miliardi di dollari (128 nel 2000).

E poi ci sono le migrazioni “forzate, provocate da guerre, conflitti, persecuzioni, violazioni dei diritti umani e anche da eventi naturali estremi, come quelli prodotti dai cambiamenti climatici. Secondo il recente Rapporto dell’UNHCR “Global trends. Forced displacement in 2022” nel mondo, alla fine del 2022, il numero dei forcibly displaced  ha raggiunto il picco di 108,4 milioni di persone, un trend in forte aumento soprattutto nell’ultimo decennio (Figura 1).

Figura 1. Migranti forzati nel mondo, alla fine del 2022.

L’enorme massa di migranti forzati è stata alimentata in primo luogo dalla guerre: negli ultimi 50 anni se ne sono contate tantissime tra paesi e all’interno di questi. Ne ricordiamo qui alcune, particolarmente devastanti in termini di vittime e di spinta alla migrazione forzata.

Afghanistan: dall’invasione russa del 1979 a quella americana del 2001, conclusasi nell’agosto 2021, con la consegna di un paese sempre più impoverito nelle mani del brutale regime dei Talebani.

Iraq: alla prima guerra del Golfo del 1990-91 ne è seguita una seconda iniziata nel 2003 dagli Stati Uniti (sulla base di prove rivelatesi false), ben più devastante perché, oltre alle morti e alle distruzioni inflitte alle popolazioni locali, il conflitto ha provocato la destabilizzazione politica dell’intera area, creando così le premesse per lo scoppio, nel 2011, della disastrosa guerra civile in Siria (diventata poi terreno di scontro tra le potenze mondiali).

Nel cuore dell’Europa la guerra all’interno della ex-Jugoslavia degli anni 90 del secolo scorso e l’attuale guerra in Ucraina.

In Africa numerosi sono i conflitti locali che hanno generato – e stanno generando –  morti, distruzioni e migranti  forzati. Ricordiamo il terribile conflitto inter-etnico in Rwanda del 1994, e più recentemente la guerra interna per il controllo del petrolio in Sud-Sudan e la guerra civile in Etiopia. A cui si aggiungono situazioni di altissima instabilità politico-militare che sono causa di persecuzioni della popolazione civile e violazioni dei diritti umani: dalla Libia alla Somalia, alla Repubblica Democratica del Congo, alla Repubblica Centro Africana, al Mali (per citarne solo alcune).

L’instabilità politica è fonte di massicce migrazioni forzate anche in America latina, vedi il caso del Venezuela.  In Asia, in Myanmar, da segnalare la cruenta (e ignorata) repressione militare sulla popolazione civile .

Come si può dedurre dalla Figura 1 la maggioranza (circa il 60%) dei migranti forzati cerca riparo all’interno del proprio paese, mentre gli altri – 40 milioni di persone, tra rifugiati, richiedenti asilo e protezione umanitaria – attraversano il confine e abbandonano il proprio paese.

Nelle Figure 2 e 3 sono riportati rispettivamente i primi dieci paesi di origine delle migrazioni forzate e i primi dieci paesi di destinazione dei migranti forzati.

Figura 2. I primi dieci paesi di origine delle migrazioni forzate

Figura 3. I primi dieci paesi di destinazione dei migranti forzati.

La guerra in Siria ha prodotto oltre 6 milioni e mezzo di rifugiati (quasi un terzo della popolazione censita nel 2011) la maggioranza dei quali si trovano in Turchia (anche a seguito di un accordo molto oneroso con l’Unione Europea), più di un milione sono stati accolti in Germania, 800mila in Libano, 600mila in Giordania.

Gli ucraini in fuga dal loro paese hanno ricevuto un’accoglienza rapida e generosa: 2,6milioni di loro hanno trovato rifugio nei paesi confinanti (1 milione in Polonia), gli altri si sono distribuiti negli altri paesi europei.

