I talebani sembrano “finalmente” esser riusciti a far eradicare le colture di papaver somniferum che fanno dell’Afghanistan il monopolista mondiale di materia prima per l’eroina.
Stime dell’Onu e studi indipendenti concordano nel documentare che in Helmand, la provincia con la maggior produzione, l’area di coltivazione del papavero è stata ridotta dagli oltre 129.000 ettari del 2022 ai soli 740 dell’aprile scorso. A Nangarhar si è passati dagli oltre 7.000 del 2022 ai 865 di quest’anno.
Pur trattandosi di stime in aree dove non è semplice lavorare, e in attesa che l’inventario sia finito, nel 2023 l’Afghanistan potrebbe replicare la riduzione del 90% della coltivazione ottenuta nel 2000-2001 con un’eradicazione che in termini assoluti sarebbe di quasi tre volte superiore: 233.000 ettari di oggi contro circa 82.000 ettari di allora. Il bando in corso riguarda però anche il commercio e la lavorazione degli oppiacei.
Un dettagliato rapporto dello United States Institute of Peace segnala che il raccolto invernale del 2022 è stato però esentato dall’eradicazione, il commercio relativo alle produzioni passate avverrà quindi senza proibizioni formali ma con oppio “vecchio”. Secondo l’Ufficio dell’Onu per la droga e il crimine, il raccolto del 2021 sarebbe stato di 6.800 tonnellate e di 6.200 nel 2022. Resta quindi da vedere se la dispensa dalla proibizione sarà temporanea o permanente: nel 2000-2001 il commercio non fu ostacolato.
Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale hanno più volte documentato la rilevanza dell’economia informale afgana, circa l’80%, e il significativo impatto della filiera dell’oppio illecito, circa il 14% del Pil. La proibizione di questi mesi rappresenta quindi uno shock economico che si aggiunge a una significativa riduzione degli aiuti umanitari (di 1 miliardo sui 3 previsti) a seguito dei problemi creati dai talebani alle agenzie internazionali e Ong che operano in Afghanistan. Come sempre a farne le spese sarà la popolazione più povera dell’Afghanistan anche perché alternative di impiego che (forse) erano disponibili prima del ritorno dei talebani due anni fa, come trovare lavoro in città o altre attività rurali o arruolarsi nell’esercito nazionale, sono ora limitate o inesistenti. Per non parlare delle condizioni in cui sono obbligate a vivere le donne.
Se i programmi di “sviluppo alternativo” delle colture, come grano, orzo o miglio, non hanno funzionato quando c’erano le agenzie dell’Onu figuriamoci adesso.
Come denunciato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’80% dell’umanità, praticamente tutto il “sud del mondo”, non ha accesso alla medicina essenziale chiamata morfina, mentre nel nord America gli oppioidi chimici provocano quasi 90.000 overdosi l’anno per consumo non prescritto medicalmente, policonsumo o disperazione socio-economica.
L’editto contro l’oppio è stato voluto dall’emiro Haibatullah Akhundzada in persona, è ragionevole quindi ipotizzare che non ci sarà un’inversione a breve. Venti anni fa buona parte della produzione fu stoccata nelle caverne costruite dall’armata rossa negli anni ‘80, ma l’Afghanistan del 2023 è radicalmente diverso da quello del 2000. I talebani faranno di tutto per mantenere una parvenza di intransigenza per ottenere sostegni internazionali – là dove non arriveranno i soldi dell’Onu sono già pronti i dollari dei paesi del Golfo che già a metà degli anni ‘90 riconobbero i talib legittimi governanti dell’Afghanistan. Il risultato di questa obbedienza ai diktat internazionali farà sì che più persone cercheranno di lasciare il paese dirigendosi verso Europa, anche perché il costo del traffico di persone è niente rispetto alle potenziali ricompense delle rimesse dall’Europa. E che ci sarà più spazio nel mercato nero per i sostituti sintetici dell’eroina, a partire dal fentanyl. Chi di proibizione ferisce…
fonte: il manifesto – Fuoriluogo