Salute mentale e reti di comunità. di Raffaele Barone, Angela Volpe

La pandemia da Covid-19 ha reso evidente l’inefficacia dell’attuale sistema nel rispondere ai bisogni di salute mentale. È necessario avere una nuova vision del servizio pubblico, dialogica, democratica e gentile, più orientata al benessere mentale di comunità. Per fare in modo che la comunità locale sia in grado di dare le risposte di cui la cittadinanza ha bisogno

La pandemia da Covid 19 ha fatto precipitare processi già in atto da tempo e reso evidente l’inefficacia dell’attuale sistema nel rispondere ai bisogni di salute mentale e di cura delle persone e della collettività nel suo complesso. Ha inoltre reso visibile la stretta interdipendenza tra la salute dell’individuo e quella della comunità locale e la necessità di pratiche che superino la parcellizzazione degli interventi e si muovano verso interventi di benessere mentale di comunità.

Durante la pandemia, attraverso una costante riflessione, abbiamo immaginato una progressiva frattura dei legami sociali, crisi della convivenza in ambito familiare e sociale; disoccupazione soprattutto delle fasce deboli, meno scolarizzate e più povere della popolazione; crisi di partecipazione ai processi democratici; nuovi e inediti bisogni latenti e emergenti nelle comunità di convivenza; aumento delle dipendenze patologiche e comportamenti auto e etero aggressivi; incremento dei disordini di personalità.

In effetti si è registrato da allora un aumento della domanda che, seppure in continuità con il periodo pre-pandemia, nella fase post pandemia ha visto un’impennata di richieste sia di adolescenti che di adulti. Il disagio attualmente si esprime secondo una definizione più superficiale di ansia e depressione, ma anche problematiche di isolamento sociale e di dipendenze patogene. Tuttavia, ad un’analisi più attenta e profonda sembrerebbe un mal di vivere e di adattamento ad una società in continuo e accelerato cambiamento, caratterizzato dalla costante ‘connessione’, anche attraverso le nuove tecnologie, che di fatto si traduce in un impoverimento delle relazioni interpersonali e della espressione delle emozioni. La società locale ha perso la sua funzione di trama che connette e sostiene le persone, riducendo di fatto anche la partecipazione di queste ultime allo sviluppo della comunità locale.

In particolare gli adolescenti manifestano il loro disagio soprattutto attraverso il corpo: si tagliano, tentano il suicidio, e tante volte ci riescono, rifiutano di alimentarsi, abusano di sostanze, attuano comportamenti a rischio. Tuttavia, a nostro avviso, ciò non è altro che il “sintomo” della crisi delle famiglie e delle relazioni sociali.

Chi bisogna prendere in carico? La ragazzina portatrice del sintomo? I genitori sbigottiti e impreparati? I fratelli e le sorelle in difficoltà? I compagni di classe? Le amiche o gli insegnanti? Per noi, attraverso le pratiche dialogiche vanno accolti tutti contemporaneamente, con un ascolto profondo, non giudicante e con un atteggiamento valorizzante.

Nella maggior parte dei casi i servizi di salute mentale non sono sufficientemente competenti e preparati a rispondere in modo intelligente a una domanda reale di aiuto esistenziale e relazionale così complessa. La logica di risposta dei servizi pubblici è spesso di natura individualistica e tecnicistica, tendente alla semplificazione. Gli operatori della salute mentale anziani e giovani rispondono in base a una formazione che hanno ricevuto di tipo privatistico nelle scuole di specializzazione alla psicoterapia. La risposta che lo Stato propone attraverso il bonus psicologico a nostro avviso è fuorviante, inadeguata e illusoria. Ripropone la logica della privatizzazione dei servizi, alimentando la domanda e semplificando la risposta. È una logica di tipo caritatevole e non una risposta adeguata ad un diritto alla salute.

A nostro avviso bisognerebbe investire sui servizi di salute mentale pubblici; tuttavia non è sufficiente integrare le risorse, seppur necessario, ma riteniamo indispensabile, alla luce della nostra esperienza, avere una nuova vision del servizio, dialogica, democratica e gentile, più orientata al benessere mentale di comunità. Ciò necessita di una formazione continua e di una modalità di lavoro più comunitaria e gruppale per sviluppare il senso di appartenenza e la partecipazione alla vita relazionale della comunità locale. Parlavamo della frattura dei legami. In fondo per ricucire le fratture occorre annodare, creare nodi. Intrecciare nodi significa creare reti nella comunità locale. Con attività di promozione delle persone per fare in modo che la comunità locale sia in grado di dare le risposte di cui la cittadinanza ha bisogno.

Ciò richiede un cambiamento della mentalità; prendere in considerazione gli individui e le comunità in quanto entrambi sono co-produttori della salute e del benessere, piuttosto che essere recettori dei servizi, e potenziare o rafforzare, di conseguenza, la capacità delle comunità di controllare e determinare anche il loro futuro. La capacità di prendersi la responsabilità, piuttosto che la dipendenza che i servizi, a volte, incoraggiano. Ci rifacciamo, a tal proposito, al concetto di salutogenesi, che valorizza l’aspetto della salute della persona, anziché quello del disagio o della malattia.  In questo continuo cambiamento della domanda di cura e della manifestazione della sofferenza, gli operatori dei servizi sono in difficoltà.

Una nuova visione dei servizi (1) si fonda, così, anche su una attività di formazione continua per gli operatori, mirata e strategica, volta a sviluppare l’ascolto non giudicante, a leggere e attraversare la complessità della sofferenza e della organizzazione dei servizi, a far emergere l’umanità degli operatori, l’umiltà di saper riconoscere che siamo tutti dentro un cambiamento epocale, e sviluppare la capacità di lavorare in gruppo e valorizzare la loro scelta umana di stare dalla parte della sofferenza. In tal modo i servizi potrebbero creare occasione e condizioni che agevolano il passaggio da interdipendenze patologiche e patogene a interdipendenze sane e positive atte a sviluppare la creatività, l’affettività, l’espressione delle emozioni più profonde, la capacità di co-produzione, di partecipare attivamente alla vita sociale politica della comunità locale e globale.

Esempi di efficacia sono, nella nostra esperienza, gli approcci dialogici e democratici quali: i gruppi multifamiliari, il dialogo aperto e il mutuo auto aiuto, che lavorano a sviluppare le virtualità sane, la responsabilità e la democratizzazione delle relazioni.

 

Raffaele Barone e Angela Volpe. Dipartimento di Salute Mentale. Caltagirone.

 

Bibliografia

  1. Barone (a cura di) Benessere mentale di comunitàTeorie e pratiche dialogiche e democratiche. FrancoAngeli Editore. 2020

fonte: https://www.saluteinternazionale.info/2023/06/salute-mentale-e-reti-di-comunita/

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