Che “genere” di pubblicazioni scientifiche. di Gabriele Vaccaro, Manjola Bega

La discriminazione di genere nella letteratura scientifica avvenuta durante la pandemia può apparire un “evento avverso” microscopico rispetto all’enormi dimensioni della catastrofe prodotta da Covid-19.  Mentre le donne accademiche  si facevano carico del fardello domestico, soprattutto se avevano bambini piccoli, quando le scuole e gli asili chiudevano, i docenti maschi pubblicavano di più e facevano passi avanti nella carriera, approfittando di una disparità di situazione tanto evidente quanto ingiusta.

Nel contesto pandemico, i danni irreparabili in termini di vite umane relegano in secondo piano altre conseguenze, come la discriminazione di genere nella letteratura scientifica, di portata più “lieve”. Lieve sì, ma solo in proporzione…

A circa tre anni dal picco della pandemia da Covid-19 è giunto il tempo di valutare ad ampio raggio l’intera costellazione degli ‘eventi avversi’, tra cui è risaltato recentemente un rilievo insospettato per i più: la discriminazione di genere operata dall’editoria scientifica nel periodo in questione. È Jocalyn Clark a raccogliere una grande messe di dati e a mostrare, nel recente articolo “How pandemic publishing struck a blow to the visibility of women’s expertise (Come nel corso della pandemia l’editoria  ha inferto un duro colpo alla visibilità delle competenze delle donne)”(1), quanto la questione sia sensibile e avvertita. Tra le molte attestazioni riportate nell’articolo, spicca quella di Vincent-Lamarre su Nature, che sottolinea come, mentre le donne si facevano carico del fardello domestico, soprattutto se avevano bambini piccoli, quando le scuole e gli asili chiudevano, i docenti maschi avevano quattro volte più probabilità rispetto alle donne di avere un partner che si occupava della casa a tempo pieno (2).

Dati alla mano, è difficile smentire tale affermazione. Nella seconda metà del 2020, infatti, sui circa tre milioni di contributi relativi al CoViD-19 pervenuti alle principali riviste scientifiche, solo il 36% porta il nome di una donna. Questo è il frutto di una statistica ad ampio raggio, che ha coinvolto sia le riviste sanitarie che quelle prettamente mediche, sia gli studi di ricerca che quelli teorici, sia gli studi di alto che di basso impatto. Il British Medical Journal, conducendo il suo studio trasversale Female authorship of covid-19 research in manuscripts submitted to 11 biomedical journals (3), evidenzia che, nel periodo gennaio-maggio 2020, solo il 22,9% degli articoli pervenuti ha avuto come autore una donna, a fronte di una media del 38,9% in tempi pre-pandemici. I dati sono impietosi su più versanti: dei 45 autori accademici più prolifici sul tema – quelli che, per intendersi, hanno prodotto più di 60 articoli sul CoViD-19 nei primi diciotto mesi di pandemia -, soltanto cinque sono donne. E questa proporzione vale non solo per la produzione degli articoli scientifici, ma pure per gli interventi e le interviste nelle trasmissioni radiotelevisive e gli editoriali sui giornali generalisti.

Clare Wenham, della London School of Economics, sottolinea quanto sia difficile immedesimarsi nello stress e nella frustrazione che le donne accademiche hanno dovuto sopportare durante quel periodo, poiché non solo erano subissate dagli impegni domestici, ma per di più assistevano impotenti ai passi avanti nella carriera che stavano compiendo i colleghi maschi, approfittando di una disparità di situazione tanto evidente quanto ingiusta (4).