Molto meno facile è stato per l’UNHCR ricostruire il destino degli afghani, che si sono mossi a ondate dal loro paese in relazione alle situazioni di guerra e di persecuzione della popolazione. Dei 5,7 milioni di rifugiati, 3,4 mln si trovano in Iran, 1,7 mln in Pakistan, 180mila in Germania (che complessivamente ospita oltre 2 milioni di rifugiati).

La Colombia, insieme Turchia, Iran e Germania, è tra i primi quattro paesi di destinazione dei rifugiati nel mondo, avendo accolto 2 milioni e mezzo di venezuelani in fuga dal loro paese.

Dei 40 milioni di rifugiati, il 70% di questi ha trovato riparo nei paesi confinanti, che sono per lo più paesi a medio e basso livello di sviluppo. Così i rifugiati del Myanmar trovano accoglienza in Tailandia e Bangladesh. Così l’Uganda – un paese più piccolo dell’Italia come estensione e popolazione, oltre che enormemente più povero – accoglie 1 milione e mezzo di rifugiati provenienti dal Sud Sudan e dalla Repubblica Democratica del Congo (leggi qui).

Per il governo italiano – Meloni-Salvini – i migranti provenienti dal Sud del mondo non sono persone da proteggere e assistere. Sono una minaccia: c’è in gioco la sostituzione etnica. Quindi i migranti con la pelle scura – forzati o non forzati che siano – noi non vogliamo che arrivino.  Nella notte tra il 25 e 26 febbraio scorso un barcone, con il mare in tempesta, si sta avvicinando alle coste calabresi. Si sarebbe dovuto intervenire, ma non fu fatto. Il barcone, proveniente dalla Turchia carico di migranti in fuga da Afghanistan, Pakistan, Iraq, Siria e Somalia, si schianterà a pochi metri dalla spiaggia di Steccato di Cutro provocando la morte di almeno 94 persone, di cui 35 minori (alcune delle quali decedute per i freddo, dato il ritardo con cui arrivarono i soccorsi).  Il comportamento del governo è stato sprezzante: neppure un saluto ai superstiti o davanti alle bare in fila nel palasport di Crotone. Con un messaggio molto chiaro: non partite perchè nessuno verrà a soccorrervi. Rinforzato dalla predica del ministro Piantedosi:«la disperazione non può mai giustificare condizioni di viaggio che mettono in pericolo la vita dei propri figli ».

Messaggi e prediche che non ottengono l’effetto sperato.  Nè sortisce esito alcuno la guerra “totale” agli scafisti. Di mese in mese la quantità degli sbarchi cresce fino a raggiungere – nel periodo 1 gennaio-24 luglio 2023  – quota 86.132, più del doppio rispetto allo stesso periodo del 2022. 

Il Presidente Meloni (che aveva promesso ai suoi elettori nientemeno che il blocco navale per impedire l’arrivo dei migranti) inizia allora un frenetico andirivieni con la Tunisia (diventata nel frattempo il principale punto di partenza della rotta Africa-Italia) per convincere a suon di dollari  il presidente Saied a fermare le partenze. Ma non basta. Bisogna organizzare in gran fretta qualcosa di più grande che la solita visita a Tunisi o in Libia. Così domenica 23 luglio si tiene a Roma, alla Farnesina, una Conferenza internazionale su sviluppo e immigrazione a cui partecipano 21 paesi (assente la Germania, l’unico paese che avrebbe potuto dare qualche consiglio su come gestire le migrazioni forzate) che nelle intenzioni di Palazzo Chigi dovrebbero diventare i principali interlocutori di una nuova collaborazione con la sponda sud del Mediterraneo.

E qui ci fermiamo per lasciare a Lucio Caracciolo il commento della conferenza di Roma.

La fobia dello straniero nell’Italia che muore – di Lucio Caracciolo, La Stampa del 24 luglio 2023

Alla grande conferenza di Roma su sviluppo e migrazioni i governanti europei, a cominciare dai nostri, non parlano che di fermare i migranti irregolari. Comprensibile e persino commendevole, magari cominciando a rendere meno impossibile approdare in Italia e in Europa per via regolare, come assicura Meloni. Finora pare non si riesca a inventare nulla di meglio che finanziare regimi arabi mediterranei perché sbarrino la loro frontiera terrestre con l’Africa profonda, facendo leva sul diffuso disprezzo per i neri. Il caso tunisino è modello. Morire pugnalati nel Sahara come alternativa ad affogare nel Mediterraneo? Confidiamo che persuasione morale e incentivi economici del nostro governo nei confronti del presidente Saied – non più né meno dittatore di quasi tutti i suoi colleghi nordafricani – migliorino il clima a Sfax e dintorni.

Eppure la grande nuvola mediatica alimentata da esponenti e ministri della destra continua a battere sull’incubo dell’invasione. E anche a sinistra ogni tanto uno squillo rimbomba. Fino a scivolare nel puro complottismo, evocando il mostro della “sostituzione etnica”. Sempreverde teoria per cui misteriose élite cosmopolitiche organizzerebbero la liquidazione della razza bianca per imporre il dominio di neri e alieni vari nel Vecchio Continente. Italia in testa. Come se noi italiani, per fortuna uno dei popoli più “impuri” al mondo, fossimo gli eredi diretti di Giulio Cesare o i greci discendessero da Pericle.

Fin qui classico razzismo. Ma colpisce il tentativo di mettere insieme migrazioni e complotto anti-italiano in un Paese che ha nel declino demografico il suo tallone di Achille. La nostra priorità dovrebbe consistere in robuste politiche di sostegno alla famiglia e alla natalità insieme a costanti flussi migratori, regolari e gestiti per quote con Paesi stranieri, per evitare la desertificazione del Belpaese. Altro che sostituzione etnica: qui rischiamo lo spopolamento, con una popolazione anziana di proporzioni insostenibili, sufficienti a sovvertire l’equilibrio sociale. Oggi un italiano su quattro ha almeno 65 anni, fra vent’anni sarà uno su tre. Le classi scolastiche si svuotano – i ragazzi fra i 3 e i 18 anni sono oggi 8 milioni e mezzo, saranno 7 fra vent’anni – e le iscrizioni alle università calano di brutto. Bassa natalità e invecchiamento della popolazione ci spingono verso un drastico declino, non solo economico. E noi ci preoccupiamo del colore della pelle di chi abita lo Stivale?

Forse converrebbe spendere almeno parte delle energie con cui alimentiamo la paura dei migranti per studiare e combattere la vera emergenza nazionale. Né possiamo ridurla alla dimensione economica e sociale, che pure pesa. È un’emergenza culturale che riguarda il nostro modo di (non) convivere, la concentrazione autistica su se stessi, quasi fossimo noi lo scopo della nostra vita.

La miscela fra emergenza demografica e fobia del migrante – o dell’altro in genere – può innescare circuiti culturali devastanti. I movimenti estremisti violenti e razzisti che hanno insanguinato l’Europa nella prima metà dello scorso secolo sono fioriti sulla narrazione dell’aggressione aliena contro una minoranza minacciata, che intanto dominava il mondo e colonizzava Afriche e Asie. Per tacere del segregazionismo americano, tutt’altro che domato.

È difficile affrontare con piglio propositivo questioni esistenziali di tanto calibro, coscienti come siamo di non poterle risolvere nel breve periodo. Ma per poterle gestire e curare non con magie improbabili ma via terapie da affinare è meglio concentrarci sulla realtà. E scacciare i fantasmi. Specie in tempo di guerra.


La foto di copertina è tratta dal Rapporto dell’UNHCR “Global trends. Forced displacement in 2022”.

fonte: https://www.saluteinternazionale.info/2023/07/migrazioni-forzate-e-sostituzione-etnica/

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