Sembrerebbero situazioni sanabili, con buone intenzioni riparatrici e debiti provvedimenti, ma nella realtà lo svantaggio iniziale accumulato è permanente per le donne, soprattutto per le neolaureate. Vincent Larivière, dell’Università di Montreal, oltre a enfatizzare questa conseguenza ineliminabile, rimarca un altro aspetto decisamente rilevante di tale discriminazione di genere dell’editoria pandemica: il collasso della diversità e della qualità della scienza stessa, quando ad essa viene sottratto, in maniera peraltro oltremodo scorretta, lo sguardo e il pensiero femminile (5). Insomma, in questo ambito, abbiamo assistito ad un irrimediabile riemergere dei vecchi pregiudizi, favorito da una situazione di estrema emergenza. Anche se la produzione scientifica delle donne accademiche è adesso tornata ai livelli pre-pandemici (già di per sé statisticamente bassa), certe idee e determinate direzioni di ricerca sono andate irreparabilmente perdute. Affinché ciò possa essere scongiurato in futuro, un grande passo deve essere compiuto nella cultura della ricerca, oltre che, naturalmente nella logica familiare della coppia e nei quadri economici delle Università, che dovrebbero ricompensare con disposizioni di bilancio appropriate il lavoro domestico delle donne accademiche. Del resto, “riconoscere e valorizzare la cura e il lavoro domestico non retribuito, fornendo un servizio pubblico… e la promozione di responsabilità condivise all’interno delle famiglie” è anche l’obiettivo 5.4 dell’Agenda ONU 2030 per lo Sviluppo Sostenibile (6), che viene ad aggiungersi ad una già estesa mole di documenti dell’UE che guarda in tale direzione. Come ad esempio l’art. 2 del Trattato sul funzionamento dell’UE che si prefigge “una società caratterizzata (…) dalla parità tra donne e uomini” (7) o la Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo Un’Unione dell’uguaglianza: la strategia per la parità di genere 2020-2025 che, nel paragrafo “Colmare il divario di genere nell’assistenza familiare” sottolinea come il “realizzarsi sul lavoro, gestendo contemporaneamente le responsabilità di assistenza familiare è una sfida, soprattutto per le donne”.

Spesso le donne adeguano la loro decisione di lavorare, e la modalità di lavoro scelta, alle loro responsabilità di assistenza e, se del caso, alla modalità di condivisione di tali compiti con un partner. Si tratta di una sfida di particolare difficoltà per i genitori soli, per la maggior parte donne, e per le persone che, vivendo in zone rurali remote, spesso non hanno a disposizione servizi di sostegno. Sulle donne ricade un onere sproporzionato di lavoro non retribuito, che costituisce una quota significativa dell’attività economica. Un’equa ripartizione delle responsabilità di assistenza a casa è fondamentale” (8). E qualora le sole sollecitazioni etiche non dovessero risultare sufficientemente suasive, sono da assommare anche quelle economiche, se è vero che “l’uguaglianza di genere va di pari passo con la stabilità macroeconomica e finanziaria” e, come prosegue l’European Institute for Gender Equality: Economic Benefits of Gender Inequality in the European Union, 2017: “entro il 2050, il miglioramento della parità di genere dovrebbe portare a un aumento del PIL pro capite dell’UE compreso tra il 6,1 e il 9,6%, corrispondente a un aumento da 1,95 trilioni di euro a 3,15 trilioni di euro” (9).

L’UE, esplicitando la volontà di fare della parità di genere una priorità trasversale di tutte le sue attività, riconosce platealmente che solo su questa base può erigersi un mondo migliore per donne e uomini, ragazze e ragazzi. Non resta che impegnarsi insieme per passare dalle dichiarazioni di intenti alla loro realizzazione concreta.

Autore e Autrice: Gabriele Vaccaro e Manjola Bega. Scuola di Specializzazione in Igiene e Medicina preventiva. Università di Firenze.

BIBLIOGRAFIA

  1. Clark J. How pandemic publishing struck a blow to the visibility of women’s expertise,  BMJ 2023; 381:p788 doi:10.1136/bmj.p788
  2. Vincent-Lamarre P, Sugimoto CR, Larivière V. The decline of women’s research production during the coronavirus pandemic. Nature2020 (published online 19 May
  3. Gayet-Ageron A, Ben Messaoud K, Richards M, Schroter S.Female authorship of covid-19 research in manuscripts submitted to 11 biomedical journals: cross sectional study. 2021;375:n2288. doi:10.1136/bmj.n2288 pmid:34615650 Abstract/FREE Full TextGoogle Scholar
  4. Wenham C, Smith J, Morgan R, Gender and COVID-19 Working Group. COVID-19: the gendered impacts of the outbreak. 2020;395:846-8.doi:10.1016/S0140-6736(20)30526-2.
  5. Kozlowski D, Larivière V, Sugimoto CR , Monroe-White T.  Intersectional inequalities in science. 2022;119:e2113067119. doi:10.1073/pnas.2113067119. pmid:34983876
  6. Agenda ONU 2030 per lo sviluppo sostenibile, 25 settembre 2015.
  7. Versioni consolidate del trattato sull’Unione europea e del trattato sul funzionamento dell’Unione europea, Documento 02016ME/TXT-20200301
  8. Comunicazione della Commissione al parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni: Un’Unione dell’uguaglianza: la strategia per la parità di genere 2020-2025, 5 marzo 2020.
  9. European Institute for Gender Equality: Economic Benefits of Gender Inequality in the European Union, 2017.

fonte: https://www.saluteinternazionale.info/2023/07/che-genere-di-pubblicazioni/

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